La partecipazione politica femminile

par iulbrinner
martedì 28 giugno 2011

Sono ormai diversi anni che sentiamo ripetere, in modo talmente insistito da risultare quasi ossessivo, che nel nostro Parlamento e nelle istituzioni ci sono poche donne.

Normalmente, quando ci si trova di fronte ad un fenomeno documentato da un semplice conteggio numerico, oltre a prenderne atto ci si dovrebbe interrogare sulle cause del fenomeno stesso.

 

Dentro al fiume della politica, invece, non si guarda tanto per il sottile e non si ritiene utile arrivare ad una migliore comprensione del fenomeno; si ritiene, al contrario, doveroso provvedere al “ripascimento” femminile dell’ambiente a viva forza, ignorando deliberatamente le possibili cause come se esse non contassero affatto.Se, ad esempio, in un grande fiume si riscontra una scarsa presenza di pesci, normalmente non ci si limita a denunciarne l’assenza cercando di ripopolarlo a tutti i costi, ma si mettono in opera le possibili indagini scientifiche per trovare delle spiegazioni fondate ed, eventualmente, dei rimedi ragionevoli.

 

Il primo e fondamentale interrogativo che ci si dovrebbe porre è, infatti, se la scarsa presenza femminile in Parlamento corrisponda ad una minor partecipazione generale delle donne alle vicende pubbliche e, quindi, ad un disinteresse “ordinario” della donna media per questo genere di affari.

Nessuno si chiede come mai tra piloti, meccanici ed ingegneri della formula uno non si trovi una donna che sia una; si dà per scontato che si tratti di un prevalente interesse maschile e che, quindi, la donna media se ne disinteressi in quanto attività che non corrispondono alle proprie inclinazioni naturali.

Nel caso della partecipazione politica, invece, questi elementari principi di buon senso perdono di valore e tutto ciò che ad alcuni/e basta sapere è che il dato numerico non corrisponde all’obiettivo prefissato della parità statistica, senza starsi a dare troppe ed ulteriori spiegazioni.

 

Ulteriore problema è che, anche quando c’è chi si pone un certo tipo di domande, se le risposte ottenute non risulteranno in linea con la tesi preconcetta della “discriminazione femminile”, tanto le domande quanto le risposte trovate saranno occultate dietro ad una cortina di omertoso, imbarazzato silenzio.

 

Quanti sono al corrente, infatti, che l’ISTAT ha condotto una specifica ricerca sulla partecipazione politica e quanti hanno saputo, per via mediatica o in qualunque altro modo, dei risultati così ottenuti?

 

Stefania Prestigiacomo

Anche questa ricerca – come quelle sulla violenza e le molestie sessuali – è stata commissionata a suo tempo dall’allora Ministero per le Pari Opportunità (oggi Dipartimento) allo scopo di avvalorare la tesi della discriminazione femminile.

Contrariamente a quelle ricerche, manipolate metodologicamente per ottenere i risultati voluti, questa però non si è prestata ad alcun tipo di manipolazione essendo strutturata su un questionario rigido ed oggettivo; contrariamente a quelle ricerche che vennero sparate sulle prime pagine di tutti i giornali e da tutti i media come una notizia destinata a produrre uno shock sociale, di questa non si ebbe alcuna risonanza giornalistica.

 

Il perché è presto detto: quella rilevazione, che fotografava l’Italia del 2005 (quindi, non molto diversa dall’attuale), metteva in chiara e lampante evidenza un disinteresse diffuso del mondo femminile nei confronti della politica.

O, per dirla più direttamente, la sostanziale e prevedibile consequenzialità logica tra bassa partecipazione femminile media alle cose della politica e scarsa presenza femminile tra i banchi del Parlamento.

 

Questa fatto è tanto vero che la stessa Linda Laura Sabbadini – direttore pro tempore dell’ISTAT nel ramo di ricerca – fu costretta a parlare, forse obtorto collo, di «differenze marcate» nel rapporto che uomini e donne hanno, appunto, con la vita politica, esprimendosi ancora più esplicitamente con questi termini: «Nonostante le donne di oggi studino e lavorino molto più che in passato, i dati suggeriscono chiaramente come la politica venga percepita da molte donne come una dimensione lontana dai propri interessi.»

Ecco qualche dato a conforto, estratto dalle tavole dei dati che compendiano i risultati, liberamente consultabili ai rispettivi link:

se la percentuale degli uomini che non si informano mai di politica è pari al 16,9% della popolazione, quella femminile è pari al 32,1%

se la percentuale degli uomini che si informano tutti i giorni di politica è pari al 39,4% della popolazione, quella femminile scende al 26,3%

se la percentuale degli uomini che non parla mai di politica è pari al 24,1% della popolazione, quella femminile è pari al 43,6%

se la percentuale degli uomini che aveva partecipato ad un comizio negli ultimi 12 mesi dalla rilevazione era pari al 9,3% della popolazione, quella femminile scendeva al 4,6%

se la percentuale degli uomini che svolge attività gratuita per un partito è pari al 2,6% della popolazione, quella femminile scende allo 0,8%

 

La mole di dati, disaggregati per età, occupazione, posizione sociale e residenza geografica fornisce ulteriori e più accurati elementi di analisi; tuttavia, già queste risultanze fotografano, con percentuali doppie o più che doppie, ciò che tutti già sapevamo per intuitiva esperienza comune.

 

Particolarmente indicativo, però, dello spirito con il quale è stata condotta questa ricerca – fallimentare, del resto, per gli scopi implicitamente perseguiti - è il primo item con il quale il questionario è stato proposto.

 

Prima ancora di capire cosa tenesse le donne lontane dalla politica – ossia la loro stessa indole – si chiedeva l’opinione su come dovrebbe essere la percentuale di donne nel Parlamento e motivo per cui la percentuale dovrebbe essere più alta; a tale scopo sono state indicate alcune risposte precostituite tra cui:

- le donne devono essere maggiormente rappresentate

le donne hanno delle qualità che le rendono più capaci degli uomini

- le donne portano più idee nuove, punti di vista diversi

- le donne conoscono meglio alcuni problemi

 

Ovviamente, l’eco di queste "opinioni soggettive" ha avuto il sopravvento sull’oggettività del resto della ricerca, tanto che continuiamo a sentirlo – con tutto il suo carico di vittimismo femminile inalterato – ancora oggi.


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