La guerra di Fini

par Rocco Pellegrini
venerdì 1 ottobre 2010

Come esce l’onorevole Fini dal duro scontro con Berlusconi? Fatti loro o fatti nostri?

Appare, ormai, evidente a tutti che il Presidente della Camera dei deputati è l'arbitro del governo del paese e che, nonostante tutti i tentativi, mediatici e clientelari, di indebolirlo ed espellerlo dal novero dei politici che contano il suo ruolo appaia confermato ed accresciuto dal voto di fiducia al governo Berlusconi del 29-set-2010. 

Chi ricorda l'atteggiamento dimesso dell'ultima comunicazione di Fini sul "caso Montecarlo", che aveva spinto commentatori di ogni tipo a darlo per morto, svergognato ed annichilito, deve ricredersi ed ammettere che, politicamente parlando, nessuna delle operazioni tentate da Berlusconi è andata in porto.

Il livore di Feltri, l'infamia della campagna mediatica lo ha colpito ma non intimidito e, nonostante le difficoltà notevoli che ha dovuto affrontare è riuscito a tener duro, a portare a termine il piano che si era proposto: farsi riconoscere come soggetto politico decisivo nel centrodestra rompendo l'unità monolitica del PDL. D'ora in poi l'attuazione del programma dovrà essere discussa e condivisa: punto e basta.

Dunque dopo tante minacce e tanta protervia abbiamo tutti visto Berlusconi alla Camera, travestito da Andreotti, doroteo tra i dorotei, equanime, serioso, "statista", profilo alto, ecc. ecc.

L'uomo del fare si è ritrasformato nell'impresario del teatrino della politica, ciò egli essendo, come ben sanno gli italiani, da poco meno di 20 anni.

Come mai? Che sta succedendo?

Per capire, a mio avviso, è necessario fermare per un momento il flusso della comunicazione incessante, dove le parti operano per confondere le acque e per attingere risultati partigiani e tornare, come si suol dire "in filosofia", osservando le cose dalla distanza sufficiente a vederle come un insieme cercando di collocare gli eventi in un contesto che permetta di tentare un'interpretazione.

Due grosse aree vanno mese sotto osservazione per capire quello che sta succedendo e, soprattutto, ciò che ragionevolmente potrà accadere: lo stato della società civile e quello della società politica

Le due aree vanno distinte perché nonostante sia la società civile, il corpo elettorale ad eleggere la società politica, i rappresentanti, questo secondo corpo come interesse costituito, ha delle sue regole e delle sue logiche che poi contano molto nel definire gli accadimenti reali.

Il paese reale è in una crisi crescente che serve a poco esorcizzare.

Da un lato è in corso nel mondo un'enorme ridistribuzione di ricchezza tra aree povere e ricche che ci vede sfavoriti, noi così come gli altri europei, i giapponesi e gli americani. Abbiamo goduto di un trend positivo per molti decenni ora, come spesso avviene nella storia, le cose vanno meglio per altri popoli ed è difficile dire che non sia giusto così quali che siano i nostri interessi.

Dall'altro noi abbiamo delle specificità aggiuntive nazionali che ci rendono particolarmente deboli nella pur complessa partita della competitività. Criminalità organizzata, corruzione, familismo, clientelismo, scarso rispetto per il merito, lavoro nero, alta evasione fiscale, troppi interessi corporativi nella ricerca, nell'università, ovunque sono diventati una palla al piede che ci inchioda ad una cronica mancanza di crescita economica impoverendo, man mano che il tempo passa, il bel paese.

Tutto ciò rende la società civile sempre più inquieta, più preoccupata, più distante da una politica che sembra pensare a tutto tranne che a questi gravi problemi descritti.

La risposta che la politica ha costruito a questo stato di cose è stato il bipolarismo: il governo è affidato ad una delle due aree fondamentali del paese, sommariamente destra o sinistra.

Funziona questo? No non funziona.

Il fallimento di Prodi per ben due volte ci ricorda come andò nei 7 anni della sinistra e le crisi di Berlusconi ci raccontano come va quando tocca alla parte opposta.

Dunque c'è bisogno di qualcosa di radicalmente nuovo che per emergere deve concludere l'agonia che è in corso.

Prima o poi bisognerà mettere le mani ad urgenti riforme, urgenti da tanto tempo, ma sempre tralasciate per un quieto vivere che si è lentamente trasformato in tirare campare sempre con il fiato un pò più corto.

 Chi può fare questo lavoro che diventa sempre più urgente?

La sinistra non sembra proprio in condizione. C'è una crisi in tutto il mondo, spiega il prof. Salvati, dei partiti di derivazione socialista, laburista per due motivi di fondo: le nuove tendenze del lavoro moderno non sembrano comprese in ciò che resta di questi movimenti e non si riescono a trovare riposte credibili al fenomeno del postfordismo che viviamo con perdita di consenso tra lavoratori sempre più preoccupati per la loro marginalità e la loro perdita di reddito. Cosa fare, come produrre al tempo della rete? Come mantenere il reddito mentre il lavoro diminuisce e le macchine sostituiscono progressivamente lavoro umano? Sono risposte che neanche si tentano.

