La zuppa del Demonio, Davide Ferrario racconta il sogno industriale italiano

par soloparolesparse
mercoledì 1 ottobre 2014

Il riassunto perfetto de La zuppa del demonio è tutto nella considerazione dello stesso Davide Ferrario: “Questo è un film Frankenstein. Più film morti cuciti insieme hanno dato vita ad un film vivo. E come il Frankenstein di Boris Karloff questo film al tempo stesso fa spavento e fa tenerezza”.

La recensione potrebbe finire qui, ma forse è il caso che qualche indicazione in più ve la dia comunque. Anche perchè questo è un film che merita si parli di lui.

 

Ferrario, e con lui Sergio Toffetti, ha scavato a fondo negli immensi archivi dell’Archivio Nazionale del Cinema d’Impresa di Ivrea ed ha tirato fuori delle vere chicche, le ha cucite insieme ed ha così raccontato la storia dell’industria italiana. Quello che ne è venuto fuori è il ritratto di un’epoca passata, un’epoca di grandi sogni e di grandi mostri industriali. Mostri che rappresentavano essi stessi il sogno, il progresso, il futuro. Mostri che davano lavoro, a volte istruzione, salvavano dalla miseria.
La preoccupazione per le condizioni di lavoro, per la salute e per l’ambiente erano ancora di là da venire.

La zuppa del Demonio (termine con cui Dino Buzzati indicava con lungimiranza l’altoforno) restituisce quelle sensazioni, quell’euforia, quella voglia di progresso e di immensità industriale. Restituisce però anche (agli occhi dello spettatore di oggi) l’orrore di quello che ora sappiamo tutto ciò ha significato.

Vedere l’esaltazione delle immagini con cui si apre il film (le ruspe che gioiosamente abbattono gli “immobili ulivi secolari” per far posto all’Ilva di Taranto) sono una mazzata immediata e difficilmente sopportabile.

Poi è tutto un susseguirsi di chicche video davvero notevoli. Da Mussolini osannato dalle folle che inaugura Fiat Mirafiori alla futuristica e immaginifica concezione del lavoro di Olivetti ad Ivrea.

Tutto contrappuntato dalle ottime musiche di Fabio Barovero e raccontato con un montaggio perfettamente funzionale e su questo è stato fatto davvero un lavoro importante.

Senza dimenticare le continue citazioni letterarrie, che vanno dalla follia esaltata dalla tecnica di Filippo Tommaso Marinetti, alla lucida comprensione (avanti rispetto ai tempi) di Pier Paolo Pasolini o di Primo Levi.

Un lavoro davvero notevole quello di Ferrario, uno dei pochi che riesce a passare con naturalezza dal documentario alla commedia elegante senza mai avere cedimenti. Sorprendente.

Nota a margine: ho scoperto che l’Archivio Nazionale del Cinema d’Impresa sta digitalizzando e caricando su Youtube l’intero immenso archivio di cui dispone. Dategli uno sguardo perchè è roba pazzesca!


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