Le coordinate per individuare la possibile teologia politica di Leone XIV
par Gerardo Lisco
venerdì 16 maggio 2025
A partire dall’elezione di Papa Giovanni Paolo I, passando per Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, Francesco I ed oggi Leone XIV , ciò che mi ha sempre colpito è che ad ogni elezione opinionisti, commentatori, ecc. hanno interpretato le prime dichiarazioni del neo eletto pontefice alla ricerca di risposte a domande personali.
Solo in seconda battuta si sono soffermati sull’aspetto teologico politico ed anche in merito a questo tema l’approccio mi è sempre sembrato molto legato ai desiderata di chi commentava che ad una analisi svestita dei panni mondani nel senso di parte. Capisco che spogliarsi della mondanità è una cosa molto difficile da farsi, per cui non escludo che io stesso sono alla ricerca di risposte a domande personali che attengono il senso dell’esistenza, lo stare al mondo , l’escatologia della Storia. In attesa di leggere le prime encicliche ci sono un paio di dichiarazioni che lasciano intendere su come, il nuovo Papa, vorrà condurre la Chiesa. Prima di riportare le dichiarazioni alle quali intendo fare riferimento mi preme sottolineare che il Papa ha la doppia veste di monarca assoluto di uno Stato eletto da un numero ristretto di membri, a loro volta cooptati dai Papi precedenti, e di capo duna religione che annovera 1,406 milioni di fedeli, dato in crescita rispetto al 2022. Doppia veste da non sottovalutare.
Leone XIV ha 69 anni per cui è il Papa che guiderà la Chiesa almeno fino alla metà del secolo in corso, anni che vedranno il mondo cambiare radicalmente. Ai cambiamenti contribuirà con il suo Magistero il nuovo pontefice. Partendo da questo dato un agostiniano che diventa Papa scegliendo un nome antico come appunto quello di Leone non può che richiamare alla mente il contesto storico e politico nel quale matura la teologia di Agostino di Ippona, il Padre della Chiesa per eccellenza. Per inciso Agostino di Ippona era di etnia Berbera, quindi un nord africano. Fatte queste premesse la prima dichiarazione che mi ha colpito di Papa Leone XIV è relativa a quando appena eletto, rivolgendosi in inglese ai cardinali, ha dichiarato << Dio, chiamandomi attraverso il vostro voto a succedere al Primo degli Apostoli , questo tesoro lo affida a me perché, col suo aiuto ne sia fedele amministratore a favore di tutto il Corpo mistico della Chiesa; cosi che essa sia sempre più città posta sul monte, arca di salvezza che naviga attraverso i flutti della storia, faro che illumina le notti del mondo.(..). >> . L’ altra dichiarazione che mi ha colpito ha riguardato la scelta del nome. Il nuovo Pontefice ha detto che la scelta del nome è un omaggio a Papa Leone XIII e alla sua Enciclica Rerum Novarum. Enciclica che ha aperto la Chiesa alle questioni sociali legate alla Rivoluzione Industriale. Le due coordinate che possono, quindi, indicare una possibile teologia politica di Leone XIV sono quindi l’agostinismo e il lavoro. Entrambi i temi sono antichi è toccano le origini stesse della Chiesa. Parlando di S. Agostino la prima cosa che viene in mente è la relazione tra Civitas Dei e Civitas Mundi. Il dualismo tra le due città non bisogna intenderlo come conflitto politico ed ideologico tra la dimensione religiosa e quella terrena rappresentata in primo luogo dal livello politico. Il pensiero di S.Agostino è cosa nota che è stato utilizzato in età medievale per affermare il potere papale su quello imperiale. Il primo atto in tal senso porta alla mente l’incoronazione di Carlo Magno nella notte di Natale dell’800 da parte di Papa Leone II, Papa Leone X commissionerà a Raffaello l’affresco che rappresenta l’incoronazione di Carlo Magno ad Imperatore dei Romani; voleva essere il suggello del presunto primato della Civitas Dei sulla Civitas mundi . A partire da quel momento tutti gli Imperatori fino a Carlo V, nel 1530 in questo caso ad opera di Clemente VII non a Roma ma a Bologna, sono stati incoronati dal papa di turno. Il conflitto tra Civitas Dei e Civitas Mundi è stata superata spostandolo nella coscienza di ciascun cristiano il quale pur avendo l’obbligo di obbedienza