La sposa promessa

par angelo umana
sabato 1 dicembre 2012

Film dei riti e delle norme, familiari e religiose, da queste ultime sovente le prime dipendono e il risultato è che le donne stanno più spesso davanti ai fornelli o accudiscono i bambini, camminano dietro agli uomini in alcune circostanze e le vengono scelti, o proposti, i mariti. Gli uomini invece vanno in sinagoga, si dedicano alla preghiera e perciò affidano i bambini, come fagotti, a mani femminili; sono pure i maggiori attori, così sembra, di quei riti, nei canti ma anche nelle bevute.
 
Proprio le regole familiari non scritte creano la trama del film (e del libro da cui deriva) e le relative tensioni e struggimenti. Soprattutto da parte di Shira, diciottenne desiderosa di convolare a nozze: molto espressivo il suo viso nell’ansia di conoscere, in un supermercato, il fidanzato designato. Nei disegni della madre c’è però per lei un’unione strategica con Yochai, uomo avvenente rimasto vedovo della sorella di Shira, Esther, morta nel parto che ha dato la luce al piccolo Mordechai. A questo modo il bambino resterà nella famiglia, di lui già si occupa con successo la stessa Shira (la sua fisarmonica lo tranquillizza) e la nonna non lo perderà di vista.
 


È un film principalmente di silenzi e di sguardi, tutti più eloquenti dei dialoghi, soprattutto quelli tra Yochai e Shira, che risultano spesso banali, solo funzionali alle complicazioni e all’attesa che tra i due si crea. A Shira appariva dapprima sacrilego occupare il posto che è stato di sua sorella, dice al rabbino che vuole conoscere le sue intenzioni: “Non è una questione di sentimenti, c’è un compito da svolgere e vorrei che tutti fossero soddisfatti di me”. Questo “compito” diventerà pian piano attesa e attrazione, coronata da un emozionatissimo prematrimonio e dalla promettente scena finale dei due che la sera delle nozze si trovano per la prima volta del tutto soli nella stanza da letto.
 
Potrebbe risultare insussistente il film, per una trama molto semplice, salvo che per i costumi e gli usi ebraici che ci fa conoscere, per i quali bisogna avere rispetto senza contrapporvi sbrigativamente comportamenti occidentali: una società dove sono più gli uomini a rappresentare e a rappresentarsi, ma dove le donne guidano. Risulta invece emozionante attraverso gli occhi trepidanti di Shira (Coppa Volpi al Festival di Venezia per la migliore interprete femminile), il vuoto della trama viene colmato dal suo viso che attende, ma non sarà per questo che il titolo originale sia “Fill the void”. 

 

 


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