La madre di tutte le tariffe: quella sui mercantili cinesi

par Phastidio
mercoledì 7 maggio 2025

La Cina domina la cantieristica globale, producendo oltre la metà dei mercantili; gli Stati Uniti puntano a contrastare questa leadership con dazi specifici, con potenziali implicazioni fortemente negative per la loro economia.

Tra i settori produttivi dove la Cina ha raggiunto la dominanza globale, spicca quello della cantieristica civile: la potenza asiatica oggi rappresenta oltre metà della produzione mondiale di mercantili, per tonnellaggio. Nel 1999 la sua quota era solo il 5 per cento. Per contro, lo scorso anno la cantieristica statunitense ha prodotto lo 0,01 per cento dei mercantili. Detto in altri termini, gli Stati Uniti producono solo 10 mercantili oceanici l’anno contro i mille prodotti dalla Cina. La leadership appartiene alla società statale cinese China State Shipbuilding Corp. che ha il maggiore portafoglio ordini al mondo. Gli Stati Uniti sono oggi al diciannovesimo posto nella classifica mondiale di produzione cantieristica.

Le proposte anti-Cina dello USTR

Qui entra in scena lo US Trade Representative (USTR), l’agenzia del governo federale responsabile per la promozione e sviluppo delle politiche commerciali statunitensi. E lo fa mettendo in pubblica consultazione di due giorni, il 24 e 26 marzo, la proposta di applicare una tariffa di attracco ai porti statunitensi per mercantili cinesi. L’intera catena di approvvigionamento sarà rappresentata nella consultazione, dai coltivatori di soia agli spedizionieri fino ai costruttori navali cinesi.

In dettaglio, la tariffa verrebbe quantificata utilizzando una formula basata sulla quota di navi costruite in Cina presenti nella flotta del vettore, incluse quelle in corso d’ordine. Alcuni vettori potrebbero subire tariffe fino a 3,5 milioni di dollari per ciascun attracco in caso di mercantili costruiti in Cina con un operatore cinese che ha anche un commessa in corso da un produttore cinese. Secondo stime del settore, le tariffe potrebbero teoricamente generare tra 40 e 52 miliardi di dollari per le casse statunitensi.

Circa l’83 per cento degli attracchi di navi portacontainer negli Stati Uniti lo scorso anno sarebbero state sanzionate secondo le norme proposte, così come due terzi degli attracchi delle navi portarinfuse e quasi un terzo delle petroliere.

L’indagine dell’USTR è iniziata lo scorso anno sotto l’amministrazione Biden a seguito di una richiesta di cinque importanti sindacati. Il rapporto conseguente, consegnato pochi giorni prima dell’insediamento di Trump a gennaio, ha stabilito che la Cina ha preso di mira il settore marittimo globale per dominarlo, lasciando alla nuova amministrazione il compito di trovare modi per affrontare la posizione dominante di Pechino.

L’iniziativa dell’USTR richiama inoltre elementi di un disegno di legge bipartisan presentato a dicembre per affrontare la carenza di marittimi mercantili utilizzando programmi di formazione ampliati e incentivi fiscali per le aziende che desiderano investire nella costruzione navale negli Stati Uniti. La proposta dell’USTR condivide anche alcune affinità con un progetto di ordine esecutivo che dirotterebbe le entrate da tariffe o tasse a un fondo per sostenere l’industria della cantieristica domestica.

Panico tra importatori ed esportatori statunitensi

La proposta ha suscitato il panico tra i soggetti coinvolti e ben si comprende il motivo, viste le ramificazioni di una tariffa sul traffico di mercantili. Se l’obiettivo è quello di rivitalizzare la cantieristica statunitense, le misure proposte sono inutili ma le conseguenze negative potrebbero devastare l’economia degli USA. I vettori hanno già dichiarato che non solo trasleranno i costi sui committenti ma che si ritireranno da alcune rotte, colpendo i porti “minori” degli Stati Uniti. I beni statunitensi diverrebbero molto, troppo costosi a livello internazionale e i flussi commerciali verrebbero deviati verso Canada e Messico. I maggiori costi di spedizione farebbero gonfiare l’inflazione domestica.