verso le leggi di uno Stato se queste violano palesemente i valori Cristiani può liberamente ( il libero arbitrio) decidere di disobbedire seguendo l’imperativo della propria coscienza di cristiano. Di martiri cristiani che hanno seguito la loro coscienza pur dichiarandosi fedeli allo Stato dei quali si è sudditi è ricca la storia. Un episodio tra i tanti che merita di essere menzionato è quella di Franz Jägerstätter, contadino austriaco obiettore di coscienza condannato a morte per essersi rifiutato di arruolarsi nell’esercito nazista, beatificato da papa Benedetto XVI. L’appello alla coscienza del Cristiano lo evinco dalla prima omelia di Leone XIV quando dice <<oggi non sono pochi i contesti in cui la fede cristiana è ritenuta una cosa assurda , per persone deboli e poco intelligenti; contesti in cui a essa si preferiscono altre sicurezza, come la tecnologia, il denaro, il successo, il potere, il piacere (…) Non mancano poi contesti in cui Gesù , pur apprezzato come uomo, è ridotto solamente a una specie di leader carismatico o di superuomo, (…) e ciò non solo tra i non credenti, ma anche tra molti battezzati, a questo livello , in un ateismo di fatto>>. Richiamo quello appena citato che crea conflitti di coscienza in una società fortemente secolarizzata ed egemonizzata dalla logica del mercato che rende l’Uomo , a partire dal proprio corpo, semplice valore di scambio. Sempre restando in tema di conflitto di coscienza per comprendere quanto sia profondo e coerente con il pensiero di Agostino di Ippona è sufficiente dare una scorsa, anche rapida, a “Le Confessioni”. Papa Francesco I nella “Omelia per la solennità di S.Agostino tenuta il 28 agosto 2013 nella chiesa di Sant’Agostino a Roma esordisce citando il seguente passo tratto a da Le confessioni I,1,1 “ Ci hai fatti per Te e inquieto è il nostro cuore finchè non riposa in te”. In questo passo dice il Teologo Bergoglio << c’è la sintesi di tutta la sua vita. “ Inquietudine” , questa parola mi colpisce e mi fa riflettere. Vorrei partire da una domanda: quali inquietudini ci invita a suscitare e a mantenere vive nella nostra vita questo grande uomo e santo? Ne propongo tre: l’inquietudine della ricerca spirituale, l’inquietudine dell’incontro con Dio, l’inquietudine dell’amore.>> Inquietudine che è da intendersi come conflitto interiore, come tensione tra le cose del Mondo e l’aspirazione alla Città di Dio. Dicevo, quindi, il conflitto non è più per l’egemonia tra Papato e Impero , il conflitto si sposta nella coscienza di ciascuno di noi: da una parte l’aspirazione alla Civitas Dei dall’altra l’immanenza. Aspirare alla Civitas Dei diventa è l’ invito a seguire i valori Cristiani tra i quali , in primo luogo , vi è quello della Pace o meglio quello dell’Amore anche per il nemico restando in linea con il pensiero di Agostino di Ippona. Nell’Amore come valore assoluto il senso dell’appello per una “pace disarmata e disarmante” ma anche definitiva legata alle questioni “mondane”. Dell’attualità dell’agostinismo vi è traccia nei diversi scritti di teologia e filosofia di Woytila, Ratzinger, Bergoglio. Papa Giovanni Paolo II a proposito del XVI centenario della conversione di S. Agostino, nella Lettera Apostolica del 28 agosto 1986 e nel discorso tenuto il 17 settembre a Roma ai partecipanti al congresso su Sant’Agostino invita i presenti a studiare il pensiero del Vescovo di Ippona questo per citare un documento che merita da solo una riflessione approfondita comprandolo magari con l’ “ Omelia” di Francesco I citata in precedenza. A partire quindi da Giovanni Paolo II è possibile intravedere una prima coordinata della Teologia politica di Leone XIV e cioè l’agostinismo come contrapposizione al manicheismo che caratterizza la contemporaneità. Solo per inciso l’attualità del pensiero di S.Agostino non ha impegnato solo i pontefici appena citati c’è tutto un filone di studi che hanno visto impegnati filosofi del calibro di Etienne Gilson, di Sergio Cotta , mi onoro di averlo avuto come professore di Filosofia del diritto , Reinhold Niebuhr, di recente le riflessioni del filosofo Massimo Borghesi dalle quali ho attinto a piene mani per queste mie riflessioni.
