Le ingerenze ecclesiastiche nell’era del bunga bunga

par UAAR - A ragion veduta
giovedì 3 febbraio 2011

Nel piccolo mondo dell’attivismo laico si è discusso e si discute ancora della legittimità degli interventi delle gerarchie ecclesiastiche a proposito degli scandali sessuali che stanno coinvolgendo il primo ministro Silvio Berlusconi (perché solo su quelli, negli ultimi due decenni, si sono in qualche modo espressi). La mia personale sensazione è che le prese di posizione siano fortemente debitrici dell’impegno di chi le esprime: maggiore è la militanza politica anti-berlusconiana, più convinta è l’accettazione delle dichiarazioni dei vescovi. La mia opinione è che il giudizio debba invece essere fondato su basi un po’ più solide, prescindendo dall’opportunità politica e dal caso specifico.

Il caso specifico, almeno per quanto si legge sui quotidiani, è quello di un uomo, anziano e facoltoso, cattolico dichiarato, che ha deciso di vivere i suoi ultimi anni all’insegna di una vita privata goduta senza inibizioni. Tutto il resto, dalla nomina a consigliere regionale di una procacciatrice di giovani partecipanti ai festini di Arcore, fino all’incondizionata accettazione da parte delle esponenti PDL della visione «orizzontale» della donna tanto cara al premier (non esclusa la cristianista billionaria Daniela Santanchè che detiene il copyright della definizione, coniata ovviamente prima di essere nominata sottosegretaria), prescinde da queste considerazioni.

Si sussurra che l’epopea del bunga bunga abbia preoccupato qualche alto porporato. Forse persino anche il papa. Che tale turbamento sia stato timidamente espresso anche pubblicamente non dovrebbe fare né caldo né freddo a chi sostiene la libertà di espressione. Il dibattito pubblico deve essere aperto alle comunità di fede: una società laica non censura i leader religiosi e non rinchiude la religione negli spazi privati, ma preclude loro soltanto gli spazi privati altrui e quelli istituzionali, che devono restare neutri. Alla stessa stregua, chi religioso non è ha ogni diritto di rilevare eventuali loro incoerenze, e di criticare il loro eventuale intento di fare di uno stato laico uno stato etico.

La questione è dunque un’altra: nel dibattito pubblico italiano non vi è alcuna forma di contraddittorio e si ascolta una sola voce, quella delle gerarchie ecclesiastiche. Altrove non accade. C’è dunque un enorme problema, insieme politico e culturale, rappresentato dalla convergenza di quasi tutti i partiti sulle opinioni espresse dalla Chiesa, e dalla quasi automatica traduzione di tali opinioni in leggi dello Stato. Il caso specifico è paragdimatico: Michele Serra, su Repubblica, ha sostenuto che «sarebbe bello che l’opposizione avesse materia culturale e energia politica quante ne bastano per parlare in proprio: dicendo, per esempio, che le adunate di escort non sono delitti contro “la morale”, ma sono, piuttosto, la rappresentazione perfetta dello stato di servitù di un popolo».

Peccato che non sia questo il caso della nostra opposizione: che si comporta esattamente come la maggioranza, quando le parti si invertono (caso Marrazzo docet). Per ballare il tango bisogna essere in due, e i partiti italiani non rifiutano mai gli inviti esclusivi dei vertici ecclesiastici: arrivano addirittura ad azzuffarsi per vedere chi è più bravo a tirare loro la giacchetta. E questo anche quando è chiaro, come nel caso-Ruby, che le parole dei vescovi sono talmente generiche da poter essere interpretate in qualunque modo. Come durante la seconda guerra mondiale, la Chiesa, conscia dell’appoggio, se non dell’ammirazione che i cattolici italiani continuano a garantire a Berlusconi, non rompe con nessuno, e attende soltanto di capire chi uscirà vincente dalla contesa politica. Certa che riuscirà comunque a trarne giovamento.

di Raffaele Carcano*

* Studioso della religione e dell’incredulità, curatore di Le voci della laicità, coautore di Uscire dal gregge, segretario UAAR


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