La task force di Conte per la gestione del Recovery Fund

par Gerardo Lisco
lunedì 14 dicembre 2020

Alla proposta del Presidente del Consiglio Conte di istituire una task force per la gestione delle risorse del Recovery Fund, formata da sei manager presi dal pubblico e dal privato e da trecento - diciamo - collaboratori, che deve far capo al Presidente del Consiglio, al Ministro dell’Economia, al Ministro dell’Industria e al Ministro dei rapporti con l’UE; dalle forze politiche, tanto di maggioranza quanto di opposizione, si è alzato un coro di dissenso. Tra tutti, colui che si agita di più è Renzi.

 Le ragioni sono semplici: il peso politico di Renzi in termini di consenso elettorale, stando ai sondaggi, è nullo, per cui per acquisire visibilità, per poter entrare nella negoziazione e dare risposte a quegli interessi organizzati che ancora scommettono su di lui, deve giocare il tutto per tutto. Per comprendere meglio la vicenda provo ad andare per ordine. I 209 miliardi del Recovery Fund sono un successo per il Presidente del Consiglio Conte, successo costruito a partire dalla elezione della Von Der Leyen grazie ai voti degli europarlamentari del M5S convinti dal Presidente Conte.

Da quel momento la fisionomia politica di questo governo è apparsa chiara: il Governo Conte 2 è europeista ed è parte integrante delle elites europeiste che da decenni scommettono sul progetto europeo consapevoli che, dato il contesto, l’idea iniziale ha bisogno di una messa a punto. Come ha ben messo in evidenza il sociologo Paolo Gerbaudo in un eccellente articolo pubblicato sulla rivista on line Il Grand Continent dal titolo “ Il nuovo protezionismo”: "Forse la manifestazione più plateale di un passaggio dal libero mercato al protezionismo a livello di regioni del mondo è offerta dalle tendenze protezioniste che si stanno facendo lentamente strada anche all’interno dell’Unione Europea". 

Le elites europeiste, come si evince dall’intervista di Macron alla rivista Il Grand Continent, hanno preso atto che il sistema libero-scambista non regge più a causa degli alti costi sociali che minano le fondamenta del progetto europeista. L’emergenza sanitaria ha aggravato la crisi già in atto imponendo nuove scelte alle elites europeiste. Per mettere mano alla ristrutturazione del sistema esse hanno messo in campo una serie di strumenti: Recovery Fund, Sure, BEI, acquisto massiccio da parte della BCE di titoli del debito pubblico, rivisitazione del Trattato MES. Tutti assieme questi strumenti sono da considerare come un pacchetto unico da prendere o lasciare.

Per cui la discussione sul MES e sulla task force proposta da Conte non riguarda gli strumenti in sè ma lo scambio, in modo brutale: cosa tocca a chi. Quando venne trovata l’intesa sul Recovery Fund più di qualcuno avanzò l’ipotesi che dietro l’accordo raggiunto si nascondesse il commissariamento dell’Italia. Secondo l’intesa raggiunta le risorse del Recovery Fund devono essere necessariamente impegnate per interventi coerenti con gli indirizzi politici concordati a livello di U.E.. Ricordo che gli indirizzi sono quelli contenuti nel discorso di insediamento della Von Der Leyen.

Se qualche lobby o qualche politico pensa di utilizzare le risorse del Recovery Fund come hanno fatto a suo tempo Berlusconi e Renzi è fuori strada. La task force pensata da Conte è la garanzia che il processo vada nel senso di quanto concordato in sede di UE. La rivisitazione del MES prevede che al MES, oltre agli Stati in difficoltà finanziaria, possano ricorrervi anche le banche. In un sistema come quello creato in questi anni, a fronte della necessità da parte delle banche di finanziare la ripresa è del tutto evidente che tutelare il sistema bancario diventa un fattore essenziale utile all’intero sistema.

Queste è una delle tante ragioni per la quale i singoli strumenti vanno visti come parte di un unico pacchetto. Per capire che le cose stanno realmente così bisogna considerare come l’UE si presenta sotto il profilo giuridico. L ’UE si regge su una molteplicità di contratti e sulla perenne negoziazione dei contraenti. Come in tutti i contratti ciascuna della parti intervenute si cautela rispetto agli contraenti.

La qual cosa non significa che qualcuno dei contraenti possa imporre al riottoso di turno il commissariamento. Il mancato rispetto degli obblighi contrattualmente assunti comporta reazioni da parte dei contraenti che possono essere di diverso tipo. Nel caso specifico dell’UE la reazione non riguarda solo gli Stati sottoscrittori del patto ma anche gli stakholder che, se pur non essendo sottoscrittori del patto, ricevono dei benefici dalla corretta osservanza degli obblighi.

L’elites europeista italiana ha davanti a sè una sfida enorme che non può perdere. Le critiche, a volte anche molto dotte, all’operato del Governo, nei fatti, non sono in grado di offrire un’alternativa; per cui in questo momento l’unica cosa è accettare la sfida evitando di fare gli stessi errori fatti all’indomani dell’introduzione dell’euro. La riduzione dei tassi di interesse, se ben utilizzata, avrebbe aiutato l’Italia a rientrare dal debito pubblico e invece non se ne fece nulla. Gli italiani allora optarono per il Governo Berlusconi II con risultati che sono sotto gli occhi di tutti. Di fronte a questo quadro il voto di ieri alla Camera e al Senato sul MES, a parte l’atteggiamento da televenditore di Renzi, ha certificato che una cosa sono i discorsi per arringare gli astanti altra cosa è la realtà.

La domanda alla quale bisogna provare a dare una risposta è: Il meccanismo proposto da Conte per la gestione del Recovery Fund esautora il Parlamento? A mio modesto parere non esiste nessun pericolo del genere. Lo si capisce solo prendendo atto che il sistema di gestione della cosa pubblica non è più quello del governo ma della governance. Ed essa per definizione prevede un processo negoziale che interessa tutti i soggetti sia essi politici che economici.

L’Italia è un sistema sociale, politico ed economico molto complesso per cui i soggetti politici e non solo si trovano ad interagire e negoziare in veste e luoghi diversi. Il Parlamento non è stato esautorato ha solo cambiato volto è questo non è un fatto di oggi. La Democrazia rappresentativa è fortemente in crisi, da qui lo scaturire di altre forme di rappresentanza adeguata alle esigenze di un sistema “liquido”: la governance appunto. I leader di forze politiche di peso sono consapevoli di questo per cui nonostante le critiche alla proposta di Conte sono consapevoli che gli spazi dove far valere i propri interessi sono anche fuori dal Parlamento. Per essere chiaro fino in fondo i sei manager che verranno chiamati ad occuparsi del Recovery Fund quante paternità a maternità politiche hanno?

E’ davvero immaginabile che a certi livelli si è figli di un solo padre e di una sola madre? Essi stessi sono parte del processo di governace. L’unico ad agitarsi più degli altri è il solo Renzi proprio perché il suo peso specifico è prossimo allo zero e i parlamentari renziani, per quanto determinanti di fronte ad una possibile crisi con elezioni politiche anticipate, sono consapevoli del fatto che non verranno più eletti. Per cui ciascun parlamentare si comporterà esattamente come un qualsiasi stakholder alla faccia della Democrazia e dell’appartenenza a una cosa, Italia Viva, che nemmeno per errore può essere considerato un partito. In conclusione la proposta di Conte e l’azione complessiva del Governo segnerà un ulteriore passaggio verso la trasformazione sostanziale del nostro sistema politico. 

Foto di Leonardo1982 da Pixabay 


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