Se la prima coordinata è l’agostinismo per provare a definire la possibile Teologia politica del nuovo pontefice, altra coordinata è il tema del lavoro che per il cristiano è uno strumento di fede per cui il semplice richiamo all’Enciclica di Leone XII, se non ben inquadrata, per come è stata presentata dai media, appare riduttiva e incapace di cogliere il valore che il lavoro ha rivestito nella teologia e nella filosofia pratica cristiana come lascia intendere lo stesso Pontefice in merito alla scelta del nome. Il tema del lavoro è noto che è una delle questioni più dibattute sin dalle origini del Cristianesimo come si evince dalla lettere ai Tessalonicesi di San Paolo di Tarso per proseguire con la regola voluta da San Bendetto da Norcia dell’ora et labora. L’Umanità cacciata dal Paradiso terrestre deve ricavare il necessario per sopravvivere dal lavoro che è sofferenza, travaglio, termine quest’ultimo che si trova in diverse lingue sia per indicare il lavoro che il partorire. Come scrive Antonio Maria Baggio[1] << La lingua ebraica non ha un termine tecnico per designare il lavoro, corrispondente all’idea moderna che ne abbiamo noi; usa dei vocaboli che indicano la fatica, lo sforzo che sovente non sono premiati dal risultato. Nell’Antico Testamento s’incontra spesso l’esempio dell’uomo che coltiva la terra senza riuscire a raccogliere, oppure del servo che lavora per un altro e non può quindi avere per sé i frutti. La figura del servo, anzi, diviene immagine della stessa condizione umana, in quanto affaticata in un lavoro che non è certo di essere ricompensato. Il disegno originale di Dio però non è smarrito, rimane fondamentale il giudizio positivo sull’esistenza umana e sul lavoro. In ebraico, ad esempio, il termine avoda designa sia il lavoro che il culto e conferisce al lavoro un particolare senso sacrale: di attività che «tende a liberare l’uomo dalla pesantezza della natura». Il termine “lavoro”, insomma, dopo il peccato originale, indica il duplice carattere dell’attività umana: positivo, se l’uomo lavora per l’unità del creato, valorizzando se stesso nell’ordine stabilito da Dio; negativo, se lavora per affermare se stesso contro gli altri. Questo duplice volto del lavoro diventerà, nel corso della storia, uno dei criteri fondamentali per la valutazione di un sistema economico, trovando piena espressione nell’enciclica Laborem exercens di Giovanni Paolo II quando scrive : «Il lavoro umano è una chiave, e probabilmente, la chiave essenziale, di tutta la questione sociale, se cerchiamo di vederla veramente dal punto di vista del bene dell’uomo. È una fondamentale dimensione dell’umano esistere, con la quale la vita dell’uomo è costruita ogni giorno, dalla quale essa attinge la propria specifica dignità, ma nella quale è anche contenuta la costante misura dell’umana fatica, della sofferenza e anche del danno e dell’ingiustizia che penetrano profondamente la vita sociale>>. Con il Cristianesimo la filosofia che sottende il lavoro muta radicalmente. Nelle civiltà antiche il lavoro era compito assegnato agli schiavi mentre alle classi sociali dominanti spettavano le attività legate al comando. Ancora in età medievale il lavoro, nonostante l’influenza crescente del Cristianesimo e della Patristica, [2]soprattutto quello della terra, era appannaggio degli ultimi nella gerarchia sociale: i servi della gleba, i contadini. Con la nascita dei comuni e quindi con la borghesia fatta di artigiani e mercanti la società tende ad essere più articolata il lavoro non è solo più quello dei campi. Con la modernità nasce e si afferma una nuova filosofia del lavoro. Dicevo sin dalle origini il Cristianesimo ha valorizzato il lavoro attribuendogli appunto la funzione di ricostruire il rapporto con Dio. << Per Paolo il lavoro è un modo di farsi povero, per poter essere di Cristo; non si può annunciare la croce adottando uno stile