Le banche nell’Emirato afghano
par Enrico Campofreda
sabato 3 dicembre 2022
I tanti che in Afghanistan ci sono rimasti - quei trentatré milioni e più che non agguantavano i voli di fine agosto 2021 successivi alla calata dei taliban su Kabul e sul potere, né transitavano nei corridoi umanitari organizzati in Occidente soprattutto per chi s’era esposto coi governi collaborazionisti e temeva per la propria incolumità - devono fare i conti col sostentamento quotidiano.
I più fortunati che per attività proprie, commerciali e imprenditoriali d’una certa consistenza, o per rapporti di lavoro con le poche Ong tuttora presenti sul territorio si rivolgono alle filiali del denaro, raccontano le traversie per effettuare operazioni di prelevamento e versamento. Tutto comincia di notte nella speranza che la coda che troveranno davanti la banca non sia già copiosa alla dieci della sera. Se, quando s’arriva al cospetto di chi è già intruppato, si contano almeno cinquanta persone, meglio lasciar perdere. Di solito quelli sono i numeri che al mattino vengono distribuiti dagli addetti agli sportelli, per quanto talvolta pur avendo un regolare numerino l’operazione risulta impraticabile. Ciò che si può fare quasi sempre è versare denaro o compiere transazioni verso terzi. Si tratta di casi rari, perché chi ha contante non lo porta in giro di notte per timore di rapine e poi la liquidità, in afghani e ancor più in dollari, offre possibilità immediata di effettuare acquisti e impegni. Come detto c’è il rischio del furto, però alcuni lo corrono e s’attrezzano con armi proprie o guardia spalle. Chi è impegnato nei lavori con Ong è obbligato a ricorrere alle banche, che sono meno numerose dell’epoca precedente l’avvento talebano, ma continuano a esistere. L’importo ottenuto dai fortunati della coda, che dopo la nottata d’attesa giungono allo sportello, s’aggira sul 5% della quota del loro conto.
Enrico Campofreda