La tradizione omoerotica nel Giappone premoderno: vita monastica, ambienti militari etc

par Lorenzo Mazzoni
venerdì 3 maggio 2013

Lo studio socio-culturale dell'omosessualità maschile è una tematica che genera ancora molta repulsione, imbarazzo e che viene ancora percepita in modo ambivalente all'interno degli stessi confini nazionali nipponici, in termini di rottura totale con la premodernità, dove l'omosessualità era ampiamente accettata. 

All'interno del contesto storico-culturale giapponese è importante considerare che l'omosessualità, in modo particolare quella maschile, soltanto recentemente è stata considerata anomala e aberrante, ridefinita perfino come una devianza patologica, mentre in alcuni momenti dell'epoca premoderna è stata proprio l'estetica femminile a fare da modello di riferimento per quella maschile. Infatti, ancor prima dell'epoca Edo-Tokugawa (1600-1868), non si riscontravano limitative corrispondenze tra genere e preferenza sessuale, in quanto uomini appartenenti a qualsivoglia ceto sociale erano liberi di vivere relazioni eterosessuali parallelamente ad altre di natura omoerotica. La documentazione storica riguardante la presenza dell'omosessualità in contesti pre-moderni è alquanto oscura: è in realtà solo a partire dal X secolo d.C. che si rileva la divulgazione élitaria dei primi testi che fanno riferimento a relazioni sessuali tra partner maschili e che propongono l'androginia come elemento largamente apprezzato dalla società del tempo. Esplicativo dal punto di vista linguistico-sociale è il termine nanshokuç·è², il cui significato letterale è “colori maschili”, stando cosi a indicare la natura omosessuale di rapporti tra individui omosessuali. Mentre il carattere nan ç·(uomo) è esplicito nel suo valore semantico, il carattere shoku è² (colore) ha da sempre avuto, sia in Cina che in Giappone, una valenza altamente erotica, stando a significare in modo allusivo il piacere sessuale. Tale elemento venne inteso in Giappone come un vero e proprio insegnamento, una “via” (dÅ é). 

I monasteri, ancor più che la Corte imperiale, hanno prodotto la prima effettiva documentazione dell'omosessualità nella tradizione giapponese. È in questo contesto che s'instaurano numerose relazioni omosessuali di natura pederastica e dunque fortemente strutturate anagraficamente: il partner più adulto, chiamato nenja ( 念 è , “amante”) era solitamente un monaco, un sacerdote o un abate, mentre quello più giovane era tendenzialmente un giovane adolescente o un ragazzino prepuberale che svolgeva nel monastero la funzione di accolito ed era identificato come chigo ç¨å. Il chigo aveva il dovere di provvedere a servire personalmente e lealmente il proprio padrone: in cambio, all'accolito venivano riconosciuti molti privilegi, come il permesso di tenere i capelli lunghi, incipriarsi il volto, caratterizzandosi così ancor di più come il soggetto passivo della relazione omoerotica. Tali amori omosessuali in ambito monastico sono testimoniati in opere letterarie conosciute col nome di Chigo monogatari, racconti scritti da religiosi e ad essi diretti, che costituivano una sorta di esaltazione della passione dei monaci per i giovani accoliti.
 
Tale definizione di ruoli, esplicitati nell'obbedienza e nella fedeltà, venne riscontrata anche in epoche successive, in particolar modo all'interno all'interno della classe samuraica i cosiddetti bushi æ­¦å£« in epoca Edo in ambiente militare. In un certo qual modo, il feudalesimo giapponese potrebbe così aver spinto verso comportamenti omosessuali, soprattutto in base alla forte gerarchizzazione che caratterizzava la società del tempo. Gli amori omosessuali vennero dunque inseriti nel principio del wakashÅ«dÅè¥è¡é (la via dei ragazzi). I wakashÅ« è¥è¡ erano ragazzi fra gli undici e i quindici anni, ovvero in un'età anteriore alla cerimonia genpuku åæ (cerimonia della maggiore età), durante la quale la fronte veniva rasata come segno del raggiungimento della maggiore età: lo wakashÅ«dÅ, perciò, in ambito militare era un vero e proprio processo di maturazione dell'apprendista samurai, il quale veniva iniziato all'etica guerresca da un amante più adulto che rivestiva spesso il ruolo di guida. Le convenzioni imponevano però una stretta monogamia al ragazzo, in un vincolo che non era soltanto amoroso ma anche di fedeltà feudale nei rispetti del proprio signore/amante; in caso di infrazione del giuramento, non c’era possibilità di perdono: la punizione era la morte. L'omosessualità, o meglio la bisessualità, non erano affatto condannate dalla società Tokugawa. Infatti, essere sessualmente attivi verso entrambi i sessi veniva considerato un pregio: in particolare, come accennato, l’amore tra samurai costituiva un ulteriore consolidamento della classe al potere.
 
L'intenso sviluppo socio-culturale che caratterizzò il periodo Tokugawa, culminò con l'affermarsi del trasversale ceto sociale dei chÅnin çºäºº, i commercianti. La prosperità della classe dei chÅnin infatti era intimamente legata alla nascita dei grandi centri urbani. Effettivamente Un fattore che contribuì allo sviluppo della cultura popolare fu il fiorire dei quartieri di piacere, come Shimabara a KyÅto, Shinmachi a Åsaka o di Yoshiwara a Edo (l'attuale TÅkyÅ). E' in tale contesto socio-culturale che si asistette a una vera e propria commercializzazione dell'omosessualità: i quartieri di piacere delle più grandi città giapponesi favorivano infatti la prostituzione maschile, soprattutto quella dei ragazzini, apprendisti attori kabuki, che si vendevano per pagarsi gli studi artistici, sempre protetti da persone influenti e benestanti che arrivavano anche a competere ferocemente tra loro per poterne comprare i favori. A Edo æ±æ¸, ad esempio, si riscontravano casi in cui nelle comuni case da tè (chaya,è¶å± ) il cliente chiedesse al gestore del locale di potersi incontrare con un ragazzino piuttosto che con una cortigiana. L'omosessualità in Giappone si sviluppò dunque anche in relazione alle varie espressioni teatrali nate in epoca Tokugawa: in particolar modo, nel teatro kabuki ben noto è il ruolo dello onnagata å¥³ å½¢ , un attore maschio dedito all'interpretazione di ruoli femminili. La figura dello onnagata, perfetta incarnazione dell'androgino, era ben accetta dalla popolazione giapponese, anzi rispettata e ammirata per le capacità artistiche, per la suprema eleganza e per la disciplina. 
 
L'esistenza di una lunga tradizione omosessuale monastica, la mancanza di sanzioni morali contro la “via dei ragazzi” e di una netta distinzione tra etero e omosessualità favorirono, nel corso del periodo Tokugawa, la diffusione di amori maschili tra gli strati militari e della borghesia dei maggiori centri urbani del paese. Si può dire dunque che l'amore omosessuale godette di un alto livello di tolleranza da parte della società urbana in epoca Tokugawa: una tolleranza che implicava accettazione e idiosincrasia in termini di apparenza, personalità e comportamento.
 
Lorenzo Mazzoni
 
Nella foto: Spring Pastimes di Miyagawa Isshô (Credit: Wikimedia)
 

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