di vita prestigioso o comunque superiore a quello di chi deve lavorare per vivere. È per questo che Paolo lavora, pur avendo diritto a farsi mantenere dalle comunità che fonda o visita; vuole anche evitare di essere scambiato con filosofi o retori, numerosi nelle città greche, che si facevano pagare le lezioni. Il lavoro serve anche ad ordinare la comunità, eliminando per esempio il parassitismo di coloro i quali, ritenendo vicina la fine del mondo, pensano non valga la pena di lavorare; a questo proposito è nota l’espressione paolina: <<Vi ordiniamo , o fratelli , in nome del Signor Nostro Gesù Cristo, di evitare ogni fratello che vive oziosamente e non secondo l’insegnamento che avete ricevuto da noi. Voi sapete bene che è necessario che ci imitiate: noi non ci sottraiamo al lavoro presso di voi, né mangiammo gratuitamente il pane di nessuno. Notte e giorno, con fatica e con pena, lavorammo per non essere a carico di alcuno di voi. Ciò non perché non ne avessimo diritto, ma per offrirvi in noi stessi un esempio da imitare. Perciò quando eravamo tra di voi vi davamo questo precetto: se qualcuno non vuole lavorare, non mangi neppure. Ci è riferito infatti che ad alcuni tra voi vivono nell’ozio, senza far nulla e sempre affaccendati. A questi tali noi ordiniamo e li scongiuriamo nel Signore Gesù Cristo a guadagnarsi il pane che mangiamo lavorando serenamente>> [3], rivolta ai Tessalonicesi. Il contesto storico nel quale operava S.Agostino si caratterizzava per il confronto sul lavoro e sul suo significato valoriale. Vi era all’epoca una corrente di pensiero teologico e filosofico che sosteneva che i religiosi dovessero essere esentati dai lavori manuali,più in generale dal lavoro. L’occasione per affrontare il tema è offerta a S. Agostino da una discussione apertasi sul tema a Cartagine[4] in un convento agostiniano. Le argomentazioni a favore della esenzione dal lavoro da parte dei religiosi traeva spunto da un passo del Vangelo di S. Matteo, su invito del vescovo di Cartagine, Aurelio, interviene sul tema prendendo le mosse proprio dalla lettera di S.Paolo ai Tessalonicesi citata in precedenza. S. Agostino chiarisce il passa del Vangelo nel quale il Signore ha detto : guardate gli uccelli dell’aria che non seminano e non mietono ma non raccolgono neppure nei granai e non cuociono né preparano il cibo che mangiano. Dovete fare altrettanto voi, evidenziando un aspetto che riferito alla contemporaneità in chi è Cristiano e non solo dovrebbe creare qualche problema di coscienza. La risposta di S.Agostino è molto semplice: la predicazione del Vangelo non deve servire per arricchirsi perché va esso va predicato solo per amore e il lavoro non deve essere strumento per alimentare l’avidità e il conflitto tra gli uomini. [5] La filosofia che ispira il lavoro quindi con il Cristianesimo muta radicalmente. Ulteriore passaggio nella valorizzazione del lavoro si ha con le trasformazioni della struttura sociale ed economica che vedrà la nascita del bourgeois [6] a partire dal Basso Medio Evo con l’ascesa della civiltà comunale, la nascita delle Repubbliche Marinare in Italia, della Lega Anseatica nel Mare del Nord, in generale con l’affermarsi del mondo mercantile. In questo arco di tempo a partire dalla Prima Scolastica [7] attività lavorative un tempo ritenute non compatibili con il messaggio Cristiano finiranno con l’essere legittimate sul piano morale e teologico. Scriveva S. Tommaso d’Aquino << il commercio non implica nella sua natura nulla di peccaminoso e di immorale. Perciò niente impedisce di ordinare il guadagno per un fine necessario o moralmente utile (…)Come quando uno ordina il modesto guadagno cercato nel commercio al sostegno della propria famiglia, o a soccorre i bisognosi>>[8]. Come scrive Giorgio Faro [9]<< L’etica aristotelica e cristiana mai potranno essere etiche del risultato esteriore: non interessa