Le centrali nucleari in Italia. Il caso del Garigliano (Seconda Parte)

par Emiliano Di Marco
mercoledì 28 agosto 2013

Quale era il contesto in cui fu realizzata la prima centrale elettronucleare italiana? Quali erano le tecnologie disponibili all'epoca? Dove sono stati trasferiti i rifiuti nucleari della centrale del Garigliano? Quali sono state le conseguenze per la popolazione del “cratere nucleare”?

CONTINUA DA QUI

La centrale del Garigliano

La centrale nucleare del Garigliano iniziò il suo funzionamento commerciale nel giugno 1964, ottenendo però solo nel 1967 la “licenza di esercizio”; per tre anni quindi è stata abusiva.

Nel periodo compreso tra il 1968 ed il 1975, per produrre maggiore energia, l'Enel sostituì 72 delle 208 barre di Uranio della nocciolo del reattore con barre di Plutonio (tempo di dimezzamento 24mila anni, dose letale 1/10 di milligrammo).

Il camino della centrale del Garigliano, in funzione, immetteva nell’atmosfera 120.000 metri cubi di sostanze aeriformi ogni ora. L'espulsione del vapore nell'aria veniva trattata dai filtri posti alla base del camino. Secondo la stessa Enel e l'Enea, i filtri erano efficaci al 99,97%. Il restante 0,03% veniva quindi espulso in stato non puro. Calcoli alla mano fanno quindi 36 metri cubi all'ora, moltiplicate per 15 anni, di sostanze venute a contatto con le barre di uranio arricchito nel reattore, liberate nell’aria e nell'ambiente circostante.

La centrale ha funzionato solo per 15 anni, appena 5 anni in più della coetanea centrale di Latina, collezionando almeno ben 12 incidenti documentati dagli antinuclearisti fino al 1978 (un altro, anche se di lieve entità, è documentato nei Kissinger's Cables di Wikileaks), quando la gestione è passata dall'Enel all'ENEA (Ente Nazionale per l'Energia Nucleare).

A partire dal 1972, in base alla raccolta dati effettuata dagli attivisti locali, si noterebbe un progressivo aumento dei casi di cancro, leucemie e malformazioni congenite nell'area del “cratere nucleare”. Tra gli incidenti: nel 1972 e nel 1976, si verificarono l'esplosione del sistema di smaltimento dei vapori e gas incondensabili, con rottura dei filtri e rilascio di emissioni nell'atmosfera. Nel 1976 avvenne anche l'esondazione del fiume, un grave incidente che si ripeterà dopo la “chiusura” della centrale il 14 novembre 1980, quando il livello del fiume raggiunse metri 8.23. In entrambi i casi l'acqua del fiume Garigliano entrò nell'area della Centrale, costruita a pochi metri dalle sponde, fino ai locali dei depositi di rifiuti radioattivi e negli impianti di scambio ionico dei condensati.

Il novembre del 1980 fu un periodo drammatico anche perchè pochi giorni dopo l'esondazione, il 23 novembre, ci fu pure il terremoto dell'Irpinia, evento disastroso anche per la piana del Garigliano e che aumentò l'allarme sociale sulle conseguenze di un disastro nucleare. 

I depositi di condensazione, nella centrale BWR del Garigliano, erano degli impianti di filtrazione/demineralizzazione impieganti resine a scambio ionico, inseriti a bassa ed alta temperatura sulla chimica dell'acqua dei circuiti del condensato, prima che l'acqua venisse reimmessa nel fiume.

La procedura di trasferimento delle scorie radioattive nei due depositi, invece, avveniva a cielo aperto, e come acclarato dall'inchiesta condotta dopo l'eccezionale esondazione del 1980, i locali non avevano ricevuto nessun collaudo e non disponevano di pompe idrauliche, impiantate solo in seguito.

