Le avventure di Colaninno

par Factotum
lunedì 24 novembre 2008

Colaninno padre, il capo della cordata di imprenditori della neonata “Compagnia aerea italiana” (CAI) che ha messo le mani su quel che resta dell’Alitalia grazie unicamente ai nostri soldi - alla fine l’impresa voluta dal Berlusca per fare un favore agli amici degli amici, con la scusa dell’italianità della ex compagnia di bandiera che fa gonfiare il petto soprattutto ai suoi sodali aennini cooptati nel Popolo delle Libertà, ci costerà circa un miliardo di euro, di cui trecento già mollati ed altri settecento tra obbligazioni Alitalia detenute dal governo e non rimborsabili, e cosiddetti ammortizzatori sociali, quali prepensionamenti e cassa integrazione - è un altro esempio preclaro di manager (anzi di “magnager”, neologismo più appropriato per questi signori) che approda ad un ente pubblico dopo aver mostrato tutte le sue “qualità” (si fa per dire) in un altro ente parzialmente pubblico come la Telecom, che portò al dissesto e da cui spillò gratis a fine corsa - a titolo di liquidazione – una società immobiliare, la IMMSI, poi rivenduta a peso d’oro per comprare la Piaggio a prezzi di realizzo e piazzarla ai soliti fessi a due euro e mezzo ad azione (oggi ne vale molto meno).
 
Evidentemente, ha fatto scuola il caso eclatante e vergognoso dell’affossatore delle Ferrovie dello Stato, Giancarlo Cimoli, premiato nel 2003 proprio con la direzione dell’Alitalia, dove è arrivato a guadagnare un milione e 334.000 euro l’anno come presidente ed amministratore delegato – ottavo tra i manager pubblici più ricchi - mentre portava al collasso definitivo anche quest’ente e scappava via prima del diluvio con l’ennesima prebenda-premio. 
 
Ma torniamo al Nostro eroe di giornata (il salvatore dell’Alitalia !) e alle sue “marachelle” in Telecom. Per cominciare, i capitali utilizzati per la sua acquisizione vennero scaricati sull’ azienda stessa sotto forma di debiti: uno "zaino" pesante che l’azzoppò da subito, per cui il Nostro pensò bene di rivalersi sui poveri utenti (per la serie “il telefono, la tua croce“).
 
Così, ad esempio, sotto la sua illuminata guida il servizio del 12 divenne a pagamento (ben tre scatti a botta). Vero che faceva schifo anche prima (impossibile – per dirne una - avere un numero di un ufficio che non sia quello del centralino), ma almeno i numeri telefonici li dava gratis. Poi fece un’infornata di personale avventizio che, sottopagato e schiavizzato, scaricava le sue ubbie sui malcapitati che chiamavano i cosiddetti call-center (bisogna dire però che questa è da sempre una prerogativa Telecom: non c’è forse Ente più o meno pubblico in Italia i cui addetti si comportino così scostumatamente con gli utenti: pare quasi che in Telecom si faccia a gara ad assumere i peggiori!).
 
Nel frattempo si sovvenzionava lautamente vendendo le sue azioni Telecom – appena quotata in Borsa - a prezzo gonfiato. Poi le azioni scendevano al loro reale valore di mercato e a rimetterci era il solito Pantalone, ossia investitori e piccoli risparmiatori (ma questo è un meccanismo largamente usato dai suddetti “magnager”).
 
La sua carriera in Telecom finisce bruscamente quando i suoi soci Gnutti e Consorte gliela sfilano da sotto il naso e la vendono a Tronchetti Provera. Pare che Colaninno volesse affiancare una grande rete televisiva all’azienda, ma “in Italia chi tocca la Tv muore” (e infatti Trinchetti si affretterà ad affossare La 7 nella culla: un vero peccato, perché quel che resta de La 7 dimostra tutte le sue potenzialità inespresse di valido concorrente del duopolio Rai-Mediaset).
 
Ma ecco Colaninno ripartire da Alitalia. Certo che se il buongiorno si vede dal mattino, forse è il caso che i potenziali passeggeri rifacciano le valigie e traslochino sotto altre bandiere.
 
 
 
 
 
 
 
 

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