Le espulsioni nel M5S: tra Führerprinzip e cittadinanza

par Daniel di Schuler
giovedì 27 febbraio 2014

La rete ha deciso, ci informa Grillo con un tweet: siano dannati, pardon "espulsi", i quattro senatori rei di… beh… di lesa maestà. 

Come altro definire il loro crimine? Orellana, Battista & Co. hanno criticato l’atteggiamento che Grillo ha tenuto nel suo incontro con Renzi. E allora? C’era qualcosa che si potesse salvare in quella sceneggiata? E soprattutto, la Rete, quella Rete che lo aveva mandato lì a sentire quel che avesse il da dire il presidente del Consiglio incaricato, non era stata tradita, nei fatti e in modo plateale, proprio dall’ex comico? Sì, ex comico, perché esiste un’altra parola per dire quel che Grillo è ormai diventato dentro il movimento che ha contribuito a fondare: fuhrer. Nessuna velata accusa di nazismo (gliela si potrebbe muovere per certe sue dichiarazioni in materia di cittadinanza per diritto di “sangue”, se per caso); un semplice costatazione tecnica, da dilettante della filosofia politica, ricordando Hermann Graf Keyserling.

Chi è? Il filosofo tedesco che elaborò il Führerprinzip, appunto; una lettura del darwinismo sociale secondo cui alcuni sono nati per comandare e gli altri obbedire. Uno, poi, il gran capo supremo, con il nazismo è diventato l’incarnazione stessa dell’autoritas, anzi della più vera volontà di tutto il popolo, facendo coincidere nella propria persona tutti i poteri. Legislatore, giudice e governante, fonte della legge ma non soggetto alla legge. Esattamente quello che è oggi Grillo per i più ortodossi militanti del M5S; per tutti quelli che giusto o sbagliato, vero o falso, va sempre bene “purché lo dica Beppe”.

Gli ortodossi, ho precisato, perché oltre ai quattro espulsi pare vi siano altri parlamentari, forse una decina, pronti a lasciare il Movimento per protestare contro quella che a questo punto è eufemistico definire “mancanza di democrazia interna”. Non solo; basta leggere quel che gira per la Rete e si intuisce possano essere molti, nonostante la maggioranza dei due terzi che ha votato per l’espulsione nel referendum on-line, i militanti e gli elettori del Movimento che sono ormai in aperto disaccordo con toni, argomenti e opinioni del Capo supremo e, a quanto pare, incriticabile.

Dissidenti che temo scompariranno nel nulla o assorbiti da altri partiti.

Temo, perché molte delle poche, pochissime energie, rimaste nella nostra società erano proprio finite nel grande e opaco contenitore del M5S. Un’esperienza che in questo momento si prefigura come un vero e proprio sequestro di voti; di rappresentanza artificialmente tenuta ai margini del dibattito politico. Che non dibatte per nulla, anzi, e comunica solo attraverso i proclami di Grillo. Un’esperienza da cui però potrebbe nascere, proprio anche a partire da quei militanti nelle votazioni on-line non si uniformano al volere del Capo, quel partito liberal-social-democratico, estraneo tanto alla tradizione democristiana quanto a quella comunista (e che di queste non abbia ereditato modi, apparati e base elettorale) di cui l’Italia avrebbe disperatamente bisogno per uscire dalla crisi. Non dalla crisi economica, non solo, e neppure da quella “di rappresentanza”. Da quella, tanto grave da minacciare la natura stessa delle nostra Repubblica, che deve essere chiamata “di cittadinanza”: di fede dei cittadini nell’impegno politico e nella possibilità, attraverso questo, di decidere davvero del futuro proprio e dei propri figli.

 


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