Le certezze del nucleare e la scissione dell’ameba

par Daniel di Schuler
martedì 22 marzo 2011

Sembrava che uno dei lasciti più certi del '900 fosse proprio l'incertezza; dopo Godel e Heisemberg, pareva che il nostro mondo, perse le verità dell'ottocento, si fosse fatto d'approssimazioni e probabilità.

Non lo si sarebbe detto, ascoltando i tifosi del nucleare, nei giorni scorsi; se ammettevano che qualcosa era pure andato storto, in Giappone, erano però prontissimi a ribadire che si era trattato di circostanze del tutto eccezionali che, per di più, avevano colpito delle vecchie strutture.

I nuovi reattori, dicevano, saranno ancor più sicuri di quelli esistenti; saranno, in pratica, sicuri al 100%.

Per ridere di loro basterebbe leggere un bel libro del premio Nobel per la fisica Richard Feynmann: "What Do You Care What Other People Think?" (Il suo titolo nella traduzione italiana credo sia: "Che t'importa di quel che pensa la gente?").

Feynmann, che fu messo a capo della commissione d'inchiesta che s'occupò della tragica distruzione della navetta Challanger, vi spiega, in un linguaggio accessibile a tutti, quanto siano intrinsecamente insicuri i prodotti della più raffinata tecnologia.

Ognuna delle parti che li compongono è stata testata infinite volte e minime sono le possibilità che possa malfunzionare; il problema è che queste parti sono decine o centinaia di migliaia e quelle minime probabilità, componendosi, danno luogo a margini di rischio tutt’altro che irrilevanti.

Anche le nuove centrali, a meno che si riesca a progettarle in modo da essere intrinsecamente sicure (vale a dire sicure prescindendo dall’intervento di macchinari ed apparati), comporteranno dei rischi che, per quanto bassi, considerato il numero degli impianti e gli anni del loro funzionamento, si traducono nella quasi certezza di futuri incidenti.

Si badi bene: non sono, solo per questo, a priori contro il nucleare.

Vorrei però che una simile soluzione ai nostri problemi energetici, con i rischi che comporta, venisse adottata solo se non ve ne fossero altre; se la scelta fosse tra il nucleare ed un ritorno al medioevo per fame d’ energia.

Vorrei che prima di costruire una sola centrale atomica (delle cui scorie, anche senza incidenti di sorta, non sappiamo davvero che fare) venisse compiuta una stima dell’energia che il nostro paese può ricavare, con le tecnologie esistenti ed immediatamente futuribili, dalle fonti rinnovabili, e vorrei che prima si considerassero tutte le misure di risparmio energetico possibile.

Non auspico un ritorno alle carrozze a cavallo né penso si possa chiedere ai nostri contemporanei il minimo sacrificio; esiste però la possibilità, in molti settori, di fare quel che già facciamo in modo energeticamente più razionale: si tratta di vivere tanto bene quanto ora, o meglio, sprecando meno energia.

Il sospetto è che il nucleare, specie in Italia, non sia una scelta della ragione, ma del portafoglio; non del portafoglio nazionale, intendiamoci, ma di quello degli affaristi che dal nucleare pensano di trarre lauti profitti.

Quel che è certo è che la scelta atomica non diminuirà in alcun modo la nostra dipendenza energetica dall’estero (l’uranio dobbiamo importarlo) né abbasserà minimamente il costo dell’energia; Carlo Rubbia, che non credo sia un romantico “abbracciatore d’alberi” come il sottoscritto, spiegava come il kilowattora nucleare, considerati gli ammortamenti delle centrali, i costi del loro smantellamento e quelli della gestione delle scorie, sia in realtà più caro di quello ottenuto dai combustibili fossili.

Che le centrali nucleari siano tutt’altro che necessarie al paese lo dimostrano, d’altronde, le parole di Stefania Prestigiacomo, prontissima, in nome della ricerca del consenso, a cambiare la propria posizione, unica tra i ministri dell’ambiente dell’universo, favorevole all’atomo. Pronta lei, e, a giudicare dalle cautele espresse poi dal resto dei Ministri, pronto tutto il Governo a tornare indietro su una scelta, divenuta imporvvisamente impopolare, che, ancora nei primi giorni della tragedia giapponese, veniva difesa a spada tratta come vitale per il futuro della nostra economia.

E’ l'ennesima dimostrazione di pressappochismo di una classe dirigente che, nel suo complesso, dibatte e poi decide “a naso” su argomenti di cui sa poco o nulla; che non ha neppure la preparazione per comprendere i termini dei problemi cui dovrebbe ferire soluzioni.

Esagero? Mi piacerebbe poter chiedere ai nostri politici - ingegner Castelli escluso - che cosa sia un Joule. Un dopobarba o un profumo francese, magari quelli usati da Sarkozy o dalla sua signora, temo sarebbe la risposta.

Il nostro geniale Presidente del Consiglio, d’altra parte, ha parlato di energia nucleare come della “energia ottenuta dalla divisone delle cellule”, e non possiamo pretendere che i suoi manutengoli siano migliori di lui.

La divisione delle cellule... mi ricordo un libro di scienze delle medie: c’era la foto di un ameba al microscopio e una didascalia spiegava che l’ameba è un animale unicellulare.

Non mi dite che Berlusconi vuole ottenere energia dalla scissione di Bondi?

No, sarebbe troppo crudele anche per uno come lui.


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