La libertà degli intellettuali
par Damiano Mazzotti
lunedì 14 ottobre 2013
Amare la libertà: “Erasmiani. Gli intellettuali alla prova del totalitarismo” (Laterza, 2007).
Il libro del filosofo e politologo Ralf Dahrendorf (1929-2009) si delinea come un ritratto eclettico di etica politica e una fine tessitura di biografie degli intellettuali nati tra il 1900 e il 1910. Lo studioso tedesco prende in esame le principali figure che hanno affrontato faccia a faccia il totalitarismo (comunista, fascista e nazista): Karl Popper, Raymon Aron, Isaiah Berlin, Hannah Arendt, Theodor Adorno, George Orwell e Norberto Bobbio. Popper, Aron e Berlin, furono i più indipendenti.
Per quanto riguarda il versante economico, bisogna concentrarsi su John Kenneth Galbraith (www.johnkennethgalbraith.com), uno dei rari economisti da annoverare tra i liberi pensatori, come Erasmo da Rotterdam, il quale affermò: “Amo la libertà, e non voglio e non posso mettermi al servizio di un qualsiasi partito”. Oggigiorno i veri economisti liberali dovrebbero concentrare tutte le loro energie nella lotta contro il semplicismo burocratico, il dispotismo finanziario e la “tecnocrazia autoritaria” (Ian Buruma, www.ianburuma.com, accademico e saggista cosmopolita).
Comunque le principali caratteristiche della personalità degli intellettuali sono le seguenti: l’indipendenza, il coraggio individuale nell’affermazione della verità, la giustizia esemplare (temperata dalle inevitabili ambiguità umane), l’osservazione attiva e ravvicinata delle persone e dei fenomeni, l’atteggiamento neutrale come virtù e come debolezza.
Quindi “Né le mode né gli interessi possono distogliere dalla verità” (p. 65). E “l’adattamento senza collaborazione, ma anche senza resistenza, è un atteggiamento caratteristico degli intellettuali pubblici sotto il fascismo. Si è contro il regime, ma ci si trattiene, ci si depoliticizza e si fanno concessioni, che non costano troppo e soprattutto che non danneggiano altri. Un atteggiamento di questo genere fu molto diffuso, dopo la guerra, nei paesi travolti dal comunismo” (p. 107-108).
A volte gli uomini confondono l’antica saggezza con l’attualità del sapere. Ad esempio Eraclito affermò che la guerra è il padre di tutte le cose e molti pensano all’inevitabile “minaccia hobbesiana della guerra di tutti contro tutti… il naufragio di qualsiasi ordine. La contrapposizione, invece, e il conflitto in generale, trova nell’ordinamento liberale non soltanto la sua regolamentazione, ma anche la sua trasformazione da forza distruttiva in forza produttiva, creative. Kant ne era consapevole. Per lui il conflitto domato è la fonte del progresso” (p. 61).
Inoltre bisogna sottolineare l’importanza di due personalità che hanno pesantemente condizionato il mondo moderno: “Rockefeller e Bismark. L’uno nell’economia, l’altro nella politica, confutarono il sogno liberale della felicità universalmente raggiunta mediante la libera competitività dei singoli, sostituendovi il monopolio e lo stato amministrato” (Bertrand Russell, in “Rockefeller. Una dinastia americana”, Odoya, 2013).
Infine bisogna aggiungere che molti intellettuali “appartengono a bande diverse e nemiche fra loro”, ma i veri “intellettuali definiscono le mentalità di una generazione” (Noel Annan, pensatore e militare). E concludo con l’intelligente osservazione di Joachim Fest su Hannah Arendt: disse che si sarebbe “volentieri fatta carico dell’isolamento in cui cadde ben presto, come prezzo della libertà” (p. 53).