La strana storia del vicequestore Giuseppe Peri

par Roberto Greco
lunedì 9 agosto 2021

Il vicequestore Giuseppe Peri morì di crepacuore il 1°gennaio 1982 dopo essere stato volutamente calunniato quale visionario e affetto da traveggole. Avevo conosciuto il dottor Peri nei primi anni ’70.
di Carmine Mancuso
 
Giovane poliziotto fui trasferito da Milano per alcuni mesi alla squadra mobile di Trapani, Giuseppe Peri era il dirigente. Impattai in un funzionario introverso, poco incline ai dialoghi, dai tratti decisi e, soprattutto, impattai in un lavoratore instancabile. Percepii subito che era un tenace investigatore di non comune sagacia, molto diffidente e che preferiva lavorare, se non da solo, in autonomia. Nel trapanese l’effetto mafia era come un fiume carsico che scorreva sotterraneo, ma poi all’emersione diventava pregnante.
Avviluppato da una costante componente massonica il rapporto mafia-politica calcificava e creava,connivente al potere centrale, una schiera di intoccabili, nonché una finanza che riciclava danaro a profusione, tanto fa garantire un potere economico enorme. Giuseppe Peri si muoveva in un contesto paludato e pericoloso. Diffidare dall’apparenza e dalle trasfigurazioni era d’uopo. Gli apparati istituzionali erano particolarmente inquinati e l’insidia si occultava in ogni dove. Giuseppe Peri indagava con una tenacia da certosino anche per quanto riguarda i sequestri di persona nell’asse Sicilia(Trapani)-Lombardia, vedi il suocero di Nino Salvo, potentissimo esattore di marca andreottiana (Corleo, Campisi, Mariani e Perfetti). A seguito di tali indagini e soprattutto con la misteriosa uccisione di due carabinieri avvenuta nella casermetta di Alcamo Marina, Peri era risalito ad una organizzazione mista di destra neofascista, mafia, massoneria e perfino di attività losche in un campo di addestramento paramilitare nei pressi di Trapani dove comparivano gli stragisti Pier luigi Concutelli e Stefano Delle Chiaie. A corroborare tali presenze si stagliarono le figure dei massimi latitanti di quel territorio, le “figure più di prestigio” quali Totò Riina, Bernardo Provenzano, i Messina Denaro padre e figlio, Salvatore Zizzo, capocosca di Salemi, e il nipote, Salvatore Miceli, ufficiale di collegamento per il traffico degli stupefacenti con le cosche trapanesi, le ‘ndrine calabresi e i cartelli sudamericani. Le indagini di Peri toccavano inoltre i Rimi, Mariano Lipari di Marsala e Totò Minore di Trapani.
 
Ma l’attività di Peri toccò un altro punctum dolens. La sera del 5 maggio 1972 il DC8 dell’ALITALIA, AZ112, PROVENIENTE DA ROMA, andò ad impattare contro Montagna Longa, sovrastante l’aeroporto di Punta Raisi. I morti furono 115. La tragedia fu catalogata come incidente, ma la dinamica piuttosto particolare diede luogo ad altre più torbide matrici. Giuseppe Peri attraverso serrate indagini esaminò svariati elementi che non quadravano: una strana distrazione del pilota che pur senza autopsia fu fatto passare per ubriaco, la testimonianza di due poliziotti che chiarirono di avere udito prima un boato e poi di avere notato l’aereo schiantarsi sul costone e diverse testimonianze, tra cui quella di un farmacista, sparite. Nessuna autopsia sui cadaveri. Di un cadavere venne rinvenuta soltanto la dentiera e vari oggetti dei passeggeri si trovarono polverizzati, pertanto Peri ipotizzò, grazie ad una fonte misteriosa, che l’attentato era rivolto al consigliere di Corte d’Appello e presidente della sezione speciale misure preventive di Palermo, Ignazio Alcamo, che aveva proposto il soggiorno obbligato per il tristemente noto costruttore edile, Francesco Vassallo, prestanome delle più significative dinastie mafiose che investivano fiumi di miliardi provenienti dal riciclaggio del traffico di stupefacenti e dalle estorsioni. Con Vassallo significava circoscrivere il potenziale mafioso dei padroni di Palermo, Lima, Gioia e Ciancimino, e scoperchiare così il vaso di Pandora dei legami torbidi tra massoneria, mafia e politica. Alcamo aveva proposto anche il soggiorno obbligato per Antonietta
 
