La sabbia atomica. Ovvero: perché l’Occidente ha paura dell’Iran

par Enrico Emilitri
giovedì 9 febbraio 2012

Da tempo leggo (anche su AgoraVox) delle preoccupazioni occidentali di fronte alla corsa al nucleare della Repubblica Islamica dell'Iran; sempre col placet occidentale lo Stato d'Israele sta da tempo addirittura pensando di ricorrere al bombardamento del territorio iraniano onde smantellarne gli impianti nucleari prima che si arrivi alla costituzione di un arsenale nucleare islamico, cosa che sconvolgerebbe oltre misura gli equilibri regionali e internazionali.

Senza voler parere - se non apertamente partigiani - quantomeno simpatizzanti di Ahmadinejad&C., la verità è che il programma di riconversione nucleare dell'Iran ha lo scopo di ridurre progressivamente la dipendenza dal petrolio della Repubblica Islamica, che potrebbe in tal modo produrre un surplus energetico di cui si avvarrebbero, prima ancora che le forze armate (che, al di fuori dell'impiego bellico operativo, ne utilizzerebbero di fatto solo una minima parte), soprattutto le attività produttive e i servizi:

Vale a dire che grazie all'eccedenza di energia prodotta l'Iran potrebbe iniziare la propria progressiva industrializzazione, producendo in particolare merci e servizi tipici della sua peraltro modesta economia (tessitura, abbigliamento, calzature, accessori, artigianato tipico, ecc.) a prezzi decisamente concorrenziali, cosa che porterebbe nelle perennemente asfittiche casse iraniane un discretamente consistente quantitativo di valuta pregiata (dollari ed euro in primis).

Oltre a ciò rimarrebbe un'eccedenza di petrolio che verrebbe destinato all'esportazione, peraltro a prezzo via via crescente, soprattutto sul mercato occidentale, che si troverebbe in tal modo costretto a produrre beni e servizi al solo scopo di coprire altrettanto crescenti disavanzi, portando così al progressivo tracollo non soltanto economico-finanziario, ma anche politico, segnando così la fine dell'egemonia occidentale sul resto del mondo, per recuperare la quale gli stessi ceti dominanti si troverebbero costretti a rinunciare a diritti e privilegi secolari che ritenevano ormai consolidati.

Dato che di prospettive simili le classi dirigenti occidentali non vogliono sentirne parlare neppure per scherzo, ecco spiegato il patetico e puerile tentativo (sinora abbastanza riuscito anche per la relativa ottusità delle masse che, svanite - almeno in apparenza - le grandi ideologie alternative, si vanno via via rifugiando nella religione o in taluni valori ancestrali ormai chiaramente superati) di demonizzare l'Iran e il mondo musulmano, specie dopo quanto avvenuto l'11 Settembre 2001 e le conseguenti operazioni militari da allora intraprese in primis in Afghanistan e poi in Iraq; senza tener conto che a fronte delle prospettive sopra citate c'è, per l'Iran (ma, più in generale, per l'intero mondo islamico), anche un rovescio della medaglia.

Affinché il Paese degli Ayat-Allah possa procedere alla progressiva conversione in senso industriale, infatti, occorrono consistenti capitali, di cui teoricamente ciascun musulmano dovrebbe disporre autonomamente, anche perché l'alternativa sarebbe quella di farseli anticipare dalle banche o dagli istituti finanziari.

Si tratterebbe, cioè, di chiedere prestiti più o meno consistenti che dovrebbero essere restituiti nel corso del tempo assieme al relativo interesse, ma dato che il Corano e, più in generale, la dottrina islamica considerano il prestito a interesse analogo al prestio a usura, dato che l'interesse altro non è se non una somma aggiuntiva versata a parziale copertura di eventuali mancati pagamenti delle rate tramite cui il prestito stesso viene via via restituito, poiché inoltre tale somma verrebbe a depauperare le già relativamente scarse risorse di cui una famiglia media dovrebbe disporre per la propria sopravvivenza, ecco spiegato come mai tale principio viene sistematicamente rifiutato nella quasi totalità (o, comunque, in una buona maggioranza) dei Paesi Islamici.

Sicché ad un certo momento essi si troveranno obbligati a dover scegliere, per risolvere i propri endemici probelmi interni e internazionali e dovendo presto o tardi evolversi in pressoché tutti i sensi, tra il mantenersi fedeli alla fede islamica o non, piuttosto, chiudere il Corano in fondo al cassetto e portarsi al livello delle potenze emergenti (Inda e Cina in testa), visto e considerato che gl stessi Paesi occidentali hanno iniziata la loro conversione secondo il metro annuale il giorno in cui hanno, per l'appunto, riposte le Scritture sostituendole coi manuali di scienza politica ed economia.

A fronte di quanto detto sarebbe, dunque, più sensato smettere di preoccuparsi per minacce che, in fondo, non arriveranno mai ai livelli da noi temuti anche nell'eventualità in cui, con la già citata eventuale conversione, l'Iran divenisse effettivamente la principale potenza economico-commerciale (e, di conseguenza, politico-militare) regionale, anche perché prima che esso arrivi al nostro stesso attuale livello noi stessi saremo, forse, ben più in là (non è dato di sapere se più avanti o più indietro) di quanto non siamo ora.


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