Tra i soggetti più colpiti ci sarebbero agricoltori e allevatori statunitensi, quelli a cui Trump ha già augurato di “divertirsi” con le tariffe in arrivo e prepararsi a dirottare la produzione sul mercato domestico. Cosa che comunque devasterebbe la redditività del settore, con crollo dei prezzi pressoché certo. Gli esportatori di prodotti agricoli e materie prime a basso margine sarebbero infatti le vittime predestinate dell’iniziativa, soprattutto quelli di minori dimensioni e che operano da porti secondari.

Per i farmer americani, una tenaglia: gli esportatori sarebbero costretti a ridurre i prezzi per restare competitivi sui mercati globali, subendo al contempo i maggiori costi di forniture importate quali i fertilizzanti. Il 46 per cento delle quali, pari a 6,7 milioni di tonnellate, nel 2024 è stato effettuato da mercantili costruiti in Cina, secondo dati di una società di consulenza sulle materie prime citati dal Financial Times. Una tariffa di 1,5 milioni di dollari potrebbe aumentare i costi di trasporto di 62,5 dollari per tonnellata, onere che probabilmente verrebbe traslato sugli agricoltori e colpendo soprattutto i fertilizzanti fosfatici e azotati, essenziali per la produzione agricola degli Stati Uniti.

La proposta dello USTR richiede inoltre che una quota di prodotti statunitensi — inclusi beni agricoli, chimici, energetici e di consumo — venga trasportata su navi battenti bandiera statunitense, con equipaggio e costruite negli Stati Uniti, nei prossimi anni. Il documento preliminare — “Make Shipbuilding Great Again” — suggerisce agli Stati Uniti di esercitare pressione su altri paesi affinché si allineino contro il dominio marittimo della Cina, o subiranno ritorsioni.

E qui sorge il solito problema delle transizioni: tempi e costi. Molti vettori e operatori dicono che sarebbero lieti di acquistare o noleggiare navi mercantili costruite negli Stati Uniti, ma ci vorrebbero decenni affinché i cantieri navali americani soddisfino la domanda di capacità e c’è già una carenza di marittimi americani. Al contempo, le tariffe portuali penalizzerebbero i vettori domestici per gli investimenti già effettuati in navi costruite in Cina.

Ma l’idea di ricostituire un’industria di costruzione navale negli Stati Uniti per rafforzare l’influenza americana in mare ha catturato l’attenzione di Trump e si inserisce nella sua più ampia spinta per un ritorno all’età dell’oro della manifattura statunitense. Il presidente ha già costituito un nuovo ufficio della direzione marittima all’interno del Consiglio di Sicurezza Nazionale. Il settore marittimo è oggi considerato pilastro fondamentale della sicurezza nazionale.

Mercato frantumato

Se l’USTR attuerà la sua proposta così come è scritta, i broker navali ritengono probabile una graduale divisione del mercato, con le navi costruite in Cina trattate diversamente da quelle costruite altrove. Nel mercato delle petroliere, dove le navi costruite in Cina rappresentano un terzo del totale, pare stia già accadendo. Secondo i broker navali, i locatori starebbero iniziando a evitare di noleggiare a lungo termine petroliere collegate alla Cina per contratti a lungo termine, per evitare dazi in caso di attracco a porti statunitensi.

Anche gli armatori desiderosi di espandere la loro flotta pur evitando sanzioni si troverebbero in difficoltà. I cantieri sono quasi al massimo della capacità in Corea del Sud e Giappone, con il prossimo slot per nuovi ordini di navi disponibile solo intorno al 2028, secondo i broker navali. Tuttavia, evitare di acquisire nuove navi in un periodo in cui l’età della flotta globale è in aumento significa ritrovarsi con navi in deterioramento, col relativo impatto sulla sicurezza e sui costi assicurativi. Ma se anche non vi fosse questo collo di bottiglia globale, l’America di Trump ha in apparenza stracciato il concetto di friendshoring.

Vista la rilevanza strategica del tema resta possibile, e direi anche probabile, che parte delle proposte dello USTR vengano adottata, sia pure in forma attenuata. Ci saranno costi di sistema per gli americani, e non solo per loro. La Cina è giunta a presidiare gli snodi vitali del commercio globale: non sarà semplice ridimensionarla senza frantumare il commercio globale. Qualcosa contro cui anche l’iperpotenza americana potrebbe farsi del male.

(Immagine creata con WordPress AI)

 


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