Lavoro: una riforma necessaria

par maurizio vecchio
sabato 7 gennaio 2012

Il dibattito sulla modifica della disciplina in materia di mercato del lavoro e Welfare ha assunto toni e contenuti assai poveri, ma tipici del confronto politico italiano.

Il conflitto, non scevro da pregiudizi e pregiudiziali, prosegue (e proseguirà) con slogan, reiterazioni di principi, accuse e con ogni altro strumento adatto a creare confusione ed incertezze. Questo modo di affrontare i temi delle Riforme - soprattutto quando coinvolgono una larga parte della popolazione - non è frutto di una arroganza caratteriale dei protagonisti e, tanto meno, di una casualità.

E' invece drammaticamente funzionale a due precisi obiettivi: occultare l'incapacità di argomentazioni, oppure nascondere altri e diversi interessi da quelli rappresentati a sostegno delle proprie ragioni (o delle proprie sconsiderate urla). Per meglio comprendere i termini della vicenda è indispensabile prendere le mosse dalla realtà.

Esiste un mercato del lavoro gravemente iniquo, oltre che disequilibrato. Iniquo perché caratterizzato da fenomeni di precariato (contratti collaborazione parasubordinata o autonoma, lavoro autonomo con monocommittenza) carenti di qualsiasi tutela. Disequilibrato perché, oggettivamente, sussistono posizioni lavorative caratterizzate, invece, da adeguata tutela.

Esiste una crisi economica di sistema che rende le forme di precariato ancora più deboli, ma che pregiudica pure le altre posizioni lavorative (le garanzie per i lavoratori a tempo indeterminato non sono, per definizione, idonee a salvaguardare l'occupazione in ipotesi di cessazione dell'attività produttiva). 

Esiste la necessità di intervenire con precise disposizioni legislative per la tutela di tutte, nessuna esclusa, le posizioni lavorative. Questo nell'ambito di un contesto sociale ed economico che, rispetto alle normative degli anni '70, è profondamente mutate ed è in continua evoluzione. A fronte di ciò è stata posta sul campo, già dal 2009, la proposta di Riforma elaborata dal Senatore Ichino. Essa si articola secondo i seguenti punti qualificanti:

1) Mantenimento della disciplina sanzionatoria attuale (art. 18) per le ipotesi di licenziamento illegittimo per giusta causa e discriminatorio. Con esplicita introduzione di una ulteriore forma di licenziamento illegittimo definito "per capriccio": una fattispecie non idonea a determinare in sé una ipotesi di licenziamento discriminatorio, ma egualmente lesiva per il lavoratore.

2) Possibilità per il datore di lavoro di procedere al licenziamento per motivi economici connessi alla organizzazione aziendale (riduzione della produzione, ristrutturazione aziendale, crisi di impresa). Ovviamente se tale motivazione è solo apparente, ma in realtà nasconde un licenziamento discriminatorio o per capriccio, il lavoratore ha sempre la facoltà di agire in giudizio restando ferme le tutele dell'art.18.

Deve poi essere chiarito che in caso di licenziamento per motivi economici si instaura tra datore di lavoro ed ex dipendente un contratto di "ricollocazione". Attraverso apposite agenzie di ricollocazione (già previste nella c.d. Legge Biagi) viene avviata, se necessaria, una formazione ed effettuata una ricerca di nuova collocazione. Per i tre anni successivi al licenziamento il lavoratore conserva la garanzia del propio stipendio in una misura percentuale che può giungere, secondo l'anzianità, anche al 90%. Detta indennità è per il primo anno a carico del datore di lavoro solo in parte, mentre diventa totale negli anni successivi.

I Sindacati e parte dello schieramento di Sinistra ebbero immediatamente a reagire definendo la proposta quale frutto di "Intelligenze con il nemico" da parte del Senatore Ichino. Con ciò respingendo in toto l'ipotesi di Riforma perché in violazione dei principi stabiliti dall'art. 18 dello Statuto dei Lavoratori ed assolutamente inidonea a garantire i lavoratori ed assicurare crescita e competitività al Paese.

I numerosi argomenti rappresentati dagli oppositori sono stati contraddetti dallo stesso Senatore Ichino nella sua ultima pubblicazione "Inchiesta sul Lavoro", ma in questa sede si rende opportuna qualche considerazione di carattere generale. Nella proposta di riforma l'unica concreta novità attiene a quella tipologia di licenziamenti determinati da motivi economici che ad oggi trovano disciplina sanzionatorio nell'art. 18, ma regolamentazione in leggi speciali che prevedono precise procedure di confronto e concertazione sindacale (c.d. procedura di mobilità).

Queste procedure, nella maggior parte dei casi, si concludono con una riduzione dei lavoratori originariamente interessati, con il riconoscimento di una buona uscita e con un periodo di cassa integrazione guadagni straordinaria (generalmente richiesto dagli stessi sindacati per ammortizzare gli effetti del licenziamento). Non di rado accade che il datore di lavoro, nell'avviare questo iter, dichiari un esubero superiore al reale (così da raggiungere l'obiettivo prefissato), con il sindacato consapevole che la Cassa Integrazione Guadagni straordinaria, lungi dal costituire uno strumento per il risanamento o per il superamento della crisi, sia l'anticamera "dolce" della perdita di lavoro.

Tutto questo con un ingente costo economico di risorse pubbliche e per il datore di lavoro. Per quanto osservato è comprensibile che il Sindacato abbia forti ragioni di opposizione ad una siffatta ridefinizione del Mercato del Lavoro per la conseguente perdita di ruolo che subirebbe proprio nelle procedure di licenziamento collettivo. Ma tale situazione costituirebbe una effettiva lesione delle garanzie dei lavoratori se quel ruolo fosse stato, nel tempo passato, finalizzato ad una vera "collaborazione o cooperazione" per il superamento della crisi aziendale, ad un effettivo sviluppo delle possibilità e potenzialità di ricollocazione per il lavoratore espulso.

Al contrario il sistema "standardizzato" delle procedure di mobilità ha comportato sprechi per le risorse pubbliche impiegate (ad esempio una cassa integrazione straordinaria priva dei presupposti) ed il procrastinarsi senza soluzione del pregiudizio dei lavoratori. Forse, proprio in ragione di una seria riforma del mercato del lavoro, il Sindacato dovrà rivisitare e riformulare obiettivi e ruolo nella prospettiva di una tutela e di una garanzia reale dei lavoratori che rappresenta ed il datore di lavoro valutare seriamente il rischio economico al quale va incontro a seguito di un licenziamento non necessario.

 

 

 

 

 


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