Nella relazione peritale dell'epoca redatta dai tecnici del CNEN si legge infatti: “i serbatoi T/10A e T/10B sono a cielo aperto. Tale situazione, tenuto conto che i tubi attrverso cui s'invia il concentrato sono eccentrici e che il condensato viene spinto a vapore, favorisce la formazione di spruzzi che possono depositarsi sul pavimento e sulle pareti dei locali; i serbatoi non sono posti in un “vassoio”, destinato a contenere perdite o lacrimazioni; il locale dei serbatoi che, fino a qualche tempo fa era scarsamente protetto dalla pioggia, ha mostrato di non possedere adeguata tenuta, prova ne sia che l'acqua è entrata ed è uscita sia nel corso della piena di novembre 1980, sia almeno in un'altra occasione" (si riferisce al dicembre 1976, N.d.r.)”.

Il problema delle scorie

L'assenza, tuttora, di un sito nazionale per il trattamento e la rigenerazione delle scorie radioattive, ha costituito per anni uno dei principali dubbi sul loro effettivo smaltimento, soprattutto durante il periodo di funzionamento della centrale elettronucleare del Garigliano (1966-1978).

Nel 1997 Greenpeace denunciò l'esistenza in Italia di un mercato clandestino dello smaltimento incontrollato di rifiuti, radioattivi e non, e l'esistenza di un network di operatori economici e finanziari, che con la collaborazione dei clan mafiosi, aveva tentato di smaltire illecitamente rifiuti nucleari e tossici nei paesi in via di sviluppo, oppure seppellendoli nei fondali marini.

Jolly Rosso

La denuncia di Greenpeace, a cui seguì un rapporto della Legambiente, faceva riferimento ad alcune informazioni, confermate anni dopo da un pentito della 'ndrangheta, Francesco Fonti, che confermò che le mafie tra gli anni '80 e '90 erano solite acquistare “carrette del mare” non solo per traffici di armi, e droga, ma anche per il traffico sostanze tossiche e rifiuti nucleari, per poi affondarle nel mediterraneo ed al largo della Somalia con il loro carico.

L'episodio più clamoroso riguardò la nave Jolly Rosso della compagnia Ignazio Messina, una società che vantava già all'epoca ottimi rapporti commerciali con la Libia, l'Egitto ed il Libano, che venne trovata spiaggiata in Calabria, senza carico e senza equipaggio, il 14 dicembre del 1990. La nave era partita da La Spezia ufficialmente con un carico di tabacco e prodotti alimentari che però non fu rinvenuto dopo lo spiaggiamento.
Cap. Natale De Grazia

 Lo smantellamento della nave fu eseguito dalla compagnia stessa, in fretta e furia, su ordine del PM Fiordalisi della procura di Paola. Il mistero su cosa trasportasse la nave, sui cui traffici stava effettuando un reportage Ilaria Alpi prima di essere uccisa in somalia con Marco Hrovatin, si è poi infittito quando, nel 2009, a trecento metri dalla spiaggia di Amantea dove si arenò la nave, è stata ritrovata una cava contenente materiali radioattivi.

 
Nel 2009 venne invece ritrovato, al largo di Cetraro, sempre in Calabria, il relitto di una nave che si ritieneva fosse la Cunski, e che la 'ndrangheta l'avesse affondato con un carico di fusti radioattivi. Sul ritrovamento, smentito frettolosamente dalle autorità, si aprì una inchiesta della magistratura, in seguito ad una denuncia della Legambiente. Durante le indagini morì misteriosamente il capitano di vascello Natale de Grazia, sulla cui vicenda è stato istituito un comitato che si batte per l'accertamento della verità.
 
Dell'esistenza dei traffici di rifiuti nucleari, gestiti dalle mafie e provenienti dalle centrali italiane, non si è mai trovata conferma effettiva.

Per quanto riguarda le scorie attualmente esistenti in Italia, nell’ambito della strategia definita nei Piani Energetici Nazionali, fino al 1990, l’ENEL ha avviato al ritrattamento tutto il combustibile di Latina e parte di quello di Trino e del Garigliano. Nel 1999 è stata costituita la SOGIN (Società di Gestione Impianti Nucleari) che ha ereditato tutte le attività nucleari dell'ENEL, prima gestite dall'ENEA. La SOGIN ha ricevuto nel 2001 il mandato di esaurire i contratti di ritrattamento già stipulati (nel 1980) con l’invio al ritrattamento di ulteriori 53,3 t di combustibile; di stoccare a secco presso le centrali il combustibile residuo (circa 230 t), in attesa di smaltirlo nel deposito nazionale, non ancora istituito. La spedizione delle ulteriori 53,3 t è stata avviata nell’aprile 2003 e completata nel febbraio 2005.

