Le grandi potenze e l’Unità d’Italia - L’impresa di Garibaldi - L’opera di Camillo Benso di Cavour

par Luigi Nicotra
lunedì 7 marzo 2011

I processi storico/politici sono assai più complessi dell’aneddotica con i quali si è tentati talvolta di trattare eventi i cui esiti si sono prodotti nel corso degli anni e a fronte dei quali risulta estremamente riduttivo, se non fuorviante, estrapolare singoli episodi con la pretesa di dimostrare il tutto. Questo vale con riguardo sia ai grandi personaggi, come Giuseppe Garibaldi e Camillo Benso di Cavour che ne furono protagonisti, che al contesto internazionale rappresentato dalle grandi potenze dell’Europa dell’epoca.

Garibaldi fu un eroe, come dire, universale. L’Inghilterra fu una delle nazioni che più ne coltivò il culto. In Inghilterra vi fu, infatti, una simpatia enorme per Garibaldi. La gran parte degli inglesi videro con favore l’unità dell’Italia e il “Times” scrisse di Garibaldi come di un eroe che combatteva in difesa dell’umanità. In tutta l’Inghilterra furono promosse sottoscrizioni per raccogliere denaro da inviare in Sicilia. Vi aderirono aristocratici, industriali e sindacalisti; nomi noti come Charles Darwin e il duca di Wellington. Nel 1864, le centinaia di migliaia di persone che attesero il Generale lungo le vie di Londra, costringendo la sua carrozza a percorrere tre miglia in quasi sei ore, rappresentarono una delle più grandi manifestazioni dell’ottocento.

Occorre poi rammentare che il Regno Unito fu il primo Stato a riconoscere il nuovo Regno d’Italia il 30 marzo 1861. Fu poi la volta della Francia, sempre nel marzo 1861, la cui opinione pubblica, a parte i cattolici, era in gran parte ostile ai Borboni. E poi gli Stati Uniti d’America nell’aprile 1861 che seguirono con molto interesse e con profonda simpatia le vicende che riguardavano a lotta per liberarsi dal dispotismo borbonico. La conquista di Palermo da parte di Garibaldi fu acclamata dal ”New York Times” come un grande trionfo.

Il nome di Garibaldi fu da allora accomunato a quello dei grandi della storia americana al punto tale che il Presidente Lincoln gli propose di assumere il comando in un'armata nordista nella guerra di secessione, proposta che Garibaldi respinse, volendo egli avere il comando supremo dell'esercito, cosa che Lincoln non gli poté dare.

Certo non sarebbe bastata l’audacia di Garibaldi per portare a compimento l’impresa dei Mille. Ed infatti il processo che condusse all’unità d’Italia, oltre ad essere ascrivibile alle gesta di “Don Peppino“, fu il frutto di quell’abile tessitura politica che il conte di Cavour, non amato dal Generale a causa del baratto della sua città natale Nizza oltre che della Savoia in cambio dell’aiuto dei Francesi nel 1859, condusse negli anni precedenti, in particolare dalla guerra di Crimea, scoppiata perché Francia, Inghilterra e Turchia, tra loro alleate, intendevano fermare l’espansione dell’Impero russo verso il Mar Nero. Cavour nel 1855 decise d’intervenire, inviando delle truppe del Regno di Sardegna, anche se questa guerra, nel corso della quale i bersaglieri piemontesi si distinsero, sembrava priva di qualsiasi interesse per l’Italia.

Non era così. La guerra di Crimea permise, infatti, al Regno di Sardegna di sedere al tavolo dei vincitori. Nonostante le proteste dell’inviato dell’Austria, al Congresso di pace tenuto a Parigi nel 1856, Cavour non chiese alcun compenso per la partecipazione alla guerra, ma ottenne che una seduta fosse dedicata espressamente a discutere il problema italiano. Cavour ebbe così l’occasione per sostenere pubblicamente che la repressione dei governi assolutisti e la politica dell'Austria erano i veri responsabili del malcontento e delle tentazioni rivoluzionarie che agitavano la penisola italiana, costituendo ciò una possibile minaccia per i governi di tutta Europa.

Il Piemonte ebbe così l'occasione di accreditarsi come soluzione istituzionale moderata al problema della turbolenza politica dell'Italia dell’epoca, guadagnandosi fin d’allora la simpatia di gran parte delle potenze del tempo ed ottenendo un’apertura di credito che poté utilizzare sia nel corso della seconda guerra d’indipendenza del 1859 (alleanza con la Francia) sia, come sopra si diceva, negli eventi correlati alla spedizione dei Mille che portarono alla proclamazione del Regno d’Italia.

Per concludere, se un difetto c’è nella nostra storia risorgimentale, non sta tanto nella sua costruzione, quanto nell’uso strumentale che se ne è fatto a seconda delle convenienze politiche dei regimi/ governi che si sono succeduti dall’unità d’Italia ad oggi. Lo stesso fascismo, al cui nazionalismo becero talvolta viene erroneamente accostato l’ideale risorgimentale, per quanto agli esordi avesse voluto accreditare una sua continuità storica dal Risorgimento alla Grande Guerra, strada facendo fece emergere la sua intrinseca, vera natura, sottolineando fortemente la sua assoluta “ originalità “ rispetto all’epopea risorgimentale. Questa, infatti, fu antitetica al pensiero dominante del Fascismo: liberale la prima, autoritario questo; basata la prima sul principio di nazionalità, vocato il secondo a velleità imperialistiche.


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