in primis il che dell’obiettivo, ma il come si cerca di ottenerlo. Tale atteggiamento ci renderà poi anche capaci di conseguire obiettivi esterni. Vero fine dell’etica è la vita buona del soggetto agente: non ciò che ha, ma ciò che è. Anche se è necessario avere qualcosa: almeno un po’ di beni esterni e un po’ di educazione etica. (…) Ora, il lavorare non ha solo un risultato immediato, ma il fine ultimo del lavoro, analogamente all’etica ( diventare buoni), è il servizio volontario alla persona: la propria e l’altrui. Lo riconosce Tommaso (…). Il lavorare, rendendosi utili a sé e ad altri , è un bene relazionale della persona>>. A partire dall’ascesa della società mercantile legata all’affermazione dei comuni la stessa filosofia del lavoro si posiziona diversamente se alcuni spunti li troviamo già con S. Tommaso a proposito di “giusto guadagno” è soprattutto con la Seconda Scolastica che la filosofia del lavoro cambia l’approccio. Le istituzioni che con l’ascesa delle società comunali portano alla nascita delle Corporazioni di Mercanti e Artigiani comportano una diversa gerarchia sociale rendendo la Società più complessa. Sia chiaro non perché prima non vi fossero artigiani e mercanti è il sistema sociale ed economico che muta. Per il Cristianesimo la differenza sociale impone un ripensamento o meglio una interpretazione della realtà coerente con i dettami della fede. Il lavoro come abbiamo visto è il Cristianesimo a liberarlo dall’essere riservato solo agli schiavi, dei servi e più in generale delle classi subordinate per diventare elemento capace di ricongiungere l’uomo a Dio. Nel passaggio dalla società feudale a quella mercantile rappresentata dai Comuni il lavoro da essere centrale perché in grado di riconciliare l’uomo con Dio acquista una caratteristica che è tutta interna all’essenza stessa del lavoro. La svolta verrà data in modo profondo dalla Riforma Protestante con Calvino[10] e Lutero. Il trionfo del sistema Capitalista e l’ascesa della borghesia farà si che il lavoro diventi la caratteristica fondamentale dell’uomo borghese. La trasformazione sociale ed economica dovuta alla Rivoluzione Industriale iniziata alla metà del XVIII secolo in Inghilterra a da li interesserà prima l’Europa continentale, poi Stati Uniti e in estremo Oriente il Giappone porterà conflitti sociali tra borghesia capitalista e classi sociali subalterne in particolare la nascente classe operaia legata all’attività produttiva delle nascenti industrie. Le innovazioni tecnologiche che caratterizzano la Rivoluzione industriale non riducono il lavoro, creano altro lavoro anche in presenza di una riduzione del lavoro. A partire dalla fine del XIX secolo , in vari Paesi industrializzati verranno emanati legge che fisseranno un orario di lavoro inferiore a quello delle prime fasi dell’industrializzazioni, limiti verranno posti al lavoro minorile e a quello delle donne, aumenterà la produttività e con essi i salari. Il passaggio dalla società agricola a quella industriale farà aumentare le ore di lavoro. Se nelle società prevalentemente agricole i tempi del lavoro erano scanditi dalle stagioni e quelle giornaliere dai rintocchi della campana della chiesa, con la società industriale i tempi dell’esistenza mutano sono il fischio del treno e della fabbrica che scandiranno i tempi del lavoro e dell’esistenza. Il lavoro nell’accezione liberale è lo strumento attraverso il quale si acquisisce la proprietà privata . Scriveva J. Locke [11] <<Sia che si ascolti la legge naturale, la quale ci dice che gli uomini , una volta nati, hanno diritto alla sopravvivenza, e dunque a cibo, bevanda e a tutto ciò che natura offre per la loro sussistenza; sia che si ascolti la rivelazione, la quale ci descrive la donazione che del mondo Dio fece ad Adamo, a Noè e ai suoi figli, è comunque evidente che Dio , come dice re Davide ( Salmi, CXIII, 16), “ ha dato la