La Hague

Nel 2007 è stato firmato un contratto del valore di oltre 250 milioni di euro tra SOGIN (Italia) e la multinazionale francese AREVA (Ex Cogema) per il trattamento a Cap de La Hague, in Francia, del combustibile nucleare italiano. L'accordo per il trasferimento 220t di combustibili a base di uranio e 15t a base di MOX (ossidi misti di uranio e di plutonio) provenienti dalle ex centrali di Caorso, Trino e Garigliano (13t solo da quest'ultima), ha sbloccato una situazione che durava dal 1987 quando, dopo il referendum sul nucleare, le centrali furono chiuse e le scorie nucleari poste in trincea o interrate nelle centrali stesse. La Areva tratterà le scorie fino al 2025, quando i residui dovranno poi rientrare in Italia.

Sellafield

Dal 1966, le scorie delle centrali italiane, non esistendo in Italia impianti e siti dove trattarle, rigenerarle o rendere meno dannosi i combustibili usati, venivano trasferiti alla centrale di Sellafield, in Gran Bretagna, specializzata per i combustibili dei reattori Magnox, dove venivano ritrattate, separando uranio e plutonio, e riconsegnate alle centrali italiane.

Inizialmente realizzata per rigenerare il combustibile a base di grafite delle centrali Magnox, per un totale di 800t annue, a partire dal 1976 la centrale di Cap de La Hague, in Francia, è stata messa in grado di trattare le barre di combustibile provenienti dalle centrali con reattori ad acqua leggera (LWR e MOX). La megastruttura impiega attualmente 6000 addetti su un'area di 300 ettari e gestisce la metà delle scorie nucleari mondiali prodotte.

Le operazioni di trasporto in passato, fino alla fine degli anni '80, avvenivano senza informare le popolazioni dei rischi connessi al trasporto di materiale radioattivo, oltre che con procedure sbrigative che in alcuni casi hanno provocato degli incidenti, come ad esempio quello avvenuto nel 1982, quando un contenitore su rimorchio ferroviario spedito dalla Germania, a partire dallo scalo San Lorenzo di Roma, dove era stato instradato su su gomma, perse per strada la bellezza di 9.000 litri di acqua con cobalto 58, cobalto 60, e manganese 54.

Il trasporto delle scorie nucleari verso Sellafield avveniva via mare, con le navi gemelle Stream Fisher e Pool Fisher della compagnia Fisher James & sons, principalmente lungo la rotta tra Civitavecchia, Anzio e Barrow. Le navi venivano utilizzate anche per trasporti non radioattivi, esponendo le merci al rischio di contaminazione radioattiva. La Pool Fisher fece poi naufragio nel 1979, nei pressi dell'Isola di Wight, fortunatamente con un carico di potassio. Nell'incidente morirono 13 membri dell'equipaggio.

Conseguenze dell'inquinamento nucleare

Sull'interamento dei rifiuti nucleari, in seguito alla chiusura della centrale, circa 3.000 mc di materiali a bassa e media intensità seppellitti a 50cm di profondità nel terreno dell'area della Centrale del Garigliano, la procura di Santa Maria Capua Vetere ha aperto, lo scorso dicembre, un fascicolo per distrastro ambientale. Nelle indagini, coperte ancora da segreto istruttorio, la Guardia di Finanza avrebbe sequestrato alla SOGIN i registri di scarichi liquidi ed aeriformi che sarebbero stati compilati a matita. Il nucleo sommozzatori ha invece prelevato dei campioni per le analisi nelle acque le fiume e della foce del Garigliano. 

