La verità, vi prego, sulle droghe
par UAAR - A ragion veduta
mercoledì 23 aprile 2025
In Italia il dibattito sulle droghe è dominato da proibizionismo e pregiudizi che ostacolano una prospettiva laica, scientifica e razionalista. Affronta il tema Giovanni Gaetani sul numero 1/2025 di Nessun Dogma.
Parlare di droghe in Italia è come attraversare un campo minato. Non c’è spazio per argomenti razionali, fondati sui dati scientifici, men che mai per proposte pionieristiche, come quelle messe in atto da molti Stati in giro per il mondo.
Da noi, il discorso ricade sistematicamente nella fallacia logica di una falsa dicotomia: o sei del tutto contro le droghe, e quindi per te l’unica via è il proibizionismo – «per me ogni droga è merda e non ci sono droghe buone», come sostiene con grande eleganza il ministro Salvini; o sei invece a favore delle droghe, e quindi vieni immediatamente squalificato come “drogato” tu stesso.
Ora, l’obiettivo di questo articolo è cercare di superare questa dicotomia forzata, sostenendo la necessità di adottare un approccio scientifico e razionale anche e soprattutto sulla questione droghe. Perché l’ipocrisia proibizionista si è rivelata già da tempo fallimentare e mortifera – ma in pochi sono pronti ad ammetterlo, anche nel mondo laico-razionalista.
Glossario stupefacente
Partiamo dal vocabolario. Nella lingua di tutti i giorni, il termine “droga” ha un’accezione univoca e negativa. Se aprissimo invece un dizionario ci accorgeremmo di una cosa sorprendente: come in molte altre lingue, anche in italiano il termine “droga” rispecchia l’ambivalenza originale del termine greco phármakon, che significa sia “veleno” che “medicina”.
Non è un caso che alcune droghe, come morfina o ketamina, siano usate legalmente come medicine ma siano vietate per uso ricreativo. Questa ambivalenza è fondamentale, perché ci riporta alle vere origini del discorso, e cioè al fatto che una sostanza non è necessariamente utile o dannosa in se stessa, bensì a seconda di come viene usata – torneremo su questo punto più avanti.
In tal senso, il termine “droga” indica una qualsiasi sostanza naturale o sintetica che, una volta assunta, modifica la mente e il corpo di un individuo in un certo modo. In gergo tecnico, si parla di sostanze “psicoattive”. In questa categoria rientrano tantissime sostanze: dalle medicine che compriamo legalmente in farmacia alle sostanze stupefacenti che compriamo illegalmente in ogni piazza di spaccio, passando per le cosiddette “droghe legali” che compriamo senza problemi dal tabaccaio o al bar – nicotina, alcool e caffeina.
I confini paradossali della legalità
Chi e come stabilisce che una sostanza è legale e un’altra no? Il fulcro della questione sta tutto qui, nell’arbitrarietà con cui tracciamo una linea di demarcazione tra diverse sostanze. Ci si aspetterebbe coerenza e un approccio volto alla massimizzazione del bene comune, o almeno alla riduzione del danno.
E invece no. Perché, allo stato attuale, la discriminante tra legalità e illegalità delle droghe nel nostro mondo è purtroppo incoerente e irrazionale; non rispecchia cioè criteri scientifici oggettivi o politiche lungimiranti, ma soltanto pregiudizi culturali e interessi economici difficili da mettere in questione.
Come giustificare, ad esempio, il fatto che alcool e nicotina sono legali mentre Lsd e funghi allucinogeni no? Si tratta di una situazione davvero paradossale. Perché alcool e nicotina creano forte dipendenza, causano almeno 10 milioni di morti l’anno in tutto il mondo (fonte Oms) e non hanno alcun uso terapeutico – la letteratura scientifica a tal riguardo è univoca e cristallina; mentre Lsd e psilocibina (il principio attivo dei funghi allucinogeni) non causano dipendenza, hanno un bassissimo rischio di mortalità diretta e hanno un potentissimo uso terapeutico per trattare condizioni come depressione, ansia cronica, anoressia, disturbo ossessivo compulsivo (Ocd), disturbo da stress post-traumatico (Ptsd) e dipendenze varie.
Un esempio di approccio scientifico alle droghe
Esistono per fortuna degli scienziati che hanno investito la loro carriera (e messo a repentaglio la loro reputazione) per invertire questa tendenza. Uno su tutti, il professor David Nutt, neuropsicofarmacologo e psichiatra britannico – nome purtroppo sconosciuto da noi visto che nessun suo libro è stato tradotto in italiano.