Bagarella, sorella di Leoluca e sposa di Totò Riina. Tutto questo per le attività investigative dell’epoca significava una polveriera, per cui le iniziative di Alcamo provocarono la famelicità sanguinaria dei corleonesi e dei loro sodali. Questi dossier per circostanze del destino finirono all’esame di Cesare Terranova e di Lenin Mancuso che, com’è noto, furono trucidati proprio poco prima che Terranova assumesse l’incarico di capo dell’ufficio d’istruzione del tribunale di Palermo con la collaborazione del fidato Lenin.
 
Questo complesso lavoro certosino di Giuseppe Peri fu condensato in un rapporto che egli inviò alle Procure di Trapani, Marsala, Agrigento, Palermo, Torino, Roma e Milano. La svolta epocale ed esplosiva scosse il sistema nei confronti di personaggi che godevano di appoggi inimmaginabili non soltanto nelle grandi dinastie mafiose ma anche all’interno di quei legami scottanti di chi si annida nei palazzi. Nessuna procura si arrischiò pertanto di prenderlo in esame, giudicandolo fastidioso, eversivo e dirompente per gli ingranaggi di potere. A dare il colpo di grazia alle ultra efficaci indagini di Peri, che intanto fu demansionato e retrocesso, fu il sostituto procuratore di Marsala, Salvatore Cassata. Nel 1981 quando fu scoperta la loggia P2, una delle tessere corrispondeva infatti al Cassata e ad altri personaggi che avevano impattato con Peri, tra loro anche il vicequestore, vicario di Trapani, che per smontarlo del tutto gli aveva creato attorno la fama di triste visionario. Nel 1989 Cassata, sua moglie e suo figlio, a causa dello scoppio di un pneumatico, morirono nell’impatto con il guard rail. A tal proposito il pentito Rosario Spatola riferì che a colpire le ruote era stato un cecchino con un fucile di precisione. Ancor dopo la sorella di Angela Fais, che era perita nella strage di Montagna Longa e che era membro della redazione del giornale l’Ora, chiese aiuto al giudice Paolo Borsellino, il quale non ebbe neanche il tempo di occuparsene, sulla scorta di quanto era stato sancito da Peri che sempre nel suo rapporto aveva posto le basi di quell'indagine che poi fu denominata 'mafia e appalti'.
 
Verso la fine degli anni ’70, assegnato da pochi giorni alla squadra mobile di Palermo, impatto
in una figura a me familiare che, nonostante gli anni passati, riconosco come Giuseppe Peri. Fu un incontro gradito, dai tratti rievocativi, ma nello stesso tempo amari per l’epilogo della vicenda del mio ex dirigente. Peri mi apparve triste e molto amareggiato, ma ancora irrisoluto e vivace. La sera ne parlai a mio padre che mi confermò che il buon Peri era stato scaraventato in uno sgabuzzino della Questura coperto da scartoffie. Mio padre ben ricordava la sua sagacia ed il suo grande contributo alle indagini condotte da Cesare Terranova su colui che passò alla storia criminale come il mostro di Marsala, al secolo Michele Vinci, autore dell’orrendo delitto di tre bambini. L’indomani mio padre ne parlò a Cesare Terranova, quindi combinammo subito un incontro col Peri. Terranova lo esortò a non demordere e gli preannunziò che da lì a qualche settimana, non appena assunto l’incarico di consigliere istruttore lo avrebbe voluto accanto a Lenin Mancuso per iniziare un’efficace, profonda e opportuna indagine a vasto raggio tra mafia, politica e affari.
 
Il 25 settembre 1979 un commando mafioso uccide Cesare Terranova e Lenin Mancuso. Nei giorni successivi Peri mi confidò: “era la mia ultima speranza, hanno ucciso pure me”.

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