La truffa del gioco delle tre carte
par Aldo Maturo
lunedì 18 giugno 2012
Era il gioco dei giochi, a Napoli, sui marciapiedi davanti alla stazione centrale, al Corso Garibaldi, sotto la Galleria o dovunque c’era un passaggio di persone frettolose. Era il gioco delle tre carte che mi affascinava quando, uscito dall’università, mi avviavo frettoloso verso il treno, pronto a perderlo pur di godermi quella favolosa sceneggiata. Mi fermavo a guardare, incantato non dalle carte ma dall’organizzazione perfetta finalizzata a truffare il passante di turno. Un panchetto pieghevole, tre carte da gioco e una “paranza”, piccola banda di 5 o 6 persone, ciascuno con il suo compito, uniti a crocchio intorno al "mastro di carte" che mischiava le tre carte e le faceva scivolare più volte sul ripiano del panchetto, aperto come un piccolo tavolo da gioco.
Vicino a lui due “compari-giocatori” facevano finta di non conoscersi tra di loro e puntavano accanitamente fior di 10.000 lire sulla carta "vincente", ma perdevano puntualmente perché sfilando i soldi dalla tasca fingevano di dover abbassare gli occhi e questo consentiva al manipolatore di spostare la carta vincente per farli perdere. Intorno, altri “compari assistenti" al gioco parteggiavano per i “giocatori” e a volte puntavano anch'essi.
La calorosa partecipazione creava un clima di favorevole connivenza che trascinava i passanti. Chi si fermava a guardare prima o poi era spinto a partecipare e lo stimolo a puntare diventava sempre più irrefrenabile. A qualche metro il “palo” badava che non si avvistassero vigili, poliziotti o carabinieri. In tal caso partiva un fischio, il mastro di carte chiudeva a libretto il panchetto e sparivano nella folla.
Un’organizzazione perfetta, con ruoli precisi e degni di un’affiatata banda inserita nella cornice di un’estemporanea sceneggiata napoletana. “La carta vince”, “la carta perde”. I due “compari-giocatori” a volte perdevano ma a volte vincevano perché la vincita doveva stimolare “i passanti” fermatisi ad osservare. La scena era sempre la stessa. “Il pollo” si fermava, guardava con aria disinteressata come a dire “a me non mi fanno fesso”, poi piano piano, incoraggiato da quelli che vincevano (non sapendo che erano complici) e confidando sulla sua presunta furbizia, si faceva largo, sempre più vicino al panchetto, soldi in mano e “zac” partiva la puntata sulla carta che credeva di aver seguito in tutti i suoi spostamenti.
A questo punto il gioco diventava psicologico. La “paranza” studiava in un attimo il soggetto per capire se bastava farlo perdere una volta sola o se era meglio incentivarlo con qualche vincita per spingerlo a puntare più volte con la voglia di rifarsi ma col risultato di perdere tutto. Una vincita, una perdita e così via. Al momento opportuno un'occhiata d'intesa e un urlo: “ …’a polizia…’a polizia”…”. Non era vero ma, come per incanto, le carte sparivano, il panchetto si ripiegava a libretto e tutti i compari sparivano dissolvendosi tra la folla come in una rosa dei venti. Sul posto restava il truffato, ma ormai era troppo tardi per capirlo.
Si allontanava a testa bassa con un magone in gola, il portafoglio più leggero e il dramma di doverlo raccontare a casa. Ho visto in quegli anni persone perdere anche 2 o 300.000 mila lire. Poi i napoletani hanno capito che a Napoli non c’era più spazio, che il gioco era “bruciato” e si doveva emigrare in altre città per cercare clientela più vergine. Hanno colonizzato le varie piazze d’Italia e il gioco si è anche evoluto, con paranze che oltre alle tre carte usano i bicchieri o le campanelline sotto cui nascondono il cecio o la pallina da scoprire. Cambia la location ma la sceneggiata è la stessa e alla fine c’è sempre un truffato che resta e dei truffatori che fuggono.
Ora per la prima volta in Italia il gioco dal reato di truffa semplice è stato "promosso" ad associazione a delinquere finalizzata alla truffa. Ci ha pensato il Tribunale di Torino che con le prove offerte dalle telecamere dei carabinieri ha condannato 17 persone a tre anni di carcere. Quella paranza non guadagnerà più oltre 3.000 euro al giorno ma di certo c’è già quella di riserva che aspettava solo di entrare “in gioco”.