Ciò rende difficile pensare ad una ripresa di consenso vasto per un'area egemonizzata dalla sinistra.

Spetterebbe, quindi, all'area di destra dare le carte del rinnovamento ed, infatti, con le elezioni dell'aprile del 2008 il paese ha dato alla destra il compito di dirigere il paese.

Ma la destra italiana non è una destra "normale".

Nata dalla vicenda Tangentopoli che distrusse il vecchi assetto basato sulla DC è imperniata fin dal suo inizio su un personaggio "particolare", italiano quanto altri mai che ne condiziona pesantemente l'evoluzione e l'efficacia.

I miei 4 lettori conoscono bene la vicenda Berlusconi e, dunque, non mi ripeterò.

Lo scontro cui stiamo assistendo in questi giorni dipende dal tentativo di ridurre l'intera filiera della destra italiana, Lega esclusa, al Berlusconi medesimo. I problemi che lo accompagnano fin dall'inizio gli impongono l'uso di una certa violenza nei confronti delle istituzioni ed il governo appare in preda più ad operazioni di difesa del presidente del consiglio che di interesse pubblico.

E' qui che è cominciata la guerra di Fini: come dice il poeta "Hic Rodhus hic salta".

Fini è un uomo di destra e non gli si può chiedere, se si è seri ed onesti, di sentirsi quel che non è mai stato o, peggio ancora, di togliere le castagne dal fuoco per la sinistra.

Certamente da più di qualche anno sta dando vita ad un processo di presa di distanza da certe pesantezze della sua cultura di provenienza.

Affiora qui e la, soprattutto nell'elaborazione culturale di Fare Futuro, che la destra di Fini pensa sia giusto uscire dalle secche del 900, dalla contrapposizioni, fuori tempo e luogo, tra cultura comunista e fascista per arrivare a soluzione nuove, adatte ai tempi nostri, pragmatiche e, possibilmente, condivise. Considero questo tipo di ricerca una delle poche cose serie che si vedono nella gazzarra politica che ogni giorno ci accompagna: sarebbe bene che anche a sinistra si desse più importanza a cose del genere. Il paese, per modernizzarsi, avrebbe bisogno di soluzioni condivise su cui fossero d'accordo quanti più italiani possibili perché, diversamente, non vedremo luce.

La contrapposizione di Fini al berlusconismo appare in primo luogo una contrapposizione di libertà e di legalità: libertà perché il governo di un uomo solo va meglio nelle semplificazioni infantili che nella complessità della vita di una nazione; legalità perché la criminalità è troppo forte in Italia, la corruzione politica veramente impressionante e la tendenza di Berlusconi ad assolver tutti per salvar se stesso va, forse, al di là delle sue stese intenzioni.

L'uso della terza carica dello stato appare in questo quadro una scelta intelligente e doverosa: è lo stato di diritto che si contrappone alla logica del "ghe pensi mi", alla logica dell'uomo forte, alla sbrigativa prepotenza del libretto degli assegni. E' un fatto di vitalità del sistema Italia che dall'interno dello stesso movimento di destra emergano figure che tutelano gli interessi di tutti, a prescindere dalle fazioni.

Riuscirà Fini a ricondurre il fenomeno Berlusconi nell'ambito di una dialettica democratica evitando la precipitazione dello scontro?

Questa è la vera domanda e nonostante io veda le tante difficoltà che ci sono davanti sono portato a pensare che Fini è sulla buona strada per "contenere" il fenomeno del berlusconismo, deprivandolo delle sue traccie più scure e pericolose.

Concludo spiegando perché.

Berlusconi deve rispondere al paese perché da quasi vent'anni è al centro e le cose vanno sempre peggio. Tutti i sondaggi ci dicono che il PDL ha due versanti di crisi: al Nord la Lega scava nel suo elettorato usando la drammaticità della crisi ed al Sud, soprattutto in Sicilia, è in corso un'operazione politica unitaria che lascia intendere anche qualche radice nazionale nel prossimo futuro. La carta delle elezioni anticipate è una spada spuntata: bisognerebbe aprire una crisi formale, mettere la partita in mano a Napolitano come da costituzione e si potrebbero creare le condizioni di un altro governo perché tanti senatori dello stesso PDL potrebbero essere interessati a far continuare la legislatura per evitare di essere sostituiti da colleghi leghisti. E poi con la formazione di FLI anche eventuali elezioni anticipate potrebbero non garantire una maggioranza paragonabile a quella attuale e quindi un nuovo reincarico per Berlusconi.

Troppe incognite ragazzi(e) per chi non se le può permettere.

Questo spiega la prudenza di Berlusconi, questo spiega il fallimento dei falchi alla Feltri, questo spiega il perché è fallito l'attacco frontale a Fini.

Fini, a mio modesto parere, non ha la possibilità di diventare la nuova figura centrale della politica italiana perché l'asse Tremonti Lega appare, tuttora, l'asse dominante, però la sua determinazione a sbarrare il passo a chi sembrava invincibile contribuirà a creare le condizioni di un processo politico migliore, di un quadro meno fosco, con meno divisioni e possibilmente con un futuro migliore.


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