Le brioches di Letta: abolizione del finanziamento pubblico ai partiti

par Dario Sabaghi
sabato 14 dicembre 2013

Dategli le brioches”. Ecco fatto. L’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, annunciato oggi dal Presidente Enrico Letta al CDM e anticipato dal primo tweet giornaliero, è stata una sorpresa per tutti, o quasi. La legge, già pronta, è quella approvata dalla Camera e che attendeva il via libera del Senato. Tanto per rammentarla, essa prevede che i cittadini possano scegliere “in tutta libertà” di destinare il 2 per mille (che secondo Letta “non frega il cittadino”) ai partiti o attraverso un sistema di contribuzione fiscale volontario. Inoltre il testo prevede che tutti i partiti certifichino i propri bilanci che dovranno essere resi pubblici. Entrambi punti critici per l’opposizione pentastellata, che ritiene il Friday Letta Show un’ennesima “presa per il culo” perché la legge sarà effettiva solo dal 2017, un lasso di tempo nel quale i partiti continueranno a percepire soldi pubblici sotto forma di rimborsi, tranne il M5S che ha rinunciato alla propria quota.

Che sia una strategia per calmare le acque fredde del dicembre politico italiano, è fuori discussione. L’arrivo di Renzi a via delle Fratte e una settimana calda come quella che sta finendo ha sollecitato il Governo ad espletare un’azione plateale: l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti. L’abolizione, richiesta dalla società civile da anni e ancor prima dal referendum del ‘93 lascia ormai il tempo che trova, specie se i partiti, come giustamente ha affermato Grillo, non ridanno indietro le somme già percepite, alla stregua del M5S.

Le istanze del Paese sorpassano ormai anche le tematiche dei costi della politica perché vogliono sorpassare la politica stessa, non prima di averla investita, se necessario. Perché è questa l’aria che si respira ultimamente: forconi nel baule di una Jaguar, manifestazioni nelle maggiori città italiane, sulle autostrade, atti di rappresaglia contro semplici commercianti, la guerra tra poveri. E ancora: scontri alla Sapienza, a Torino, violenza, urla fischi & lazzi, fascisti dell’ultim’ora o riservisti, comunisti e chi vede nella mafia il vero Stato. Di tutto un po’.

I ghiacciai del politichese e del politicante si sono sciolti e il mare magnum italiano cresce, aumenta: la cinghia di trasmissione tra la politica e la società che dovrebbe essere incarnata dai partiti politici ha fallito. La comunicazione tra politica e cittadini non è ormai più possibile, da anni forse. Chi scende in piazza? Il cittadino impegnato? Non più solo lui. Chi protesta adesso è un’accozzaglia di gente non uniformemente catalogabile: ovvero è come dire tutti. Ed è questo il problema principale, perché quando si va a svegliare la rabbia repressa del cittadino che lavora e che fino ad ora si era limitato a parlare di politica estrinsecandola con un “la politica fa tutta schifo” e lo si vede in piazza, qualcosa sta realmente cambiando.

La politica cercava disperatamente il bacino elettorale dell’astensionismo: eccolo. L’elenco delle cose che non vanno in Italia si perde strada facendo, spesso non ci si ricorda più perché si scende in piazza se non per i propri problemi, che ormai sono quelli di tutti. Problemi che sono, a detta della maggioranza, tutti comunque riconducibili ad un imperativo categorico assoluto: “tutti a casa”. Ma poi? Elezioni subito? Sì, con quale sistema elettorale? Rientra tra le sorpresine di Renzi. Anche l’uovo Kinder è passato di moda.

Il governo Letta annuncia l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti ma non capisce (o fa finta di non capirlo) che la gente non vuole più i partiti, questi partiti. Sono brioches quelle che Letta vuole dare al popolo, in una guerra delle farine che sta per iniziare, in attesa che Roma diventi bianca.

 

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