terra ai figli degli uomini”, l’ha data in comune a tutta l’umanità. Ciò posto, ad alcuni sembra difficilissimo spiegare come si sia venuti ad avere singolarmente proprietà di qualcosa. (…). Dio, che ha dato la terra in comune agli uomini, ha dato loro anche la ragione , onde se ne servissero nel modo più vantaggioso per la vita e il benessere loro. (…). Benchè la terra e tutte le creature inferiori siano comuni a tutti gli uomini , ciascuno ha tuttavia la proprietà della sua persona: su questa nessuno ha diritto alcuno all’infuori di lui. Il lavoro del suo corpo e l’opera delle sue mani, possiamo dire, sono propriamente suoi. Qualunque cosa dunque egli tolga dallo stato in cui natura l’ha creata e lasciata, a essa incorpora il suo lavoro e vi intesse qualcosa che gli appartiene, e con ciò se l’appropria. Togliendo quell’oggetto dalla condizione comune in cui la natura lo ha posto , vi ha aggiunto col suo lavoro qualcosa che esclude il comune diritto degli altri uomini. Tale lavoro essendo infatti indiscutibile proprietà del lavoratore, nessun altro che lui può aver diritto a ciò cui esso è stato incorporato, almeno là dove avanzano , per la comune proprietà degli altri, ben sufficienti altrettanto buoni.>> Nel contesto rappresentato dalla Rivoluzione industriale si inserisce L’Enciclica Rerum Novarum di papa Leone XIII che comporta anche un diverso impegno da parte dei cattolici rispetto alle questioni sociali e alla partecipazione alla vita politica. Rispetto ai mutamenti che interessano il mondo occidentale a cavallo tra 800 e 900 la fenomenologia di Husserl ha la sua importanza nella ridefinizione della filosofia del lavoro rispetto al pensiero cristiano nello specifico ad opera di Max Scheler [12]. L’impostazione di Scheler si pone oltre l’Aquinate. Mentre per S. Tommaso il lavoro è l’attività che caratterizza l’uomo per Scheler[13] è solo una delle attività che caratterizza l’uomo. Con Scheler cambia la visione del lavoro. Non a caso chi apprezzerà Scheler sarà Marcuse. Karol Woytila riprenderà Scheler [14] sostenendo che << in quanto immagine di Dio è persona, ossia soggetto capace di decidere autonomamente, che tende all’auto – realizzazione >> ( …) tramite il lavoro l’uomo non solo trasforma la natura , adattandola alle sue necessità, ma si perfeziona anche come essere umano e, in certo senso, diviene un essere più umano >>. D. Verducci[15] scrive in merito a Scheler << La questione sociale, innescata nel mondo contemporaneo dal diffondersi della preminenza del lavoro su ogni altro essere attivo, è dunque portatrice di una domanda di filosofia pratica : come si può ripristinare su scala sociale la dinamica lavorativa corretta, rilevata nel caso più elementare del lavoro, in cui all’interno del singolo artigiano che lavora a un solo oggetto, ha luogo quello sdoppiamento tra soggetto morale e soggetto lavorativo, dal quale il lavoro trae la sua validità antropologica? In altri termini: in che modo si può ricostruire la dimensione etica , depositaria di finalità oggettive in soggetti che , interpretando la propria vita come lavoro e trascorrendo la parte preponderante della vita a lavorare , sembrano diventati incapaci di staccarsi dal rassicurante meccanismo del mero eseguire e trasformare , sul quale anzi sempre più ogni altro essere attivo? >> Questo in Marx è il tema dell’alienazione che trova due interpretazione nel Marx giovane e Marx maturo. << Scheler propone di ovviare con l’istruzione e la formazione un nuovo sviluppo della coscienza etica nei soggetti lavoratori, così che essi possano dar vita, politicamente , a una costituzione statale per la quale “ i fini riconosciuti da tutti i cittadini come obiettivamente validi per tutti , ritornano su tutti i cittadini nella forma di una totalità sistematica >>. I passi riportati molto sinteticamente riportano i termini delle riflessioni, almeno alcune, sul