Ad oggi, nessuno studio epidemiologico è stato fatto dal Ministero della Sanità per sapere cosa è successo realmente. Mentre gli ambientalisti sono in attesa dell'avvio del registro provinciale dei tumori.

Tra i pochi dati certi, va registrato il censimento dei vitelli nati tra il 1° gennaio 1979 ed 31 ottobre 1980, tra i quali emerge il dato che su 389 capi nati nell'area A, ovvero ad 1km di raggio dalla centrale, si verificarono 12 casi di maformazione (incidenza del 3%), contro i 6 casi su 745 (0,9%) della zona B (da 1 a 6km di raggio dalla centrale; ed 1 solo caso di defformazione su 1577, nella zona C (da 6 a 40 km di raggio). Nella zona A quindi il fenomeno registrato è 33 volte più elevato che nella zona C, 9 volte più elevato nella zona B rispetto alla C.

Una relazione del 1983, sulle quattro campagne radiologiche condotte dall'ENEA tra il 1980 ed il 1982, su un'area di 1700 kmq, a firma dei ricercatori A. Brondi, O. Ferretti e C. Papucci dal titolo “Influenza dei fattori geomorfologici sulla distribuzione dei radionuclidi. Un esempio: dal M. Circeo al F. Volturno, documenta l’azione di contaminazione radioattiva, legata ai radionuclidi di cesio-137 e cobalto-60, dell’area del golfo di Gaeta a seguito dei rilasci degli effluenti liquidi della centrale del Garigliano conclude dicendo che le zone di massimo accumulo dei radionuclidi sono state individuate nell’area terminale del fiume Garigliano; per l’ambiente marino, nella fascia compresa tra le batimetrica 40-70 m e nell’interno del golfo di Gaeta.

 
La stessa relazione riportava che "le attività del Cesio137, nei primi due centimetri dei fondali antistanti il golfo di Gaeta, nelle aree di maggiore concentrazione, corrispondono a 7millicurie/kmq (259MBq/kmq)”, mentre gli "inventari di Plutonio 239,240 nei sedimenti erano particolarmente elevati (da 2 a 4 volte le deposizioni da fallout, pari a 81 Bq/mq a queste latitudini), sono stati rilevati nell’area fra le batimetriche di 30 e 50m”. Anche questi dati però vanno valutati tenendo conto che l'area marina interessata dalla ricerca era, ed è tuttora, attraversata dalle navi, dalle portaerei e dai sottomarini a propulsione nucleare della VI Fotta della U.S Navy, di stanza a Gaeta. 

Tra il 1971 ed il 1980, dai registri dell'USL LT6, risulta che nell'ospedale “Dono Svizzero” di Formia (LT), ospedale che serviva una vasta area compresa tra i comuni di Formia, Minturno, Sessa Aurunca, Roccamonfina, Castelforte e SS.Cosma e Damiano, sono nati 15.771 bambini, tra i quali sono stati registrati 90 casi di malformazione genetiche.

L'incidenza di tumori e leucemie nella piana del Garigliano, secondo i dati raccolti e pubblicati da Marcantonio Tibaldi (un ambientalista che ha dedicato 40 anni della sua vita per denunciare i danni causati dalla centrale), tra il 1972 ed il 1978, sarebbe stata del 44%.

Attualmente la SOGIN sta attuando un piano di “decommissioning” con l’obiettivo di completare lo smantellamento degli impianti e la messa in sicurezza dei rifiuti entro il 2025, restituendo a prato l'intera aera della centrale, così come richiesto dalle associazioni ambientaliste e come desideravano anche alcuni degli attivisti e militanti che non hanno fatto in tempo a vedere l'inizio dello smantellamento dell'ecomostro contro cui si sono battuti.

Il piano di decommisioning della centrale del Garigliano è uno dei primi smantellamenti di centrale nucleare avviati al mondo e viene monitorato da una commissione di controllo di cui fanno parte rappresentanti dei comuni della zona, delle forze politiche e delle associazioni ambientaliste.

 

Foto logo: Wikimedia

 

Leggi l'articolo completo e i commenti