La giustizia penale è morta

par davide87
giovedì 11 giugno 2009

Per i lettori di Agoravox un’analisi giuridica del ddl sulle intercettazioni e sulle sue conseguenze catastrofiche

Un ennesimo e durissimo colpo alla civiltà di questo paese totalmente allo sbando verrà sferrato questa sera quando il Governo, ricorrendo nuovamente al voto di fiducia e scavalcando le prerogative parlamentari, voterà il disegno di legge sulle intercettazioni.

Parola chiave della vittoria elettorale della coalizione di governo nel 2008 fu "sicurezza". Si è giocato tantissimo sulle paure degli italiani, al punto da ottenere il loro consenso proprio sulla promessa di garantire più sicurezza ai cittadini. Ma purtroppo, anche questa volta, la promessa fatta all’elettorato si risolverà in una legge per garantire l’impunità dei delinquenti e dei criminali.

Si decreta questa sera la morte della giustizia penale italiana e il definitivo imbavagliamento della cronaca giudiziaria. Olè.

Il disegno di legge prevede una notevole diminuzione dell’uso delle intercettazioni e la cancellazione del diritto di cronaca da parte dei giornalisti che si occuperanno di vicende giudiziarie distruggendo nella sostanza quel diritto costituzionale che garantisce al cittadino di essere informato.

Le intercettazioni, di qualunque tipo esse siano cioè ambientali, telefoniche e telematiche, da strumento per la ricerca della prova si trasformeranno in uno strumento di completamento e di rafforzamento della prova già acquisita. Per fare un esempio, se prima l’intercettazione rappresentava lo "strumento" migliore per capire se un soggetto era un delinquente, dopo l’approvazione del ddl rappresenterà "il fine", e cioè il loro utilizzo sarà consentito per legge solo dopo aver scoperto la natura criminale dell’individuo. Ma come si scopre se taluno è criminale se non vi è il mezzo?

E’ come se Governo e Parlamento chiedessero alle "forze di polizia e alla magistratura di tutelare la sicurezza dei cittadini uscendo per strada disarmati e con un braccio legato dietro la schiena", questa la dura presa di posizione dell’associazione nazionale dei magistrati. Tutelare la sicurezza di cui sopra, quella che fu il cavallo di battaglia del Pdl in campagna elettorale.


Inoltre, giusto per rallentare ancora di più la macchina della giustizia italiana, vengono introdotti una serie di adempimenti, motivazioni ed elementi burocratici che di fatto estingueranno la possibilità di celebrare il processo. E non è finita. Viene imposto un limite temporale all’utilizzo delle intercettazioni di soli 60 giorni che nella sostanza "vanifica gli sforzi investigativi delle forze dell’ordine e degli uffici di procura", come ha inutilmente ammonito il CSM.

Dopo aver "sistemato" il sistema penale era d’obbligo mettere un limite al giornalismo d’inchiesta, troppo impiccione negli affari del Capo e dei suoi sodali. Il disegno di legge estende il regime che oggi regola gli atti giudiziari coperti dal segreto anche agli atti non più coperti dal segreto "fino alla conclusioni delle indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare". In parole povere, un bel bavaglio all’informazione e alla cronaca che, per loro natura, hanno (o almeno dovrebbero avere) come scopo principale quello di raccontare come vanno le cose nel nostro paese e di rappresentare una sorta di "controllo" sull’operato delle alte sfere istituzionali e non solo.

Con questo disegno di legge vengono cancellati con un colpo di spugna alcuni dei più importanti principi democratici e costituzionali. In primo luogo, con la limitazione all’utilizzo delle intercettazioni si lede quell’interesse della società ad una corretta amministrazione della giustizia e all’accertamento dei reati. In ogni ordinamento giuridico evoluto il sistema penale deve contemperare l’interesse alla privacy del cittadino con l’interesse alla tutela della sicurezza pubblica. Il nostro codice penale, proprio per risolvere questo conflitto tra due interessi opposti, sacrifica parzialmente il diritto alla privacy del cittadino per garantire al cittadino stesso una migliore tutela della sua sicurezza e un migliore andamento della "machina iustitiae" ritenuti, logicamente, interessi primari. E’ un principio che si può far risalire alla nascita della teoria contrattualistica dell’Ottocento, secondo cui il rapporto tra privato cittadino e Stato può riassumersi essenzialmente nella stipulazione di un "contratto". I cittadini cedono parte delle loro libertà individuali per vedere meglio garantita la parte restante di libertà, legittimando quindi quella sorta di "intrusione" dello Stato nella sua sfera privata.

L’altro colpo viene inferto alla stampa e, di riflesso, al nostro diritto di essere informati. La trovata del governo è geniale: non solo si punisce il giornalista che si è "permesso" di occuparsi di determinate vicende ma si punisce anche il suo editore che, per ogni "omesso controllo", potrà subire una sanzione pecuniaria da 64.500 a 465mila euro.

Così facendo l’editore avrà un interesse in più a non far pubblicare l’articolo scomodo e, di fatto, ad entrare nel merito del lavoro giornalistico non garantendo più quella "libertà" (almeno presunta) del giornalista di scrivere ciò che vuole.
Un’altra volta ancora il Governo crea leggi non nell’interesse del cittadino e della Repubblica (e si vada a benedire l’origine della parola Repubblica, e cioè res publica, "la cosa di tutti") ma nell’interesse di pochi e, perdonate la ripetitività, sopratutto nell’interesse del Presidente del Consiglio che, evidentemente, ha paura delle intercettazioni. Forse, possiamo anche intuire il perchè.

Non ritengo si possa giustificare il ddl in discussione asserendo che le intercettazioni sui reati gravi come Mafia e terrorismo rimangono dal momento che, molto spesso, si riesce a risalire alla grande associazione mafiosa, o più in generale criminale, partendo da altri tipi di indagini, consistenti in reati minori.
Un’altra volta il Governo dice una cosa e fa l’opposto. Chi se ne frega se le elezioni si sono vinte millantando una risposta efficace per garantire più sicurezza ai cittadini. Per quello ci sono già le ronde.


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