La fallimentare riforma Berlinguer

par Giuseppe D’Urso
lunedì 3 gennaio 2011

La sinistra, quando per l’infelicità di molti è andata al governo, ha avuto la bella idea di affidare il Ministero della Pubblica Istruzione all’On. Luigi Berlinguer.

Ricordo che saputa la notizia, mi telefonarono per darmi la “lieta novella”. Nel corso degli incontri che l’allora novello Ministro aveva programmato anche nella città di Catania, mi capitò di incontrarlo proprio presso la mia ex facoltà, in via Crociferi, dove, tra un bicchierino e l’altro, nel buffet offerto dal Preside della facoltà, gli esposi alcune perplessità e l’esigenza di immediati interventi, soprattutto in un settore altamente specialistico dell’istruzione tecnica. Ricordo che, guardandomi attraverso il colore rosso dell’aperitivo, mi disse di preparargli delle memorie e che era interessato al problema. Lo feci con solerzia, lo feci immediatamente, lo feci con impegno, ma non ebbi mai alcuna risposta.

Abbiamo, poi, appreso con sconcerto l’idea che la sinistra aveva di riforma della scuola:

a) eliminazione della scuola tecnica;

b) realizzazione dei licei tra i quali quello del balletto e quello musicale;

c) riduzione degli anni di studio;

d) riduzione delle ore di studio;

e) instaurazione della dirigenza e conseguente riduzione del numero delle scuole;

f) autonomia;

g) eliminazione della scuola professionale e suo trasferimento alle regioni;

h) modifica degli organi di controllo e governo della scuola (C.d.I., G.E.,);

i) trasformazione delle scuole in fondazioni:

j) Certificazione del bollino (blu) di garanzia per i docenti (concorsone);

In quegli anni la sinistra piantò il seme della dissoluzione della scuola pubblica.

Con l’istituzione della dirigenza è stato ridotto il numero delle scuole attraverso il procedimento chiamato di “razionalizzazione” della rete scolastica realizzando le aggregazioni selvagge; scuole poste anche a decine di chilometri di distanza, sono state affidate ad altre e trasformate in succursali, private anche della carta e della possibilità di accedere ai finanziamenti, fagocitate dalla scuola “più importante” che spesso capitava, e capita, che avesse, ed ha, la sede nella città.

Ridurre le scuole non per migliorare e rendere efficiente il sistema, ma per poter pagare gli aumenti di stipendio che i “nuovi dirigenti”, formati dalla sinistra con un corso di 300 ore, pretendevano (giustamente) di avere.

Attraverso questo meccanismo sono state distrutte le carriere di molti colleghi che prima venivano votati dal collegio dei docenti sulla base della valutazione delle loro qualità, ai quali veniva affidato il ruolo di collaboratore del preside, titolo valido per poter ottenere un incarico di presidenza. Il nuovo dirigente, invece, sceglie i suoi collaboratori che spesso sono amici o magari parenti. Ricordo che nella mia scuola il primo dirigente che si presentò, (peraltro incaricato) esautorando quello eletto dal collegio dei docenti, capace, attento e puntuale, nominò il suo collaboratore con la motivazione che era amico suo da trent’anni. E’ bene evidenziare che tale soggetto, mai in nessuna circostanza aveva avuto ruolo in quella scuola e, probabilmente, mai sarebbe stato eletto dal collegio dei docenti.

La legge che ha trasformato i presidi in dirigenti della pubblica amministrazione (che nella logica iniziale riformatrice della sinistra avrebbe permesso loro di transitare in tutti i settori dell’amministrazione), ha portato come logica conseguenza alla eliminazione delle graduatorie dei presidi incaricati.

Infatti, le scuole, in attesa che venissero effettuati i concorsi, venivano date ad incarico ad un docente incluso in una graduatoria redatta sulla base degli anni di servizio e degli incarichi ricoperti negli organi collegiali. Espletato l’anno di incarico per essere eventualmente riconfermato avrebbe dovuto avere una valutazione del servizio positiva, nel caso contrario sarebbe stato depennato dalla graduatoria.

Spariti gli incarichi di presidenza che fare nelle scuole senza dirigente? Si è inventata la figura del reggente e, quindi verificandosi tale fattispecie i dirigenti pur trovandosi già a dirigere una scuola complessa, magari distribuita su più comuni e su più plessi, con indirizzi diversi, su loro domanda, vengono nominati “reggenti” di un’altra istituzione scolastica che, magari, avrà gli stessi problemi della sua scuola; dislocata su più comuni, con un elevato numero di studenti, con indirizzi e specializzazioni diversificate, distribuite tra professionali tecnici o licei e, se va ancora bene, magari un comprensivo.

Il tutto, ovviamente all’insegna dell’efficacia, dell’efficienza, competenza e del raziocinio.

Oggi ragioni economiche non permettono la nomina di altri dirigenti e le stesse ragioni porteranno all’aggregazione, accorpamento ed in definitiva alla distruzione per annichilimento di parecchie scuole, nel malcelato tentativo di trovare le risorse necessarie per pagare gli stipendi ai vecchi e nuovi dirigenti. Poco importa se le scuole funzioneranno solo con l’ausilio del volontariato di docenti e personale ata; poco importa se le scuole non saranno in grado di fronteggiare le problematiche della massa, della frammentazione delle sedi, della mancanza dei fondi, della riduzione del personale.

A questo punto, acclarato il fallimento dell’ipotesi dirigenziale, perché più opportunamente non si ritorna al punto di partenza? Azzeriamo la figura dirigenziale (ovviamente per il futuro, visto che quanti con un corso di 300 sono diventati dirigente della pubblica amministrazione, hanno già acquisito un diritto di cui, di norma, non dovrebbero, né potrebbero essere privati).

Restituiamo alle scuole la dignità di scuole, quelle piccole a dimensione degli studenti, dove i ragazzi sono elementi e non numeri, dove il preside ha la possibilità di confrontarsi con i giovani, discutere con loro, conoscerli, dove i suoi collaboratori sono scelti dai docenti e per tale ragione riconosciuti meritevoli.

Ripristiniamo le graduatorie dei presidi incaricati e diamo gli incarichi di presidenza facendo in modo di far funzionare realmente le scuole, visto che la reggenza in definitiva si traduce solo in un ingiustificato incremento degli emolumenti dati al dirigente, poiché la scuola data in reggenza sarà comunque retta dai collaboratori in servizio in quella scuola.

Sul piano economico costerebbe certamente meno della reggenza, attribuendo una indennità di funzione di poche centinaia di euro all’incaricato. Se si considera, poi, la riduzione della cattedre, non ci saranno costi aggiuntivi poiché i posti lasciati liberi dagli incaricati potrebbero essere dati ai perdenti posto, soprannumerari, che sarebbero comunque pagati.

Meditate sull’efficacia, sull’efficienza, sulla competenza, sul raziocinio e sulla lungimiranza della sinistra, la stessa che fa le leggi incostituzionali, ma poi ha la pretesa di criticare il Presidente del Consiglio.


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