La grande passione, storia della FIFA, non dei mondiali

par soloparolesparse
lunedì 7 luglio 2014

Mi chiedevo come fosse possibile che un film dedicato alla storia dei mondiali di calcio non fosse uscito nelle sale italiane per poi arrivare direttamente in tv. Poi quando ho visto che il passaggio su Rai Uno di La grande passione era previsto nel bel mezzo dei mondiali brasiliani mi son detto… furbi! Avranno voluto sfruttare il periodo per ottimizzare i risultati del film di Frederic Auburtin.

Invece poi l'altra sera l’ho visto ed ho capito: è un film brutto!

Intanto non si tratta di un film sulla storia dei mondiali ma sulla storia della FIFA, il che, vi renderete conto, cambia di molto le carte in tavola. Poco, pochissimo calcio, molta politica e intrallazzi.

Si comincia dal 1902 con i fondatori intorno ad un tavolo che pensano a riunire le federazioni nascenti in tutto il mondo in un unica organizzazione. Il problema è che gli inventori inglesi, che hanno una propria federazione già da 40 anni, non ne vogliono sapere.

La cosa va in porto lo stesso, senza Inghilterra, ma rimane una cosuccia fino a quando tal Jules Rimet non ha l’idea di organizzare un campionato mondiale per squadre nazionali. L’Uruguay ha i soldi e la cosa si organizza. Si giocano così i primi mondiali di calcio, siamo nel 1930 e la FIFA vede cambiare le proprie prospettive.

Il film prosegue così con una folle corsa nel secolo, saltando da un mondiale all’altro e mostrandoci soprattutto i giochi politici che portano all’elezione di Avelange prima e di Blatter poi. Truschini e accordi non sono mostrati chiaramente, ma lasciati intuire.

Di calcio se ne vede poco, qualche immagine di repertorio buttata nel mucchio e gli intermezzi con i ragazzini che giocano nel campetto, scena che dovrebbe puntellare la vicenda e finisce per essere l’unico riferimento alla grande passione del titolo (titolo che però, a ben vedere, potrebbe anche essere ironico – l’originale è United passions).

Di politica se ne vede molta, ma la vicenda è raccontata così di corsa che i dettagli si perdono ed il risultato è che l’insieme è confuso. Non ci sarebbe stata male una serie in quattro-cinque puntate.

La figura migliore la fanno i tre protagonisti: Gerard Depardieu-Rimet, Sam Neill-Avelange e Tim Roth-Blatter tirano fuori prestazioni degne dei loro nomi e finiscono per diventare la forza del film caratterizzando (anche troppo) i personaggi. Tagliati con l’accetta vien fuori che Rimet ha sogni e passione, Avelange e Blatter (questo di meno) arrivismo e intrallazzi.

Si finisce con i mondiali assegnati al Sud Africa, il calcio nel continente nero, sogno politico-sportivo di Avelange e Blatter.


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