Laurea, uno su mille ce la fa: e gli altri 999?

par luciano corso
venerdì 11 gennaio 2013

 

Che ne sarà dei nostri giovani? No, non parlo dei laureati alla Bocconi con 110 e lode e un paio di master negli USA (ammesso e non concesso che sia un passaporto sicuro per il pieno impiego), ma di tutti gli altri. 

Arrivare a una laurea prestigiosa non è per tutti, sia per motivi economici (chi ha un figlio all’università sa di cosa parlo) ma anche perché non tutti ci arrivano: i confini intellettivi non sono uguali per tutti, fino a un certo livello di apprendimento ci arrivi, oltre no, per quanta buona volontà e impegno uno ci possa mettere. In Italia i laureati siano il’15%, gli altri 85 che faranno?

Gli operai – quelli che sono rimasti, gli altri sono tutti in Cina e Vietnam – si dibattono tra mobilità, ristrutturazioni e blocco del turnover, per fare le commesse bisogna sapere tre lingue tra cui il russo, gli impiegati (quelli che una volta si chiamavano “di concetto”) sono stritolati dalla tecnologia che permette a uno di fare il lavoro di 10, le segretarie non esistono più e per fare un concorso all’INPS (ammesso che ne facciano ancora) per stare allo sportello a prendersi gli insulti serve la laurea. 

I politici non ne parlano, certo, l’argomento non porta consensi immediati, e quindi non mi stupisce (niente di loro stupisce, in realtà) ma mi pare che neanche le varie componenti della società si pongano il problema. Non i sindacati, non i media, non la scuola, non i vari tuttologi da talk show pronti a imbastire dibattiti interminabili su ogni possibile bischerata. No, di questo aspetto non parla nessuno, salvo poi scoprire che si è perso di vista un altro fattore che tra qualche anno (neanche tanti) rischia di stravolgere la nostra già stravolta società.

 


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