La morte di Cossiga
par Gianfranco La Grassa
mercoledì 18 agosto 2010
Non mi metterò a fare piagnistei né a tentare di commuovere chicchessia con prosa ipocrita che, dietro la bella forma, nasconde il vuoto dâanima degli scribacchini ufficiali. Appartengo al novero di coloro che vissero la stagione di Cossiga con la K. Dissi, come tanti altri, cretinate; ma anche espressi opinioni giuste (o che comunque continuo a ritenere tali). Sono in genere abituato a usare toni accesi verso chi considero un nemico; anche se sono violento e sprezzante nelle espressioni verbali più che nei reali pensieri.
Tuttavia, non ho mai mancato di provare pena e solidarietà per chi è colpito da malattia e morte. Nutrivo profonda avversione nei confronti di Berlinguer, ma quando fu colto da un ictus mi dispiacque e gli augurai di superare la prova o almeno, se non ce lâavesse fatta, di non soffrire troppo.
Non ho alcun motivo di dire che ero d’accordo con quel che generalmente pensava e faceva Cossiga. La sua peggiore mossa resta comunque quella di aver favorito l’ascesa al governo di D’Alema nel 1998, mostrando così di essere al fianco degli americani aggressori della Jugoslavia; quel D’Alema verso cui provo il più alto ribrezzo, ma a cui mai augurerei malattia e morte. In ogni caso, in moltissime occasioni Cossiga ha dimostrato una più che notevole intelligenza, unita a quel cinismo di massimo pregio, che non si accompagna per nulla ad un vuoto di sentimento, ma solo all’acuta comprensione della realtà in cui siamo immersi come esseri pensanti e attivi.
Per questi motivi, secondo il mio punto di vista è morto veramente un uomo, non una marionetta o, peggio, uno scarafaggio. E questo certo mi dispiace, in senso reale e sincero. Era meglio che ci fosse, e continuasse nelle sue puntute uscite (e rivelazioni), nei mesi che verranno. Peccato, un personaggio singolare è venuto a mancare.