La difesa della Costituzione: il ruolo degli intellettuali

par Daniel di Schuler
lunedì 14 marzo 2011

Le manifestazioni in difesa della Costituzione tenutesi sabato scorso nelle principali città italiane, mi hanno spinto ad alcune riflessioni che vorrei offrirvi.

Dubito che nel rispetto dello spirito della Costituzione, se non della sua lettera, il Parlamento eletto con l'attuale sistema possa ritenersi pienamente legittimato ad approvare delle leggi costituzionali.

"Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione".

Se è vero che questo recita recita l'articolo 138 della nostra legge fodamentale, va però anche ricordato che i Padri Costituenti, nel dettarlo, pensavano al Parlamento che essi stessi avevano previsto e quindi eletto in modo puramente proprozionale.

Richiedendo che le leggi costituzionali fossero approvate dalla maggioranza assoluta in un simile Parlamento, i Costituenti volevano proprio evitare che fossero il risultato dell’imposizione di una parte poltica sull’altra; volevano assicurarsi che le norme su cui si basa la vita della Repubblica fossero condivise da una maggioranza assoluta di cittadini, prima ancora che di parlamentari.

Con l'attuale legge elettorale, invece, ad una maggioranza parlamentare non corrisponde una pari maggioranza di elettori e, tanto meno, una maggioranza degli aventi diritto al voto. La maggioranza che oggi è assoluta in parlamento, detto altrimenti, può benissimo essere, e di fatto è, maggioranza solo relativa nel paese.

Se davvero si vogliono fare modifiche costituzionali che rappresentino un nuovo punto di partenza per la nostra vita pubblica, non si può, a mio parere, che pensare di eleggere, prima e con il più puro dei sistemi proprorzionali, una nuova Assemblea Costitutente.

Resta, però, che nessuna Maginot di leggi può proteggere una Costituzione se non vi sono, prima di tutto, dei Cittadini che la comprendano e amino.

Lo hanno compreso benissimo proprio le forze antidemocratiche che nell’ultimo secolo hanno fatto della riduzione dei cittadini a plebe il cardine delle loro strategie eversive.

Questo è il tratto comune di tutti i populismi, qualunque sia il colore della loro bandiera; per realizzarsi hanno bisogno che spariscano i cittadini; che al loro posto vi sia il popolo, la massa, la gente. Hanno bisogno, i pifferai magici di ogni epoca, di una folla di topolini da far danzare al suono delle proprie melodie; necessitano, i mandriani d’uomini, d’un parco di stolidi buoi da condurre agitando lo straccio della paura.

Il Cittadino che sia stato educato a sentire lo Stato come cosa sua, che sia stato abituato alla riflessione e che sappia come informarsi sullo stato delle cose è il mattone con cui si costruisce la democrazia e la sua unica vera difesa.

Nell’incertezza che accompagna tutte le epoche di crisi i cittadini si fermeranno a ragionare per capire il da farsi; il popolo correrà a cercarsi un capo che lo rassicuri e gli dica che fare.

Il capitalismo postindustriale, amorale e ademocratico, necessita le stesse masse prive d’autocoscienza di cui ha bisogno il populista; il consumatore che segue acriticamente una moda, che si fa imporre sogni e bisogni, è lo stesso individuo-massa che reagisce alle sfide della modernità stringendosi attorno a un totem ideologico e obbedendo agli ordini di un sacerdote illuminato.

Berlusconi imprenditore e Berlusconi politico, per venire al caso nostro, necessitano della stessa gente; ignoranza, in-coscienza e voglia d’omologazione sono funzionali al primo come al secondo.

Il ruolo dell’intellettuale antagonista (figura che nella storia italiana è quasi inesistente e comunque irrilevante; gli intellettuali italiani, salvo rare e sante eccezioni, per il modo stesso in cui viene selezionata la categoria in un paese di non – lettori, sono sempre state delle baldracche) non è quello di parlare alle masse (questo è il mestiere dei duci e dei ducetti neri, rossi, verdi e bordeaux) ma quello di decomporre la massa in somma d’individualità pensanti e ragionanti.

Anziché sognare d’essere su un palco davanti ad una piazza gremita di gente che già la pensa come loro, o dentro ad uno studio televisivo ospiti di un conduttore a loro congeniale, gli intellettuali dovrebbero pensare a come andare a parlare con i propri vicini di casa che magari votano Berlusconi; a come comunicare in modo chiaro con gli abitanti leghisti del proprio quartiere o anche, semplicemente, a come vincere ad andare a votare quell’avventore del bar dietro casa che ha, da tempo, perso ogni interesse per la politica.

La resistenza si fa ragionando e insegnando a ragionare e, prima ancora, insegnando a credere in se stessi: è dalla fiducia in se stessi che nasce quella nel prossimo ed è dalla fiducia nel prossimo che nasce la fede nella democrazia.

La vera opposizione si fa partendo dalle basi, costruendo o ri-costruendo il cittadino: è uno sporco lavoro che richiede tempo e va fatto quasi individualmente.

Parlando dall’alto e a colpi di slogan si può, al massimo, mantenere compatta la propria tifoseria; si oppone al populismo qualcosa di dannatamente simile.

Ci si è, in fondo, già arresi.


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