Le amministrative e il futuro della (nostra) democrazia

par Fabio Chiusi
martedì 28 maggio 2013

«Joseph Schumpeter (…) sostenne che la caratteristica di un governo democratico non è l’assenza di élites ma la presenza di più élites in concorrenza tra loro per la conquista del voto popolare», scrive Norberto Bobbio ne Il futuro della democrazia. Ed è la frase migliore, credo, per descrivere la tornata elettorale di ieri. Perché oggi abbiamo compreso che il rischio non è l’assenza di élites che vagheggia Grillo, o almeno non lo è ancora, ma l’assenza di élites diverse che siano realmente in concorrenza tra loro per la conquista del maggiore consenso.

Oggi Pd e Pdl sono sembrati davvero due facce della stessa medaglia; una pax lettiana celebrata ai quattro venti e addirittura annunciata a mezzo intervista ieri mattina, quando Gasparri teneva a precisare sul Corsera che a prescindere dal risultato i due volti della maggioranza non si sarebbero presi a schiaffi. Comunque fosse andata, avrebbe vinto il governo Letta. E infatti il messaggio confezionato è stato questo: sezionare ogni singolo capello del Movimento 5 Stelle e prodursi in ampie dosi di dileggio per l’incapacità politica di Grillo (ma sono le stesse persone che non ne hanno visto l’ascesa, a farlo), e stendere un velo di tepore e sonno sopra i risultati dei partiti di governo. Come nulla, nessun risultato, avesse potuto scalfirli. E del resto, così era. Così è. Questa è la tragedia dell’orrendo teatro messo in scena dalla coalizione di governo: che per fingere non ha nemmeno più bisogno di mentire.

È sufficiente dire le cose come stanno: che a prescindere dal risultato elettorale, nulla sarebbe cambiato. Grillo, di conseguenza, diventa l’unica notizia. E sappiamo quanto piaccia ai media e alla politica vendicarsi di chi li abbia satiricamente e politicamente massacrati per mesi. Il voto amministrativo diventa a questo modo un tracollo politico che lascia presagire la fine dei Cinque Stelle. Che sospetto essere molto lontana. Prima di tutto perché i presagi vengono da chi di Grillo non ha compreso mai nulla. Ma anche perché a mancare è l’alternativa politica. Per questo non penso sia la fine dei Cinque Stelle, né sarebbe un bene se i Cinque Stelle finissero. Perché si aprirebbe un vuoto ancora più incolmabile nella rapporto di rappresentanza – e dunque di fiducia – con le istituzioni.

Già ieri a Roma un cittadino su due non ha votato, e nel Paese i partiti – dice l’Istat – fanno 2,3 su 10 nella scala della fiducia. Domani, con questi partiti ancora uguali a loro stessi (o uguali e basta), e con una forza di opposizione ridotta al nulla gli spazi di dissenso democratico e il diritto di cittadinanza dei temi (alcuni fondamentali, altri di semplici buonsenso) capaci di raccogliere il 25,5% dei voti solo tre mesi fa si ridurrebbero ulteriormente. Le élites, inevitabili (e Casaleggio farebbe bene a prenderne atto il prima possibile), sarebbero ancora meno. E difficilmente sarebbero «in concorrenza tra loro per la conquista del voto popolare», come prescrive Schumpeter. Con ciò che ne consegue per il poco che resta della nostra democrazia.

Perché Pd e Pdl fanno, insieme, una élite. Ma una, appunto.


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