senso del lavoro. Passando direttamente da Woytila a Papa Leone XIV il tema del lavoro ritorna ad essere centrale in un contesto nel quale è stato svalutato, ridotto a semplice merce, messo in discussione da innovazioni tecnologiche, come l’Intelligenza artificiale, precarizzato, svilito nella sua funzione sociale di autonomia, di partecipazione politica e di realizzazione personale. Sul tema non può passare inosservato Avvenire del 13 maggio u.s.. La rubrica Agorà riporta l’intervista ad Axel Honneth uno dei maggiori pensatori tedeschi contemporanei chiaramente schierato su posizioni di sinistra. L’intervista riguarda la pubblicazione del suo ultimo lavoro dal titolo “ Il lavoratore sovrano. Lavoro e cittadinanza democratica”. Il titolo dell’intervista è già di per se significativo << Il lavoro produce la libertà>>. In un passo dell’intervista alla domanda del perché il lavoro non è più al centro del dibattito filosofico – politico e se questo dipendesse dall’ascesa del neoliberalismo, la risposta di Honneth è << No, non credo. Questo disinteresse è iniziato già prima, già negli anni Sessanta, quando la filosofia e la teoria sociale hanno contribuito a diffondere l’idea che il lavoro avesse perso rilevanza etica e funzionale di orientamento nella vita di ognuno (…)>> Oggi, con la crescente precarizzazione e frammentazione del lavoro, dobbiamo cambiare rapidamente modo di vedere e renderci conto che è ancora il posto del lavoro a determinare le possibilità di vita, il benessere e la salute mentale delle persone. Ecco perché penso che il lavoro debba tornare al centro dei dibattiti filosofico – politici>>. In altri passi dell’intervista Honneth richiama implicitamente gli artt. 3 e 4 della nostra Costituzione. Ad Honneth sembra rispondere il cardinale Zuppi quando intervenendo, a Bologna, ad una mostra storica sul lavoro “richiama l’ urgenza di restituire dignità alla condizione lavorativa come fondamento della vita sociale per cui serve un impegno educativo e culturale. Se questo è il contesto mi sembrano chiare che le due categorie utili per comprendere quella che potrebbe essere la Teologia politica di Leone XIV sono il richiamo all’agostinismo con tutte le implicazioni che attengono l’essere Cristiani e il Lavoro da rivalutare sul piano etico, religioso, politico ed economico.
[1] A.M- Baggio Lavoro e dottrina sociale della Chiesa. Dalle origini al 900. Città Nuova Editrice
[2] Agostino Di Ippona Vita, Pensiero, Opere Scelte da Armando Massareti Edizione Speciale per il Sole 24 Ore 2006
[3] San Paolo – Le lettere – Ed . Einaudi
[4] Povertà e lavoro nell’ideale agostiniano di P. Agostino Trapè
[5] Per approfondire il pensiero di Agostino di Ippona https://www.augustinus,it
[6] Storia Economica Cambridge Vol. 1 L’agricoltura e la società rurale nel Medio Evo ed Einaudi 1976,
Vol. 2 Commercio e industria nel Medio Evo ed Einaudi 1976,
Vol. 3 Le Città e la politica economica nel Medio Evo ed. Einaudi 1976;
A cura di Franco Franceschi Storia del lavoro in Italia. Medioevo. Dalla dipendenza del Lavoro al lavoro contrattato . ed. Castelvecchi 2017
[7]Tommaso D’Aquino Vita, Pensiero, Opere Scelte da Armando Massarenti Edizione speciale per Il Sole 24 Ore 2006
[8] Tommaso d’Aquino – Summa Theologica
[9] G. Faro – La filosofia del lavoro e i suoi sentieri – Pontificia Università della Santa Croce . Facoltà di Filosofia 2014
[10] Max Weber – L’etica protestante e lo spirito del capitalismo – ed Sansoni
[11] J. Locke Trattato sul Governo Editori riuniti anno 1974
[12] Verducci D. Il segmento mancante. Percorsi di filosofia del lavoro. Ed Carocci 2003
[13]Scheler M. Lavoro ed etica Ed. Città Nuova 1998
Scheler M. Lavoro e Weltanschauug in : Lo spirito del capitalismo. Guida Editori 1988.
[14] Wojtila K. Persona e atto, a cura di G. Reale e T. Styczen Ed. Rusconi 1999
Giovanni Paolo II Laborem excercens ………
[15] Ibidem nota 12