Lavora, produci, crepa: anche no!

par Rosa Angela Ciafrei
sabato 19 ottobre 2013

Il 900 è stato un tempo storico guidato da cognizioni socio-politiche-religiose che assicuravano paradigmi indubbi alla morale e all’azione del vivere quotidiano, ma a seguito del crollo di queste dottrine ideologiche l’uomo moderno comincia a dubitare del suo pensare filosofico, scoprendo assurdo che si possa dedurre la verità del vivere esistenziale in uniche opinioni.

Nella seconda metà del xx secolo, probabilmente a causa della predominanza tecnica e meccanicistica di quello stesso vivere, le pretese si orientano verso un benessere reale ed immediato.

Nell’odierna civiltà tecnica, il disagio della folla appare orientato a stati di alienazione e disorientamento, avendo ormai inteso che né l’istituzione politica né quella ecclesiale, possano dare trovare le risposte ai propri incubi. L’uomo, inizia a dubitare, di precetti subordinanti e di figure assolute, arrivando ad aprirsi a nuovi concetti pluralisti del pensiero.

Con la crescita del capitalismo, si assiste ad una visione curiosamente religiosa del lavoro, dove la divisione dello stesso penetra in tutte le società, distinguendosi in ambiti come quello commerciale, finanziario, militare, agricolo, industriale, educativo, ecc.. 

La divisione sociale del lavoro è comune in tutte le forme di società organizzata, ma quella moderna, mette in evidenza la divisione dei mestieri, ed il paradigma lavoro-scuola domina non unicamente l’aspetto economico, ma quello dell’intera esistenza sociale.

Il relativismo, con la sua messa in critica di ogni verità incondizionata, sta delineando il volto dell’uomo moderno, che nella schiavitù della necessità vive ormai la sua sofferenza esistenziale. Difatti, il concetto di lavoro, come attività principale anteposta al vivere, sta assumendo connotazioni differenti, andando a ridefinire le sue finalità, la sua rilevanza e trascendenza, nel vivere reale.

Il lavoratore identificandosi con la sua attività, ha ormai oggettivizzato se stesso a mero strumento e la logica meccanica delle economie globalizzate, nonostante azioni correttive, lavori a progetto, miraggi di successi personali e sociali non incanta più come un tempo, poiché nello strumento lavoro l’uomo moderno non trova più dignità, libertà e lo spazio necessario all’esercizio delle virtù, indispensabili per divenire.

La crisi economica che sta investendo l’intera geopolitica mondiale, non può che essere testimone della regressione di tale struttura di base, che si realizza nel sistema di produzione merci arrivando a trasformare l'energia umana e la creatività in denaro.

Ma la strutturazione scientifica, tecnologica e l’aumento di macchine, fa sì che il Capitale perduri anche senza proletari, tenendo inoccupati soprattutto i giovani. Nei 17 paesi della zona euro, secondo i dati dell’Eurostat, il tasso di disoccupazione medio ha toccato un massimo storico, a maggio, pari al 12,1 per cento, lo 0,1 per cento in più rispetto all’anno precedente. Nei paesi dell’Euro ci sono in totale 3,457 milioni di giovani senza lavoro. Comincia a sentirsi l’urgenza di una liberalizzazione dal concetto di “fatica tautologica” che vige nella visione giudaica-mercantilistica, e dove l’economia di mercato e la logica del profitto restano il business globale di un gruppo minoritario.

La riconquista dell’autonomia individuale di ognuno è la sfida che la crisi odierna dovrebbe insegnare, affinché la conduzione della propria vita si liberi da ogni finalità pratica, andando ad esaltare la capacità di ognuno, e non l’ansia collettiva legata al sopravvivere.


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