Lampedusa e migranti: un problema da affrontare insieme

par Francesco Piccinni
sabato 2 aprile 2011

In questi giorni in cui l'attenzione dei media è concentrata sulle vergognose pièce teatrali messe in scena in Parlamento sul sempre appassionante tema del processo breve vorrei tornare sul meno intrigante argomento della condizione dei migranti di Lampedusa e dintorni.

Lo faccio perché al di là della contigente attualità del fatto colpisce molto la forza con cui un aspetto emotivo della vicenda rappresentato dalla paura per il diverso (che nella sua più immediata reazione sfocia puntualmente in razzismo) sembra rendere corpo unico istituzioni e popoli. Insomma uniti dal razzismo.

Premessa d'obbligo.
Diffidare di migliaia di persone allo sbando che ti arrivano in casa è assolutamente normale. Aspettarsi dalla popolazione spontanei slanci di generosità umanitaria nei confronti di sconosciuti e disperati gruppi di persone che da un giorno all'altro ti vedi citofonare a casa (come sta avvendeno a Manduria) per chiederti soldi o da mangiare sarebbe auspicabile ma sicuramente non realistico.

Quello che ci si aspetterebbe però sarebbe un atteggiamento diverso dalle istituzioni che avrebbero il ruolo (appunto istituzionale) di rapportarsi alla cittadinanza spiegando ed organizzando quella che è una emergenza di proporzioni enormi.

Invece di fronte ad una emergenza umanitaria che ci chiama in causa tutti come nazione (quindi non solo Puglia e Sicilia) ci rapportiamo al problema nel segno della più becera disorganizzazione. Comuni interessati, Regioni e Governo dovrebbero coordinarsi. Fare un piano di emergenza. Sapere di volta in volta dove mandare i gruppi di migranti, attrezzare i campi, smistare le diverse situazioni (un richiedente asilo politico è cosa diversa dallo straniero che vuole andare in Francia o Germania a trovare lavoro, piuttosto che dal disperato in fuga dalla guerra).

Cosa sta accadendo invece?


Di fronte alla realistica prospettiva che ci piombino addosso migliaia (e migliaia) di migranti dal Nord Africa di diversa nazionalità (e cioè o in fuga dalla guerra in Libia, o dalla instablità tunisina o egiziana, o dalla, new entry, traballannte situazione in Siria) che gioco forza arrivano nel Sud Italia perché siamo geograficamente il loro primo appiglio utile per entrare in Europa, si risponde in maniera divisa e disorganizzata. "Si risponde". La forma impersonale non è casuale.

Perché l'atteggiamento e la reazione disorganizzata e divisa è trasversale e riguarda anche stati esteri ed Unione Europea. Una comunanza di difettosità da paura che colpisce oltre il singolo cittadino dalla più piccola alla più grande istituzione.

Comincia dal Comune (il Sindaco di Manduria si è dimesso di fronte alle palese impossibilità di mantenere fede agli impegni presi sulla vicenda), passa dalla Regione (la Puglia si è vista piombare addosso il ruolo di, quasi isolata, referente della emergenza ) dal Governo che al di là dei ridicoli spot di Lampedusa si muove tra imbarazzi di natura politica (meglio non replicare a dovere al "fore de ball" di Bossi mentre si deve far passare la riforma del processo breve alla Camera dei deputati) ed operativa (si è dimesso anche il sottosegretario agli Interni, Mantovano, eletto proprio nella circoscrizione di Manduria).

A chiudere l'idilliaco quadro ci si mette la Francia (e poi ci lamentiamo della Lega) che con il buon Sarkozy ha pensato bene di dare saggia risoluzione alla cosa chiudendo da tempo i confini (dopo tutto quello che ha combinato in Tunisia, perché il deposto dittatore Ben Alì era roba loro) ed in queste ore si registrano accalcamenti di migranti a Ventimiglia. Ed infine l'Unione Europea.

Già. Perché è chiaro che da sola l'Italia non può mai farcela. Serve assolutamente l'aiuto dell'UE che invece sta decisamente latitando sulla questione. L'aseptto più inquietante della vicenda è che alla base di questo comune atteggiamento di disinteresse o, nella migliore delle ipotesi, di disorganizzazione sta appunto un altrettanto comune sentimento di paura e diffidenza.

Un sentimento che parte dal singolo cittadino di Lampedusa o di Manduria (e fino a qui anche legittimamente) ma che invece di essere filtrato, analizzato e ridmensionato da quella rete (teoricamente organizzata) di istituzioni che va dal Comune all'Unione Europea, finisce col passarci attraverso integralmente con i suoi più nefasti effetti.

Cosicché a fronte di emergenza di proporzioni preoccupanti ci ritroviamo impaurirti e disorganizzati a dare conto e fondatezza alla soluzione più becera ma più efficace: "Fore de ball" da Lampedusa a Bruxelles.

O in alternativa, per i più umanitari, credere alla risoluzione del problema in 48 ore decantata da Silvio in stile l'Aquila o Napoli. Un casinò a Lampedusa, un nobel per la Pace e una casa in loco dell'Imperatore. Il caso è brillantemente risolto. 


Leggi l'articolo completo e i commenti