La scuola che avremmo dovuto riformare diversamente

par Domenico Cammarano
lunedì 16 settembre 2013

Sta per riaprire la scuola, anzi in alcuni istituti e regioni d’Italia si sono già conclusi i primi giorni di lezione. La precarietà che caratterizza ogni inizio di anno scolastico, si ripete anche per quest’anno.

Mancano alcuni docenti, mancano alcuni dirigenti, mancano i collaboratori scolastici, le aule non sono sufficienti in alcuni istituti, gli edifici non sono a norma di sicurezza, per carenza di opere di manutenzione ordinaria e straordinaria che comporta anche la mancanza delle prescritte certificazioni di sicurezza e di agibilità. Di fronte a tutto questo, però già tutte le scuole hanno nominato le “funzioni strumentali” , hanno dato il via al “progettificio” annuale, per completare il “POF”, ovvero il piano dell’offerta formativa (per i non addetti ai lavori, il POF è la redazione della programmazione annuale d’istituto).

Sicuramente troveremo qualche laboratorio in più e le misteriose “LIM” ovvero le lavagne elettroniche, sistemate in qualche aula di alcuni edifici scolastici e “dulcis in fundo” il registro elettronico. 

Sicuramente lo Stato spende un bel po’ di quattrini per attrezzare le scuole con questi strumenti all’avanguardia: peccato che il necessario aggiornamento per i docenti che ne devono fruire, è latitante, approssimativo, incompleto. Nel frattempo le aule non hanno tendine per ripararsi dal sole, mancano di banchi e sedie adeguate, gli armadietti e gli attaccapanni sono spesso fatiscenti o inesistenti, le cartine geografiche sono da museo e le palestre mancano o non sono attrezzate; per non parlare dei servizi igienici, che spesso sono tutt’altro che igienici. Ma non di rado mancano proprio le aule e si ricorre ancora ai doppi turni. 

Di fronte a tutto questo, i Soloni della Minerva, da anni ci hanno tempestato di riforme e mini riforme, decreti per modificare i curricoli scolastici, i programmi e l’orario delle lezioni; hanno soppresso istituzioni scolastiche e ne hanno creato nuove; ma rispetto a tutto questo trasformismo, hanno anche pensato che per far lezione in modo più adeguato è possibile anche costituire classi-pollaio, che un po’ ovunque superano facilmente le trenta unità. Basta dire questo, per capire la saggezza di chi ci governa.

Far lezioni in classi con trenta o più alunni, è come voler creare i presupposti per realizzare un intrattenimento per cinque o più ore, che nella migliore delle ipotesi, quando la classe è composta da alunni con caratteristiche omogenee (livelli di preparazione, capacità intellettive e volitive,adeguati supporti familiari), si riesce a realizzare solo una sufficiente preparazione culturale. Diversamente, ed è la regola, quando gli alunni delle classi sono eterogenei, molti non riescono a seguire l’unico ritmo di lezioni possibile, perché il docente non ha il tempo adeguato per creare quei momenti opportuni per gli interventi individualizzati, anche per la naturale “vivacità” e confusione che si crea nei rapporti scolastici quando gli alunni in classe sono troppo numerosi.

Soprattutto nelle classi dove si presentano tanti casi con problematiche complesse nell’apprendimento, nel comportamento e nell’assiduità della frequenza, il migliore docente può solo abbozzare, ma difficilmente seguire opportunamente ogni singolo caso; però può sempre contare sui colleghi delle funzioni strumentali, sulla Lim, sulle indicazioni del Pof , sul supporto dei “progetti” e, infine, sul registro elettronico. 

Invece sostengo, insieme a migliaia di docenti d’esperienza e di buon senso, che per far lezione come si deve, occorre formare classi di venti alunni, avere a disposizione i sussidi ben funzionanti e soprattutto un orario scolastico adeguato alle strutture che accolgono i nostri ragazzi e che non superi mai le cinque ore quotidiane di lezioni, ore di sessanta minuti regolari senza tagli e contrazioni, dalle primarie ai licei. Infine, un altro limite delle nostre moderne istituzioni scolastiche, è il protrarsi dell’età pensionabile, che impone a tanti docenti “stanchi” di rimanere in servizio, per giungere ad una pensione, ben al di sotto dei colleghi di qualche anno fa con minor numero di anni di servizio; tutto ciò anche a discapito di tanti precari, più giovani, più energici e motivati che avrebbero il diritto di sostituire tanti sessantenni al limite delle proprie energie, ma soprattutto sulla qualità dell’insegnamento, in quanto il lavoro con i ragazzi non è paragonabile a pratiche d’ufficio, dove puoi rallentare o rinviare contando sulle residue energie personali.

Ma questo i signori Ministri e i loro staff tecnici e politici, proprio non lo vogliono concepire: per loro è sufficiente un nuovo decreto e qualche supporto tecnologico e tutto si risolve.

 

Foto: Funca88/Flickr


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