Le banche chiedono maggiori libertà mentre le pensioni vanno in crisi

par Phastidio
venerdì 24 dicembre 2010

 

Lo scorso luglio, il Comitato di Basilea per la riforma della supervisione bancaria ha adottato la regola del 3 per cento che stabilisce che, per ogni 3 dollari di capitale, una banca può indebitarsi per un massimo di 97 dollari. Si tratta di una ipotesi di lavoro che potrebbe essere rivista prima dell’entrata in vigore delle nuove norme, visto che le banche hanno già iniziato un poderoso fuoco di sbarramento sotto la guida della lobby settoriale globale, quell’International Institute of Finance presieduto dal boss di Deutsche BankJoseph Ackermann.

La motivazione delle banche è sempre quella: se non ci lasciate liberi sulla leva finanziaria, saremo costretti a ridurre gli impieghi. E poco importa che alcuni studi storici non abbiano finora trovato alcuna correlazione tra livello di leva e volume dei crediti erogati. Il controllo della leva spaventa le banche perché appare come una museruola meno agevole da aggirare rispetto a coefficienti patrimoniali che sono ponderati per classi di rischio, spesso in modo del tutto fantasioso.

L’Unione europea, sotto la spinta tedesca ma a grande maggioranza dei 27 paesi membri, potrebbe escludere la leva finanziaria dai requisiti di supervisione al momento del recepimento definitivo delle regole di Basilea III, il prossimo anno. Sentiremo ancora per molto tempo le lamentazioni delle banche contro le regole che “impediscono di fare credito”, forse fino al punto in cui Basilea III verrà privata di gran parte dei denti.

Nel frattempo, questa settimana l’indice statunitense S&P 500 ha chiuso il gap apertosi con il crollo di Lehman Brothers. Gli utili aziendali appaiono in salute, anche grazie al fatto che nell’indice sono rappresentate grandi banche ed imprese globalizzate, che quindi possono sfruttare l’espansione dei paesi emergenti. Ma altri indicatori, come occupazione e prezzi degli immobili (residenziali e commerciali), mostrano un quadro assai meno positivo, mentre le finanze statali e locali appaiono sempre più sull’orlo del precipizio.

Ma la prossima crisi potrebbe venire dalle pensioni, come dimostra la vicenda della cittadina di Prichard, in Alabama, vistasi costretta a sospendere l’erogazione delle pensioni ai dipendenti pubblici per mancanza di fondi. Anche se si tratta di un caso estremo e ricco di errori, con un fondo pensione molto generoso (contributo pubblico del 10,5 per cento, età minima pensionabile 50 anni), è l’intera previdenza pubblica statale e locale americana ad essere sull’orlo del collasso, con buchi attuariali sempre più ampi che spingono i legislatori statali ad intervenire alzando l’età pensionabile e riducendo i benefici pensionistici. La vicenda di Prichard rappresenta un precedente inquietante, soprattutto considerando che ad oggi nel paese la rete di protezione federale per i dissesti dei piani pensione è limitata alle compagnie private, escludendo le strutture statali. Superfluo ricordare che il blocco dell’erogazione delle pensioni causa una reazione a catena fatta di insolvenze personali che si trasformano in dissesti aziendali.

Nel 2011 Obama ed il Congresso rischiano di scoprire che serve l’ennesimo salvataggio federale; avremo un ulteriore test della retorica sui tagli di spesa pubblica. E’ un’America sempre più bipolare, tra ricchezza di banche e aziende globalizzate e crescente indebitamento pubblico. Una divaricazione che non può durare.


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