La nuova legge migratoria cubana

par Gordiano Lupi
lunedì 22 ottobre 2012

 

Il 17 ottobre 2012, alle 6 e 43 del mattino (12 e 43 ora italiana), Yoani mi scrive un SMS entuasiasta: “Il governo cubano annuncia la fine del cosiddetto permesso di uscita a partire del 13 gennaio 2013. Ho già pronta la valigia per fare quel viaggio che mi è stato negato tante volte!!!”. Il Granma ricorda nell’edizione del mattino che è uscita sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica di Cuba la nuova legge migratoria, a prima vista molto più libera. Non servirà più la tarjeta blanca (autorizzazione governativa discrezionale) per viaggiare all’estero, basterà possedere il passaporto e il visto del paese di ingresso.
 
Non servirà neppure la carta d’invito e verrà eliminato il limite degli 11 mesi di permanenza nel paese straniero. Sembra una grande novità, un passo avanti verso la libertà di spostamento, ma non è tutto oro quello che luccica. L’effetto mediatico è notevole, il mondo parla della riforma di Raúl in senso liberale, ma a molti è sfuggito un passo importante della riforma: “L’attuazione delle nuove regole migratorie dovrà tenere conto del diritto dello Stato rivoluzionario di difendersi dai piani sovversivi del governo nordamericano e di limitare le ingerenze degli Stati Uniti e dei suoi alleati. Per tale motivo saranno mantenute misure volte a preservare il capitale umano creato dalla Rivoluzione, per scongiurare il furto di talenti messo in atto dalle potenti nazioni capitaliste”.
 
Come dire che la libertà di uscire da Cuba sarà sempre condizionata a un permesso discrezionale. Per i dissidenti e per molti liberi pensatori sarà molto difficile che le cose cambino. Yoani Sánchez ci riflette sopra e scrive subito un articolo per La Stampa intitolato “Papà Stato ci lascia liberi di uscire”.
 
Le barriere insulari cominciano a cadere. A partire dal 13 gennaio 2013, il governo cubano ha annunciato la fine del cosiddetto permesso di uscita. Ho già preparato la valigia per fare quel viaggio che mi è stato negato tante volte! Quando entrerà in vigore la riforma migratoria, cercherò di approfittarne ma non per fuggire, uscirò dal mio paese soltanto per tornare. Non si libereranno delle mie domande, dei miei tweets, delle mie opinioni. Non si libereranno facilmente di me. Mi è stato negato il permesso di viaggio in venti occasioni nel corso di cinque anni. A partire da gennaio, sarò libera di uscire dai confini nazionali, anche se i miei amici mi dicono di non farmi illusioni, perché sono stata inserita nella lista nera. In ogni caso tenterò, perché questa nuova legge migratoria significa che il fidelismo sta cadendo a pezzi. Per strada tutti parlano della riforma, attendono che divenga legge e preparano le valige.
 
Certo, restano le trappole del regime, perché non serviranno tarjeta blanca e carta d’invito, ma il passaporto costerà il doppio (100 pesos convertibili invece di 50). La legge prevede diverse restrizioni, persone che per motivi di interesse pubblico non potranno lasciare il paese, cittadini che per la sicurezza nazionale verranno confinati nelle loro abitazioni. Continueranno i limiti alla libertà di movimento per medici, sportivi professionisti, insegnanti, professori universitari, ma anche per intellettuali non conformi e persone non in sintonia con le idee socialiste. Ma io non mi arrendo. Ho il passaporto pieno di visti. Voglio proprio vedere che cosa accadrà dopo il 14 gennaio.
 
Il post che esce il giorno dopo (17 ottobre) su Generación Y è più meditato e letterario, soprattutto meno entuasiasta. Il titolo è “Riforma migratoria: rallegrarsi o adattarsi”.
 
“La mia valigia ha le rotelle consumate perché da cinque anni la sposto da un angolo all'altro della casa. La biancheria intima riposta nel piccolo beauty-case si è stinta e ha gli elastici allentati. I biglietti aerei inutilizzati sono scaduti e, dopo aver cambiato data diverse volte, sono finiti nella spazzatura. Gli amici si sono congedati da me in molte occasioni ma non me ne sono mai andata; alla fine i nostri addii sono diventati routine. Il gatto si è impossessato di quel bagaglio a mano che non è mai riuscito a entrare in un aereo e la cagnolina ha mordicchiato le scarpe destinate a un viaggio che non ha potuto fare. L'immagine di una Vergine del buon viaggio, regalata da un amico, non ha resistito al passare del tempo e ha perduto persino lo splendore degli occhi.
Dopo cinque anni che esigo di poter esercitare il mio diritto a viaggiare fuori dal paese, oggi mi sono svegliata apprendendo la notizia di una riforma migratoria. La prima impressione è stata quella di gridare un hurrà! di buon mattino, ma mentre il giorno avanzava mi sono resa conto di tutte le mancanze della nuova legge. Finalmente sono stati eliminati il vergognoso Permesso di Uscita e l'altrettanto offensiva carta d'invito, necessari per uscire dal nostro stesso paese.
Malgrado ciò, adesso in sede di rilascio e di convalida del passaporto si deciderà chi potrà oltrepassare le frontiere nazionali e chi no. I costi delle pratiche saranno più contenuti, credo che pure i tempi per esperirle diventeranno più rapidi, ma in ogni caso questa non è la nuova legge migratoria che stavamo aspettando. Troppo limitata, troppo rigida. Resta il fatto positivo di aver messo per scritto una legalità, a partire dalla quale cominceremo a esigere, protestare, denunciare. Nel mio caso, voglio credere - fino al 14 gennaio del 2013 - di non essere compresa in alcuna lista nera e che i filtri ideologici per uscire abbiano fatto il loro tempo. Presenterò domanda per ottenere un nuovo passaporto e attenderò con quella dose di ingenuità che serve per sopravvivere, per non diventare apatica. Mi presenterò non appena apriranno gli uffici per decidere quali cubani potranno prendere un volo e quali continueranno a restare reclusi nell’isola. Avrò con me la valigia, con la biancheria intima sbiadita, le scarpe che non ho mai rinnovato, e una pallida immagine di Maria, che ormai non sa più se si parta o si ritorni, se ci siano motivi per rallegrarsi o per adattarsi.
 
La vignetta di Garrincha stigmatizza i limiti della nuova legge migratoria.
 
Raul: - Bene, te ne puoi andare, non sei medico. Cubano: - Anche tu...

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