La guerra che si vede e si vende

par Fabio Della Pergola
martedì 8 luglio 2025

Discussione e Riflessioni.

La guerra Israele-Hamas-Iran è così presente perché è cosa che mediaticamente "vende bene", dice.

È la sintesi estrema, brutale nella sua onestà, che riassume perfettamente tutte le perplessità su questa diffusione capillare di notizie - spessissimo non verificate, spessissimo alterate, spessissimo manipolatorie - che riguardano il conflitto scatenato da Hamas il 7 ottobre 2023.

Spiega il motivo per cui poco o nulla si sa o si è saputo nel passato di conflitti che per numero di vittime o di rifugiati sono o sono stati estremamente più gravi e cruenti di quello di Gaza.

A partire dal caso clamoroso della guerra del Congo (articolo di Antonella Napoli, Corriere della Sera, 28 gennaio 2025) 7 milioni di morti negli ultimi vent'anni (140 volte il numero delle vittime gazawi dichiarato da Hamas), per arrivare alla ripresa del conflitto in Sudan (150mila morti in due anni, tre volte quello dei gazawi più o meno nello stesso arco di tempo, 13 milioni di profughi, 25 milioni di persone denutrite, articolo di Michele Farina, Corriere della Sera, 15 aprile 2025) per andare indietro nel tempo agli altri milioni di morti complessivi sommando le vittime della guerra civile siriana (500mila, quasi 5 milioni di profughi), della guerra nello Yemen (350mila), del Darfur, dell'Eritrea, della Somalia, della Cecenia e ancora prima dell'assedio di Sarajevo (quattro anni - QUATTRO ANNI ! - di assedio serbo con oltre 12mila vittime nell'indifferenza generale) o, più lontane nel tempo la guerra civile libanese (15 anni di conflitto con 150mila morti) di cui ci si ricorda solo per Sabra e Chatila, e non è certo un caso. O di quella algerina. Ma, per tornare a cronache più recenti, anche alla guerra in Ucraina con i 21mila civili morti solo a Mariupol, in totale assenza di critica (al più "né con Putin né con la Nato") spezzato solo dalle grida che accusavano i difensori ucraini di essere fascisti.

Ucraina a parte, molto divisiva a sinistra visto che se porti una bandiera ucraina in un corteo te la strappano di mano, sono tutti conflitti di cui si sa poco, spesso niente, le cui vittime (milioni, compresi certamente milioni di bambini) non smuovono nemmeno una minima percentuale di partecipazione emotiva in chi ogni giorno si sdegna invece per "i bambini di Gaza". O di chi occupa scuole, università, strade e piazze "contro il genocidio". Ogni giorno.

Non accade perché quei conflitti "non interessano" alla gente; interesserebbero, si dice, ma non se ne parla. O forse invece è proprio il contrario: non se ne parla perché non interessano.

Perché quelle storie "non vendono" quanto quella di Gaza e quindi se ne parla poco (o niente) solo su testate specializzate, o in pagine interne, una volta ogni tanto, mentre Gaza - che "vende bene" - occupa le prime pagine di tutti i giornali, ogni giorno, da un anno e mezzo e ogni telegiornale, ogni giorno, più volte al giorno, da un anno e mezzo. Idem i social (me compreso).

Quindi la VERA domanda è chiedersi il motivo per cui la guerra Israele-Gaza, a differenza della maggior parte degli altri conflitti, "venda bene". E questo è complicato.

Ci sono due ipotesi sul tavolo: la prima è che sia a destra che a sinistra, "Israele siamo noi" (noi occidentali), ma mentre la destra (che NON è la mia parte politica) affonda le sue ragioni in un occidentalocentrismo acritico, per la sinistra si tratta di quell'Occidente avversato e odiato nella sua specifica lettura anticapitalista e antimperialista.

In sintesi a Israele si imputano, in un curioso atto di attribuzione compulsiva, tutte le nefandezze tipiche della storia occidentale. Fin dalla nascita lo stato ebraico avrebbe rubato "terra altrui" (colonialismo), sterminando e chiudendo in riserve sigillate "i nativi" mutuandone l'origine dalle guerre indiane (antiamericanismo), fino a compiere un vero e proprio genocidio (nazismo). Cose insopportabili per una democrazia. Il tutto bypassando il fatto che il popolo ebraico è stato quello che, forse prima e più di ogni altro, ha subìto quelle stesse violenze che gli si attribuiscono in un "gioco" di specchi che avrebbe bisogno più di uno specialista della mente che di uno storico.

