La lezione (dimenticata) di Ronald Reagan

par Libero Mercato
giovedì 27 gennaio 2011

Il 6 febbraio ricorre il centenario della nascita di Ronald Reagan, il quarantesimo presidente degli Stati Uniti che governò dal 1981 al 1989.

La mattina che uscì per sempre dalla Casa Bianca il suo Consigliere per la Sicurezza Nazionale, Collin Powell (il primo afroamericano a ricoprire quel ruolo) disse semplicemente: "The world is quety today, Mr President".
Si perché uno dei grossi meriti di Reagan e del suo mandato è stato quello di aver vinto la Guerra Fredda, grazie ad un incrollabile ottimismo, a una fede granitica nella superiorità del modello capitalista ed alla ferma volontà di diffondere il "vangelo" della democrazia.
 
Reagan ha avuto il merito di far sognare l'America, dopo gli anni del "malessere" di Jimmy Carter, e prima ancora dei turbolenti anni Sessanta, la contestazione giovanile, la tragedia della guerra in Vietnam, lo scandalo del Watergate, che offuscarono l'immagine della presidenza e della storia degli Stati Uniti.
 
The Gipper (questo era il suo soprannome) riuscì invece a ridare speranza e fiducia agli americani, credeva nella libertà individuale e nel commercio, nelle virtù del mercato, nell'innovazione e nel progresso tecnologico, nonostante un passato da democratico e sindacalista (e come tale riconobbe l'importanza delle conquiste progressiste del New Deal di Roosvelt).
 
La Guerra Fredda contro la Russia, "l'Impero del Male" come veniva definita Mosca, fu vinta anche con un aumento straordinario dell'apparato militare ed una sapiente politica del bastone (la minaccia nucleare) e della carota (i continui negoziati per il disarmo e l'individuazione di Mikhail Gorbacev come interlocutore privilegiato).
 
Tanto che il suo omonimo nel Vecchio Continente, Margareth Thatcher, disse che il grande merito di Reagan fu quello di aver vinto la guerra senza sparare un colpo.
 
Gli storici si sono sempre divisi sulla figura del Presidente-Attore, disprezzato da sinistra (letali i commenti del guru no-global Noam Chomsky) e venerato da destra, tanto che oggi il movimento dei Tea Party continua ad ispirarsi alla sua figura, non trovando eredi all'altezza (di certo non la temeraria Sarah Palin).
La lezione americana di Reagan sembra però persuadere anche l'attuale amministrazione democratica, se è vero che Barack Obama in vacanza si è portato una biografia di 800 pagine su The Gipper, scritta da Lou Cannon, dal titolo "President Reagan: The role of a lifetime".
 
Non è solo una questione di hobby letterali, anche perché lo stesso Obama in campagna elettorale ha dichiarato, tra le proteste di Hilary Clinton, che Reagan era stato capace di cambiare la traiettoria dell'America.
 
Oltre ad essere considerato il vero argine contro la minaccia comunista ed aver simboleggiato la rinascita economica americana degli anni Ottanta, lo yuppismo, la finanza rampante e la fiducia nel progresso economico, Regan ha prodotto risultati concreti: ridusse del 25% le imposte sul reddito, creò posti di lavoro e alleggerì le maglie dello Stato (che per lui era "il problema" e non la soluzione), controllando l'offerta di denaro per frenare l'inflazione.
 
Senza smantellare il Dipartimento dell'Istruzione, aumentò comunque la spesa pubblica e presentò otto finanziarie in deficit, anche se a metà degli anni Novanta, con la fine della Guerra Fredda e la riduzione delle spese militari, quel rosso divenne surplus di bilancio.
 
La ricetta politica di Reagan era semplice: amore per il proprio paese, sfiducia nell'apparato statale, fede nelle nuove opportunità, odio per la regolamentazione dell'economia, idealizzazione del libero mercato.
 
Una lezione dimenticata da molti, che Obama sembra stia cercando di riportare alla luce per guadagnare nuovi consensi elettorali, e soprattutto riuscire a governare altri due anni con un Congresso in parte in mano ai Repubblicani.

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