La riforma Gelmini dei licei

par Bernardo Aiello
lunedì 29 giugno 2009

Della riforma Gelmini dei licei non si ha il testo integrale, ma solamente il comunicato descrittivo emesso dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca sul sito Internet del Governo.

Appare subito evidente la ricerca di concretezza nelle decisioni del Ministro, che hanno portato ad una notevole semplificazione dell’offerta formativa. Prima di tutto l’eliminazione degli infiniti corsi sperimentali e la fine della connessa diffusa percezione che un corso di studi così definito fosse a priori di una categoria superiore rispetto agli altri (il che è indimostrato).

Poi più materie con contenuti scientifici, più lingue straniere, new entry le discipline giuridiche ed economiche e, dulcis in fundo, il liceo musicale.
 
Il provvedimento è stato definito “riforma”, in opposizione alla “riforma Gentile” del 1923. In effetti tale non appare perché non rappresenta una cesura rispetto ai precedenti provvedimenti e non ha compiutezza in se. Essa, in effetti, appare un passo importante certamente, ma sempre all’interno di un percorso iniziato da anni ed ancora in itinere (e poi è indimostrato che una riforma sia a priori più importante di un provvedimento che si inserisca con continuità in un percorso riformativo).
 
A riprova, dal testo del comunicato appare che si siano voluti integrare nei corsi ordinari i risultati ottenuti dalla lunga stagione della sperimentazione; e lo stesso Ministro, parlando degli esami di Stato attualmente in corso, ha preannunziato variazioni e modifiche già per l’anno a venire.
 
Su quest’ultimo punto occorre rimarcare che il sistema previsto da Giovanni Gentile suddivideva il cursus studiorum in una serie di “cicli”, culminanti ciascuno in un esame finale riepilogativo. Il primo era quello della scuola elementare al suo quinto anno; poi vi era quello della scuola media al terzo anno; poi vi era quello del ginnasio, alla fine dei suoi due anni; infine quello di maturità.
 
Anche all’Università si poteva trovare qualcosa di simile. Ad esempio chi sceglieva ingegneria aveva dinanzi a sé un biennio propedeutico con tanto di esame finale ed un triennio applicativo con il rituale esame di laurea.
 
Nel tempo questo sistema si è sfilacciato sempre di più, mostrando oggettivi limiti di tenuta nella pretesa di un esame formale riepilogativo per ciascuno dei cicli formativi. Ad uno ad uno sono spariti gli esami intermedi e sono rimasti quelli finali, di maturità e di laurea, ormai irrelati all’attività dei precedenti anni; e continuano a funzionare in maniera abbastanza incerta.
 
Quello di laurea “tiene” ancora grazie alla tesi di laurea, che continua a rappresentare un momento di sintesi e di compimento dell’intero corso di studi, solitamente molto amato sia dagli studenti sia dai docenti; quello di maturità, invece, fa acqua da tutte le parti (al punto che il Ministro si appresta ad intervenire).
Orbene, sull’argomento è utile richiamare il sistema anglosassone, quanto meno per la sua persistenza invariato nel tempo senza alcun accenno di insofferenza da parte dei suoi attori, studenti e docenti.

 
I titoli di studio, in questo caso, non hanno alcun valore legale, ma un concreto valore economico: per ognuno di essi gli esperti del settore valutano quanto il suo possessore guadagnerà in più durante la sua vita professionale.
 
Gli esami, invece, sono annuali: gli studenti si abituano così a rendere conto dell’impegno profuso negli studi anno per anno. Ovviamente nessuno di questi esami annuali ha le esasperazioni insite negli esami, diciamo così, “di ciclo” della riforma Gentile: la notte prima degli esami non avrebbe potuto essere oggetto di un film in un Paese anglosassone.
 
* * *
Altri due punti del sistema scolastico disegnato dal Ministro Germini appaiono ancora necessitare di ulteriori sistemazioni, e precisamente:
1. L’informatizzazione dell’apprendimento;
2. La formazione civica degli studenti.
 
Sul primo punto, dopo tanti anni di applicazione informatiche, credo che ormai sia giunto il momento di realizzare che l’informatica è assimilabile alla logica, nel senso che anche essa non è un sapere. Come la logica costituisce la forma che ogni sapere deve assumere per potere rivestire significato e valore, in una parola per assurgere a dignità scientifica (vedi Logica e filosofia della natura nel Medioevo di Franco Alessio), così l’informatica è un nuovo modo di organizzare e di comunicare il sapere.
 
Insomma, si può studiare non utilizzando l’informatica, come hanno fatto le passate generazioni, oppure si può studiare utilizzando l’informatica; e lo stesso vale per l’attività bancaria, per l’attività commerciale, per fare giornalismo, etc.; in ogni caso lo si farà in modo diverso.
 
Da questo punto di vista la rivoluzione informatica sarà completata nelle scuole quando saranno chiusi tutti i laboratori informatici; nel senso che ogni studente assisterà alle lezioni con il suo computer aperto sul banco.
 
Sul secondo punto è di solare evidenza la difficoltà con cui il cittadino del nostro Paese riesce a partecipare a quella vita collettiva fatta di diritti e di doveri, nata dall’Illuminismo e dalla Rivoluzione Francese.
 
Qualcuno disse che, dopo aver fatto l’Italia, occorreva “fare gli italiani”, con ciò dando per scontato che ancora non esistevano; qualche altro disse che non era facile o difficile governare gli italiani, era inutile, con ciò cancellandoli dall’elenco dei popoli illuminati; tutte asserzioni con un fondo di verità, che portano ad un’unica esigenza, quella di formare nella scuola i cittadini di domani. Tutti i cittadini, anche quelli che non hanno frequentato il liceo. Su questo punto i provvedimenti del Governo, sia quello per l’istruzione tecnica sia quello per i licei, appaio del tutto incompleti. E questo non è un aspetto secondario.
 
Dunque oggi registriamo un grosso passo avanti nel mondo dell’istruzione, ma resta ancora tanto da fare.

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