La sintesi è nella frase ripetuta a josa: "gli ebrei fanno ai palestinesi quello che i nazisti fecero a loro". Applicata ad altri suonerebbe come la totale idiozia che è ("i russi fanno agli ucraini quello che i tedeschi fecero a loro"), ma applicata a Israele "suona bene" a certi cervelli. Perché la Shoah pesa su quei cervelli, per questo ricorre continuamente un lessico che rimanda a quel tempo. Ed è un peso fastidioso.

Tutto ciò questo rimanda alla seconda questione sul tavolo: che questa attribuzione compulsiva - che sposa acriticamente la narrazione vittimistica palestinese - derivi da quella voglia latente che Liliana Segre ha definito "voglia di fare pari e patta con la Shoah". Attribuendo alle vittime di allora la stessa identica modalità di violenza genocidaria, l'Occidente si assolve dalla colpa e soprattutto dal fatto di non aver mai pagato in alcun modo per quella colpa. La colpa dell'antisemitismo storico diventa l'origine e la fucina del nuovo antisemitismo latente.

Ho scritto che tutto questo sposa acriticamente la narrazione palestinese perché non si basa su realtà storiche reali, ma su una lettura ampiamente orientata in senso ideologico che liquida a priori realtà storiche facilmente verificabili (una minoranza ebraica viveva da secoli in quel territorio, altri ebrei sono arrivati in seguito nel corso di decenni, così come arabi vi immigravano dai paesi vicini, ma acquistavano - non rubavano - terre in un territorio che per secoli era stato turco, mai arabo se non ai tempi del Saladino (che però era curdo), territorio su cui poi non veniva esercitata più alcuna sovranità riconosciuta, ma solo una temporanea amministrazione inglese etc. etc.)

La vicenda della sinistra occidentale è emblematica: succube dell'URSS si è adeguata ai diktat provenienti da Mosca: un primo appoggio a Israele (si leggano gli articoli antiarabi dell'Unità del 1948) che combatté con armi fornite dalla Cecoslovacchia in violazione dell'embargo in atto, appoggio poi rinnegato in seguito al cambiamento di fronte sovietico (1956-67) dopo la presa del potere da parte di Nasser.

Lì inizia la contronarrazione che nega ogni responsabilità araba nell'aver inaugurato lo sterminio indiscriminato di massa di civili inermi e la pulizia etnica di una città (Hebron 1929, vent'anni prima della Nakba), di aver rifiutato ogni soluzione a due Stati (proposta inglese del 1937, proposta Onu del 1947), di aver attaccato Israele (guerra del 1948 e del 1973), di aver violato le condizioni armistiziali precedenti determinando lo scoppio del conflitto con il blocco alla libera navigazione diretta verso i porti israeliani (guerra di Suez, 1956 e del Sei giorni, 1967) fino ai passi successivi che, in contemporanea con l'emergere della "terza via" khomeinista, hanno impedito ogni possibilità di accordo - in collusione innegabile con l'estrema destra sionista - in particolare nel 2000-01 (proposta Barak) e nel 2008 (proposta Olmert). Fino al 7 ottobre che si riconnette, nelle modalità attuative e nelle ferocia messa in campo, al massacro di Hebron da cui tutto è iniziato (1929, The Year Zero of the arab-israeli conflict, titola lo storico Hillel Cohen).

Tutto questo "vende" a differenza di ogni altro conflitto. Perché, diceva il poeta palestinese Mahmoud Darwish "è per l'interesse verso di voi, non verso di me!" È l'"interesse" per gli ebrei che "vende". Se "fossimo in guerra con il Pakistan" non importerebbe a nessuno di noi. La storia "non venderebbe".

Ecco quale è il punto vero, non perché "Israele siamo noi occidentali", ma perché Israele è uno stato di ebrei, parola di poeta palestinese. Ma è un "interesse" che si chiama antisemitismo esplicito, a prescindere dal fatto che determinate critiche a Israele siano giuste e perfino condivisibili.

 


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