Il più grande contributo di Nutt sull’argomento è stato un pionieristico studio del 2010 pubblicato sulla prestigiosa rivista Lancet, dal titolo: Drug harms in the UK: a multicriteria decision analysis. In questo lavoro, Nutt e colleghi hanno sviluppato un modello per valutare e confrontare i danni associati a diverse droghe nel Regno Unito, sia legali che illegali.
Lo studio utilizza un approccio di “analisi decisionale multicriterio” (Mcda), che considera 16 aspetti dei danni provocati dalle sostanze, suddivisi in due categorie principali: da una parte, i danni per l’individuo (ad esempio rischio di overdose, rischio di dipendenza, tossicità della sostanza, eccetera); dall’altra, i danni per la società (ad esempio, costi per il sistema sanitario, ricadute sulle famiglie e sulle relazioni, danni economici, danni ambientali, criminalità organizzata, eccetera)
Lo studio ha analizzato 20 sostanze, assegnando a ciascuna un punteggio complessivo basato sui 16 criteri di cui sopra. I risultati sono scioccanti. La droga più dannosa è infatti l’alcool con 72 punti su 80. Questo a causa del suo elevato impatto sociale, ma anche della sua facile reperibilità, essendo legale quasi ovunque nel mondo.
Al secondo e terzo posto si trovano eroina e crack, rispettivamente con 55 e 54 punti – un divario netto rispetto al primo posto. Gli altri risultati mettono in discussione molte percezioni comuni sulla pericolosità delle droghe: il tabacco ad esempio risulta più dannoso della cannabis, mentre sostanze considerate generalmente pericolosissime (Mdma, Lsd e funghi allucinogeni) si trovano ultime per dannosità complessiva.
Lo studio di Nutt e colleghi ha superato il vaglio della critica scientifica, ma non quello della politica. Nel 2009, infatti, poco prima della pubblicazione dello studio, il governo laburista ha licenziato Nutt dal suo incarico di presidente del consiglio consultivo sull’abuso di droghe. Il suo errore? Aver mostrato, in maniera provocatoria ma pur sempre dati alla mano, come l’equitazione fosse più pericolosa dell’ecstasy (sic!).
Per approfondire la questione nel dettaglio, rinvio caldamente al libro di David Nutt, Drugs Without the Hot Air. Minimising the Harms of Legal and Illegal Drugs, pubblicato da Uit Cambridge nel 2012.
L’uso terapeutico degli psichedelici
Altro contributo fondamentale del professor Nutt sono stati i suoi rivoluzionari studi su Lsd e psilocibina nel trattamento della depressione cronica resistente ai trattamenti tradizionali. Tali studi sono riusciti, da una parte, a capire meglio il funzionamento degli psichedelici sul cervello, mostrando la loro interazione con i recettori della serotonina (5-ht2a) e lo spegnimento del Default Mode Network (Dmn); dall’altra, a guarire depressione e altri disturbi di persone che hanno provato invano qualsiasi altra medicina o rimedio.
A questi studi si affiancano anche quelli con ketamina e Mdma, altrettanto rivoluzionari. L’Mdma in particolare si è rivelata potentissima nell’aiutare i pazienti a superare il disturbo da stress post-traumatico – stiamo parlando di veterani di guerra, vittime di stupro o di traumi infantili, e così via.
Questi studi sono stati così significativi che in Australia, ad esempio, nel 2023 l’Mdma è stata riclassificata da sostanza proibita a medicinale controllato, da usare in un setting professionale di terapia assistita. Negli Stati Uniti e in Canada si è vicini allo stesso traguardo – il che comporterebbe a cascata una svolta legislativa in tutto il mondo.
Per approfondire la questione nel dettaglio, rimando a un altro libro di David Nutt, Psychedelics: The Revolutionary Drugs That Could Change Your Life – A Guide from the Expert, pubblicato nel giugno 2023 da Hodder & Stoughton. Ma anche alla serie Netflix How to Change Your Mind, basata sull’omonimo libro di Michael Pollan, altrettanto consigliato.
E da noi?
