La lezione del fascismo e la ripetizione berlusconiana

par Daniel di Schuler
venerdì 11 novembre 2011

Prepariamoci, soprattutto, ad accogliere degnamente il prossimo profeta, che magari arriverà proprio mentre staremo affrontando le massime difficoltà, innalzando un tricolore ed invitandoci a difendere la patria dai gialli o dai blu.

La definizione del fascismo come “autobiografia della nazione”, data da Piero Gobetti, resta insuperabile per precisione e sintesi, specie se si comprende appieno il significato del termine autobiografia; la nostra storia, fino al presente, che noi ce la raccontiamo.

Il fascismo, dunque, aveva per Gobetti radici nel nostro passato; non era un morbo estraneo (la crociana invasione degli hichsos) inoculato nel tessuto sano della nostra società, ma rifletteva la nostra di storia, di paese arrivato tardi e male all’Unità, che non aveva mai conosciuto rivoluzioni, ma solo un Risorgimento a guida regia, e che, ancora nuovo alla Democrazia, aveva sempre premiato il conformismo servile dei sudditi e sempre disconosciuto i cittadini.

Non fu solo italiano il fascismo, e di queste sua diffusione internazionale, l’interpretazione di Gobetti (che non poté vederla) non dà conto; bisogna aggiungervi, per comprenderla, il fascino che ebbe anche in altri paesi quella nostra controrivoluzione senza rivoluzione. Parve, anche a molti altri europei, la via da seguire per ristabilire un ordine sociale che la modernità, prima ancora che la fine degli imperi e la Rivoluzione sovietica, minacciava di cambiare per sempre.

Resta però che il fascismo propriamente detto (il franchismo, per esempio ha caratteri assai diversi) fu un fenomeno innanzitutto italiano ed ebbe, tra gli italiani, un successo straordinario. Fascisti furono tutti o quasi, specie dopo la proclamazione dell’Impero, nel 1936, quando il sole di Mussolini raggiunse il suo mezzogiorno; è una realtà che ci siamo poi negati, preferendo raccontarci l’esatto contrario, di essere stati tutti antifascisti, ed affidando alla Resistenza non solo il compito di riscattarci moralmente, ma di assolverci da ogni colpa e responsabilità; di passare una mano di bianco sul nostro passato.

Questo, la negazione della popolarità del fascismo e la trasformazione della resistenza, che fu di pochi e, nell’inverno 44-45 di pochissimi, in grande movimento di popolo, è il peccato originale commesso dalle forze politiche dell’Italia repubblicana: democristiani e comunisti, non spinsero gli italiani a riflettere sui propri errori né li invitarono ad analizzarsi per individuare quei grumi di fascismo che erano dentro quasi tutti loro.

Ci assolvemmo, insomma, come Comunità Nazionale, dopo un'atroce penitenza (le distruzioni e i morti della Guerra) ma senza nessun vero esame di coscienza e, quindi, senza nessun pentimento. E’ questo ad aver reso possibile il berlusconismo e, per certi versi, il leghismo; a far cadere tanti nostri connazionali in errori così simili a quelli del passato.

Il berlusconismo, specie quello tardo che è durato fino ad ieri, è stato una riduzione al minimo del fascismo; di questo condivideva le religione del Capo, la fede nell’uomo del destino, e molti dei caratteri reazionari, ma, e qui sta una delle differenze tra i due fenomeni, non tentava neppure di fornire una base ideologica alla propria azione.

Il berlusconismo mutuava dal reaganismo la propria retorica in campo economico, ma non proponeva nulla di nuovo; non si definiva in termini propositivi (il mito della Rivoluzione liberale non ha mai scaldato i cuori delle masse berlusconiane), ma si giustificava millantando un anticomunismo tanto anacronistico quanto presente nelle paure ataviche di tanta parte del nostro ceto medio; di quello che è stato il suo grande bacino elettorale.

Una piccola borghesia che vedeva già, nei primi anni ‘90, svanire il sogno di un eterno progresso economico e non sapeva darsene una ragione; che ha preferito continuare a pensare al pericolo comunista (tanto più tranquillizzante quanto più si faceva remoto) piuttosto che riflettere cu come potesse rispondere al pericolo vero, per il mantenimento del proprio benessere, rappresentato dalla mondializzazione.

Un ceto medio erede di quello che, come Luigi Salvatorelli scriveva nel 1923, nel “Nazionalfascismo”, frustrato nelle proprie aspirazioni materiali dalla crisi economica del primo dopoguerra, aveva trovato nel fascismo la propria rappresentanza.

Il berlusconismo ha avuto dunque la stessa base che fu del fascismo gentiliano, ma non ha proposto una propria via allo Stato etico né ha elaborato qualcosa di simile al corporativismo; sono germi ancora liberi, dispersi nella nostra politica e nella nostra società, con cui ci dovremo confrontare negli anni a venire, come ci dovremo confrontare con la forza che è la vera erede del fascismo “rivoluzionario”: la Lega.

Nietzche male orecchiato sta dietro a tanta retorica bossiana come dietro ai modi del fascismo più violento; la visione romantica dello stato-nazione in armi sottende sia l’espansionismo fascista che il secessionismo leghista. La Lega, addirittura, ripropone temi e ideali nazisti e che furono propri, dal neo-paganesimo alla difesa della razza, solo dell’estremo e peggiore fascismo.

Temi e ideali che continuano ad affascinare molti di noi; sogni ad occhi aperti in cui può essere irresistibile rifugiarsi, specie nei momenti di crisi. La sfida, mentre salutiamo la fine del berlusconismo, è quella di comprendere fino a che punto siamo diventati, tutti, un po’ berlusconiani: quanto siano diventati berlusconiani i nostri modi e il nostro linguaggio; il nostro modo di pensare e perfino i nostri sogni.

Pensiamo ai danni procurati da un ventennio di propaganda fascista fatta con i modesti mezzi di allora e cerchiamo di riconoscere fino a che punto ci hanno cambiato trent’anni di scientifico bombardamento televisivo berlusconiano delle nostre coscienze. Prepariamoci, soprattutto, ad accogliere degnamente il prossimo profeta, che magari arriverà, proprio mentre staremo affrontando le massime difficoltà, innalzando un tricolore ed invitandoci a difendere la patria dai gialli o dai blu.

Dopo la lezione del fascismo e la ripetizione del berlusconismo, adesso dovremmo sapere a che paese mandarlo.


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