La questione degli F-35 nella giusta prospettiva

par Mazzetta
mercoledì 4 gennaio 2012


Si discute molto sull’acquisto degli F-35, ma volano dati poco verificati e come spesso accade la discussione si frammenta e si perde in mille rivoli senza cogliere la questione nel suo quadro d’insieme.

LEGGI ANCHE: Dossier F-35. Tutto quello che c'è da sapere

 

Bisogna prima di tutto partire dalla considerazione per la quale attualmente l’aviazione italiana dispone di un numero di aerei che la pone tranquillamente tra le prime dieci al mondo, pur con tutte le difficoltà nello stilare classifiche del genere.

Poi bisogna considerare che il nostro paese, oltre ai 131 F-35, ha già ordinato 96 Eurofighter (nella foto) e che i due ordini insieme porterebbero a oltre 200 il numero di aerei di ultima o penultima generazione in carico ad aeronautica e marina.

 

Una dotazione di aerei da combattimento a livello di quella attuale di Israele (con velivoli di generazioni precedenti) e doppia di quella britannica. Anche la Gran Bretagna ha un programma di riarmo aereo simile al nostro, che la porterà a raddoppiare le macchine di questo tipo a sua disposizione. Ma il suo livello d’impegno bellico è storicamente molto più elevato di quello dell’Italia, che non ha territori oltremare o Falkland da difendere e non partecipa a tutte le avventure belliche americane.

A cosa ci servono più di 200 velivoli del genere? A niente, a meno d’ipotizzare una guerra totale con un nemico che non esiste.

Oggi come oggi non esiste un solo paese non-alleato ad esclusione della Russia che possa minacciare il nostro paese. Non solo, non esiste un solo paese non-alleato che non possa essere colpito dai nostri aerei nella totale impunità e sicurezza, come ha dimostrato anche la recente guerra in Libia, paese in teoria armatissimo e dotato anche di antiaerea relativamente moderna, che però non è stato in grado di abbattere neppure un aereo degli alleati. E la Libia l’abbiamo bombardata con i vecchi Tornado e gli AMX, non esattamente il meglio a nostra disposizione.

Senza considerare che un’eventuale guerra totale contro un nemico che ancora non esiste ci vedrebbe schierati accanto alle altre aviazioni europee e non potrebbe scoppiare prima di un massiccio piano di riarmo da parte di questo ipotetico nemico, che prima dovrebbe sviluppare un’industria aeronautica degna di questo nome e produrre centinaia, se non migliaia di velivoli. Impresa per la quale occorrono comunque parecchi anni e capitali enormi e che non può comunque essere portata a termine inosservata.

Ci sono poi da escludere dal novero di questi ipotetici nemici paesi come Russia e Cina, dai quali ci separa una distanza tale da escludere incontri delle rispettive aviazioni da caccia, che non hanno autonomia sufficiente per accompagnare eventuali squadre di bombardieri a lunga autonomia, che comunque non abbiamo, così come non abbiamo aerei-cisterna in grado di rifornire in volo un numero così alto di velivoli.

Paesi comunque dotati di un deterrente nucleare tale da escludere lo scoppio di confronti convenzionali, che se mai si dovessero verificare non vedrebbero certo questo tipo di aerei tra i protagonisti capaci di fare la differenza, non almeno per quelli che fanno base nel nostro paese.

E si tratta comunque di un esercizio di scuola, perché è chiaro che un conflitto del genere vedrebbe la partecipazione degli Stati Uniti, che hanno il totale dominio e controllo dei cieli e l’assoluta superiorità aerea e probabilmente si risolverebbe in uno scambio di missili intercontinentali, per fermare i quali gli aerei non servono, altrimenti gli Stati Uniti non starebbero pensando da anni alla costruzione di uno scudo antimissili.

A cosa serva quindi portare la nostra forza aerea da meno di 100 vecchi velivoli a oltre 200 velivoli del genere, non è per niente chiaro e nessuno lo spiega, perché nessuno è in grado di motivarlo in maniera convincente.

A questo bisogna aggiungere che la scelta degli F-35 (foto sotto), in luogo di altri Eurofighter, porterebbe al raddoppio dei programmi d’addestramento e manutenzione, oltre alle considerazioni che ho elencato pochi giorni fa e che proiettano molti dubbi sulle qualità, i costi e la realizzazione del programma F-35, che lo vedono in discussione anche negli stessi Stati Uniti.

 

Sinteticamente: il costo di ogni singolo velivolo a oggi lievitato da 83 a 150 milioni di euro e previsto alla fine tra i 200 e i 300 milioni, un modernissimo sistema di gestione elettronica integrata che non vedrà la luce prima del 2016 e probabilmente dopo, un ritardo mostruoso sul progetto e la non corrispondenza delle prestazioni dei prototipi alle specifiche. 