La seconda rivoluzione psichedelica, così come viene chiamata, è in corso a macchia di leopardo in tutto il mondo. La ricerca sta facendo silenziosamente dei passi da gigante, mentre molti Paesi stanno adottando politiche liberali e antiproibizioniste, tentando esperimenti localizzati di decriminalizzazione, legalizzazione e regolamentazione di alcune droghe, con successi tangibili e sorprendenti. Giusto per fare qualche esempio:
- il Portogallo ha decriminalizzato tutte le droghe sin dal 2001, con risultati estremamente positivi;
- l’Uruguay è stato il primo Paese al mondo a legalizzare completamente la produzione e il consumo di cannabis nel 2013, con un sistema regolato dallo Stato;
- negli Stati Uniti la cannabis rimane illegale a livello federale, ma è legale per uso medico in 39 su 50 Stati e per uso ricreativo in 24 Stati;
- tanti altri Paesi hanno legalizzato l’uso della cannabis per uso medico e/o ricreativo, tra cui il Canada nel 2018, Malta nel 2021 e la Germania nel 2024;
- i Paesi Bassi, oltre che la cannabis, hanno legalizzato anche i tartufi allucinogeni, attuando al tempo stesso esemplari politiche di riduzione del danno su altre droghe;
- altri Paesi stanno sperimentando l’uso degli psichedelici a fini terapeutici, tra cui la nostra vicina Svizzera.
In Italia, invece, come spesso accade, nulla si muove. Anzi, il governo attualmente in carica è il più proibizionista e anti-scientifico di sempre: il ministro Lollobrigida afferma incredibilmente che «il vino non deve essere classificato come alcool», sostenendo invece che, se preso con moderazione, faccia addirittura bene – un mito, questo, sfatato dai dati scientifici; il ministro Salvini continua nella sua insensata crociata contro la cannabis light, mentre ha appena messo in piedi misure draconiane (e probabilmente incostituzionali) per i consumatori di cannabis che si mettano al volante, anche una settimana dopo aver fumato; il procuratore Gratteri continua nelle sue posizioni proibizioniste con appelli sensazionalistici – «lo chieda ai tossicodipendenti se è giusto legalizzare» – nonostante i suoi argomenti siano stati smontati uno per uno dagli esperti e dagli esperimenti di legalizzazione in giro per il mondo; gli spot anti-droga governativi si coprono di ridicolo per la loro narrativa in stile Boris – «butta via la droga, non la vita» – mentre il governo Meloni destina 63 milioni di euro dall’8×1000 statale inoptato a progetti per il “recupero delle tossicodipendenze”, sostenendo il modello clerical-moralista in stile San Patrignano.
Conclusione
Con questo breve articolo non abbiamo voluto fare l’elogio delle droghe, bensì semplicemente proporre una loro ricontestualizzazione in chiave razionalista. Il problema esiste, è complicato, ma è proprio per questo che va trattato come ogni altro problema di questa portata: attraverso il metodo scientifico, mettendo in atto esperimenti politici graduali con una buona dose di coraggio liberale e di buon senso.
Perché, nel bene come nel male, la storia dell’umanità e quella delle droghe costituiscono un tutt’uno inscindibile, anche da un punto di vista evolutivo. Pensare – come fanno ancora le Nazioni Unite – di poter ottenere un “drug-free world” attraverso politiche proibizioniste è non solo ingenuo, ma anche pericoloso e irresponsabile.
Da una parte, perché è proprio criminalizzando arbitrariamente certe droghe che si crea un mercato nero per la criminalità organizzata – un mercato senza regole né tassazione in cui i consumatori devono affidarsi a criminali il cui unico interesse è il profitto; dall’altra, perché alcune droghe possono effettivamente funzionare per il bene dell’umanità, come dimostrato dai rivoluzionari risultati degli studi di cui sopra.
Miliardi di persone al mondo fanno uso di droghe, ogni giorno. C’è chi lo fa per curarsi, come nel caso dei malati di sclerosi multipla che alleviano il proprio dolore con la cannabis o dei malati terminali che fanno terapie psichedeliche assistite per arrivare a patti con la propria morte; c’è chi lo fa per dipendenza, come nel caso dei miliardi di persone dipendenti da droghe legali come alcool e nicotina o da droghe illegali come eroina e cocaina; c’è chi lo fa a fini rituali, come nel caso dei gruppi religiosi che hanno ottenuto esenzioni statali in Brasile, Usa, Messico, Canada, Sud Africa, Giamaica e altrove, in barba a ogni principio di laicità; c’è infine chi lo fa per fini ricreativi, si tratti di consumatori di Mdma nei club, oppure artisti, imprenditori e ricercatori all’opera sotto Lsd – la storia è piena di tali esempi.
Una cultura del consumo responsabile delle droghe sarebbe per il bene di tutti. Inclusi coloro che non hanno mai preso né mai prenderanno droghe. Perseverare testardamente nel proibizionismo continuerà invece soltanto a fare più danni (e morti) del necessario. È ora di aprire gli occhi e invertire la rotta. Sono gli argomenti razionali e i dati scientifici a imporcelo.
Giovanni Gaetani
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