La stampa britannica e il nuovo governo italiano

par Maria Dore
lunedì 29 aprile 2013

Bisognava aspettare la sparatoria davanti a Palazzo Chigi nel giorno del giuramento del nuovo governo per ridestare i dormienti corrispondenti britannici stanziati a Roma per seguire la politica nostrana.

 

Come biasimare, del resto, una stampa che per settimane ha attinto a piene mani dalla cronaca Usa dalla quale sono giunte notizie di esplosioni, attentati e sparatorie; che ha ricostruito le vite, nonché la sanguinosa e romanzesca dipartita dei fratelli Tsarnaev emigrati dalla Cecenia e convertitisi al fanatismo? La nomina di un novantenne a presidente della Repubblica, per quanto inedita dal punto di vista istituzionale, non deve essere sembrata particolarmente appetibile.

Passando alla nascita del governo, le testate on-line utilizzano l’evento più sensazionalistico - quello del disoccupato oramai disilluso nelle sue speranze di tenersi stretto il posto di lavoro in un’Italia nel bel mezzo della recessione e che riversa il suo livore nell’intera classe politica tentando una strage - per poi dedicarsi all’analisi degli ultimi avvenimenti politici. Tuttavia alla guida del governo c’è il giovane Enrico Letta e all’Italia si può tornare a dedicare qualche riga di approfondimento.

Traspare un certo senso di sollievo per la fine dello stallo durato oltre due mesi. La diffidenza certo non manca. La BBC definisce “non facile” il futuro della nuova alleanza. I ministri degni di menzione sono sette su ventuno, tra cui Alfano - di cui prevalentemente si ricorda l’essere stato il pupillo di Silvio Berlusconi - Saccomanni, Cancellieri, Bonino. Le ragioni per cui si taccia sugli altri possiamo immaginarle da soli.

Seguendo le orme della stampa di casa nostra, come non rimarcare inoltre la presenza delle donne e del primo ministro di colore nella neo-nominata squadra? È o non è un evento che dovrebbe passare sotto silenzio se non fosse che si parla del paese del Bunga Bunga e della Lega Nord che non molto tempo fa spadroneggiava? Così sembra pensarla il Guardian.

Alcune righe che si possono leggere sulla stessa testata sembrano quasi mettere a dura prova la tradizionale compostezza britannica: “Il nuovo governo italiano sembra promettere bene”, ma, si legge più avanti “la sua tenuta potrebbe essere breve”.

Qualora questo non basti, si asserisce che Enrico Letta è alla guida di quello che può essere considerato “il miglior governo da anni a questa parte”, nel caso noi italiani non ce ne fossimo resi conto.

Qualcuno ricorderà la famosissima copertina dell’Economist del duemilauno, quella in cui Berlusconi veniva giudicato “unfit”, inadatto a guidare l’Italia. La stessa testata plaude all’ascesa del giovane Enrico, e pare poco rilevante sottolineare che costui sia il nipote di quel Gianni vicinissimo a Silvio. Ma l’Economist è pur sempre l’Economist e non si dimentica di sottolineare come questo esecutivo sia stato pesantemente plasmato dalla volontà di un Berlusconi riaffacciatosi sulla scena con prepotenza dopo essere stato dato per spacciato, per l’ennesima volta. Alcuni giornalisti italiani prendessero nota.

E c’è qualcos’altro che non torna e in virtù di questo l’analisi dell’Economist appare come quella più vicina alla realtà. È il sistema politico italiano tout court a non funzionare. Un sistema politico che ha portato al governo un leader non scelto dagli elettori e che nemmeno era candidato alla ultima competizione elettorale, probabilmente inabile a riflettere e soddisfare il desiderio di cambiamento di gran parte degli italiani. Quella del governissimo appare come l’unica chance dopo il fallimento delle urne e dell’opzione tecnocratica. In attesa delle nuove elezioni, of course.


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