Il concorrente europeo invece ha un costo certo di 63 milioni di euro a esemplare, quindi 82 milioni di dollari al cambio attuale. L’autonomia degli Eurofighter è di quasi 3800 chilometri per un raggio d’azione di circa 1400, contro gli appena 2200 di un F-35 per un raggio d’azione conseguentemente minore nonostante la sua velocità massima sia di mach 1.7 contro i 2.0 dell’Eurofighter. Tanto da rendere la versione per la marina inutilizzabile per la scarsa autonomia, che costringerebbe le portaerei ad avvicinarsi tanto da finire sotto il tiro dei missili e degli aerei avversari.

Inoltre l’europeo ha una tangenza (altitudine massima alla quale può volare in volo orizzontale e rettilineo) di quasi 20.000 metri contro i 15.000 del F-35 . Prestazioni peggiori e costi maggiori per l’americano, il tutto per ottenere quella invisibilità ai radar che è già in discussione, visto che ormai esistono radar ai quali non sono del tutto invisibili e visto che la schiacciante superiorità aerea del blocco occidentale rende l’invisibilità, vera o presunta, meno rilevante di quanto non fosse quando c’era da ipotizzare missioni in grado di penetrare in profondità lo spazio aereo sovietico.

Ancora meno comprensibile è la decisione di aver ridotto l’ordine di Eurofighter già previsto di 25 unità al momento di approvare quello dei 131 F-35 invece di limitarsi semplicemente a un ordine più modesto degli aerei americani o, alla luce degli ultimi sviluppi della tecnica e della strategia, a rivolgere attenzione e investimenti ai droni, infinitamente meno costosi e molto più versatili ed economici di aerei come gli F-35 e gli stessi Eurofighter. Soprattutto nell’ottica di possibili non-guerre come le recenti che hanno visto impegnato il nostro paese e pensando ai caveat che fino alla guerra in Libia hanno quasi sempre impedito alla nostra aviazione di partecipare ai bombardamenti.

Alla luce di queste considerazioni è abbastanza evidente che il governo dell’epoca ha concluso l’accordo con gli Stati Uniti per motivi più attinenti alla politica che alle reali esigenze strategiche ed economiche del paese, comprando insieme agli aerei la benevolenza di una cancelleria importante in un momento nel quale il governo Berlusconi era già in una clamorosa crisi di credibilità internazionale.

La questione quindi non si riduce a discutere il motivo della spesa negli F-35, ma si deve estendere alla spiegazione e giustificazione di un programma d’acquisti che porterà la nostra forza aerea a più che raddoppiare la sua potenza e a portare i suoi costi di gestione a cifre ben più che doppie delle attuali. Una spiegazione che l’ammiraglio Di Paola, nuovo Ministro della Difesa, forse non azzarda per non compromettere l’ordine di F-35 a decollo verticale previsti per la marina, anche se proprio questa versione sembra destinata a saltare per volere americano, nell’ottica di una riduzione degli imponenti costi del programma.

Tanto più che la marina è già stata protagonista di spese difficilmente giustificabili, come quelle per una mezza portaerei che non ci serve a niente e di una nuova classe di fregate, anch’essa priva di avversari plausibili, visto che la supremazia marittima occidentale ricalca quella aerea.

È questa la questione da porre e dibattere pubblicamente, una questione che eccede l’ordine abbastanza avventato degli F-35 e dovrebbe centrare la discussione pubblica sui motivi che spingono il nostro paese a dotarsi di una tale forza aerea, perché spiegazioni logiche non ce ne sono e allora è facile che a molti vengano in mente tangenti o altre utilità a favore di un numero ristretto di persone, disposte a far pagare alla collettività qualsiasi prezzo per il loro tornaconto.

Una seria discussione pubblica sul nostro modello di difesa e sulla nostra flotta aerea del futuro è l’unico modo serio di affrontare e risolvere il nodo degli F-35, al di là di simpatie di parte o di corpo e al di là di facili banalizzazioni, perché non basta dire che “abbiamo bisogno” di quegli aerei, ma bisogna farlo affrontando il discorso della nostra futura forza aerea organicamente e complessivamente.

Non solo per garantire che le enormi cifre in ballo siano spese con raziocinio, ma anche e soprattutto per evitare d’indebitarci inutilmente. Che è sempre un male, ma che in momenti di crisi rappresenta uno schiaffo a tutti i cittadini, ancora di più se poi alla fine saremo costretti pagare aerei che non serviranno davvero a niente.


Leggi l'articolo completo e i commenti