La strana morte di Daniele Franceschi e la situazione delle carceri francesi

par Francesco Raiola
martedì 19 ottobre 2010

Mentre le davano un calcio nelle costole, a Cira Antignano, la madre di Daniele Franceschi, il ragazzo viareggino morto in agosto nel carcere francese di Grasse, le hanno gridato “Italiani di merda”. Quasi le stesse parole che il ragazzo si sentiva probabilmente gridare in carcere, quando scriveva alla madre che lì, a Grasse, sarebbe stato meglio essere extracomunitario piuttosto che italiano.

Una morte sospetta, quella di Franceschi, resa ancora più straziante da uno strascico di omissioni e silenzi da parte di quelle autorità francesi che avrebbero dovuto proteggere la vita di un detenuto italiano e la dignità di una madre che non ha potuto vedere la salma del figlio morto. Una dignità venuta meno con quella frase lanciata dalla gendarmerie francese che l’ha arrestata, ammanettandola con le mani dietro la schiena come una pericolosa criminale, mentre la sig.ra Antignano protestava fuori al carcere di Grasse. Una protesta scaturita dal divieto, qualche ora prima, di vedere il corpo Daniele. “Abbiamo bisogno dell’autorizzazione del direttore per far vedere il corpo alla madre” aveva detto l’infermiera dell’ospedale Pasteur; un’autorizzazione evidentemente negata, probabilmente a causa delle condizioni di quel corpo, arrivato venerdì in Italia, straziato e senza organi (conservati tra Marsiglia e Tolosa) e, sembra, col volto quasi “liquefatto”. Un volto liquefatto a causa delle assurde temperature a cui era stato tenuto il corpo; 4 gradi, invece dei -22 obbligatori e richiesti dal medico legale della famiglia, per poter poi effettuare la visita autoptica in Italia. Una visita che il dottor Lorenzo Varetto aveva chiesto dal momento della morte del ragazzo, ma che per motivi medici non poteva essere fatta, e che comunque lui, come tecnico di parte non avrebbe potuto fare, dato che la legislazione francese prevede che il medico di parte sia deciso da un giudice (francese). E da lì era partita la richiesta della conservazione del corpo a una certa temperatura. Non ci sono giustificazioni al momento sul perché, comunque, gli organi siano ancora in mani francesi, anche dopo un mese e mezzo dall’accaduto.
 
Nel frattempo sono tre i testimoni pronti a testimoniare a favore della famiglia Franceschi come ci ha confermato al telefono uno degli avvocati della famiglia Franceschi, Maria Grazia Menozzi (coadiuvata dal collega Aldo Lasagna). Il suo compagno di cella Abdul e due vicini, Mikael Paret e Gilles Girado, vigile del fuoco che ha testimoniato come il primo soccorso sia stato scadente, con una delle inservienti presa dal panico al momento di usare il defibrillatore che avrebbe, addiorittura, sbagliato a posizionare.
 
Insomma un caso che a parte la geografia dell’accaduto ricorda tanti di quei casi che in tanti (Antigone, Metilparanben...) hanno denunciato e denunciano quotidianamente in Italia. Come ad esempio il caso Cucchi o quello di Niki Aprile Gatti, per esempio. Casi che in Italia hanno creato molto scandalo (a parte Gatti), più di quanto forse non abbia fatto questo di Franceschi. Eppure paradossalmente se si conoscesse la situazione delle carceri francesi e dei detenuti la cosa non ci meraviglierebbe. Insomma nel paese del “Succede solo da noi” e “In nessun altro paese al mondo” la meraviglia per la condizione delle carceri francesi potrebbe sorprenderci. Per saperne qualcosa in più, abbiamo chiesto delucidazioni a Ban Public, un’associazione indipendente francese che si occupa proprio di “favorire la comunicazione sulle problematiche dell’incarcerazione e della detenzione, nonché aiutare il reinserimento delle persone detenute”. Un’associazione che porta in diretta, sul proprio sito, il conto delle morti sospette nelle carceri francesi (conteggio in cui è compreso anche Franceschi), ben differenti da quelle segnalate dal Governo, dato che loro non tengono in considerazione “i decessi che sopravvengono in seguito al tentativo di suicidio al di fuori della prigione: se un prigioniero muore a causa delle proprie ferite in ospedale, non sarà contato dal Governo come se fosse un decesso in prigione”, problema questo a cui si è cercato di ovviare col kit antisuicidio, ovvero, nel momento in cui un prigioniero presenti rischi di suicidio, gli vengono date lenzuola e pigiami di carta, così da non potersi impiccare; l’associazione, però, si oppone a questo “rimedio” che è “un attentato alla dignità umana e che non risolve in alcun modo il problema suicidi”.
 
Come in Italia, e come denunciato da alcune interessanti inchieste del settimanale L’Espresso, anche in Francia uno dei maggiori problemi carcerari è la sovrappopolazione che raggiungerebbe il 120% (rapporto persone incarcerate/posti disponibili) e per cui la Francia è stata spesso richiamata dal Consiglio D’Europa: “Stimiamo – continuano da Ban Public - che il numero di posti disponibili in prigione sia di 55000 posti circa e che il numero dei detenuti sia di 62000. Questo sovrappopolazione non è senza conseguenze su quello che dovrebbe essere il doppio obiettivo della pena: la sanzione da una parte e il reinserimento dall’altro. Essere 4 o più di 4 in una cella di 9m² genera tensione, mancanza di igiene e violenza”. In più, lo stato delle celle spesso è pessimo e a tal proposito recentemente “lo Stato è stato condannato a causa delle condizioni che attentavano alla dignità umana a causa all’interno della prigione Bonne Nouvelle di Rouen”. Eppure ci sarà qualcosa di buono nella legge sulle carceri del Governo Sarkozy e votata nel 2009? “Il punto positivo è stata la riduzione delle pene del ‘Mitard’ o quartier disciplinaire (il nostro “isolamento”): quando un detenuto contravviene alle disposizioni del regolamento interiore o della legge, è ‘giudicato’ dal direttore della prigione. La pena massima era di 45 giorni di isolamento. È passata a 30 giorni”.
 
Infine abbiamo chiesto loro se fosse normale che la madre di Franceschi non fosse stata informata del decesso se non tre giorni dopo i fatti e che non abbia potuto vederne il corpo, e la risposta è stata che assolutamente non lo era, anzi “avrebbero dovuto avvisarla subito, oltre a farle poter vedere il corpo almeno all’obitorio. Avrebbe dovuto essere ricevuta dalle autorità e aiutata sia sul piano giuridico che su quello psicologico, ma anche materiale, e messa nelle condizioni di massimo confort al fine di rassicurarla e intraprendere tutte le pratiche necessarie, accompagnata da quelle stesse autorità, in modo da ottenere tutte le informazioni sul decesso di suo figlio”.
 
Insomma, sono ancora tanti i tasselli di questa storia che non sono al proprio posto e questa volta non per colpe italiane (anzi l’avvocato della famiglia ha tenuto a precisare che il lavoro del console a Nizza è, praticamente, una delle uniche note positive della vicenda). La prossima tappa di questa strana vicenda è per giovedì quando il dottor Varetto attesterà le condizioni del corpo.

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