La democrazia si sta svuotando dei suoi contenuti più preziosi
par Gregorio Scribano
martedì 10 giugno 2025
La democrazia è bella proprio perché ognuno è libero: libero di votare chi vuole, cosa vuole, e – se non gli piace nulla – è altrettanto libero di restarsene a casa. Nessuno lo obbliga a turarsi il naso pur di mettere una croce sulla scheda elettorale. E forse è questa libertà, preziosa ma logorata, a spiegare perché sempre più italiani si tengano alla larga dalle urne.
Perché, diciamocelo:
Quando il voto di un cittadino sembra contare meno di niente al cospetto degli accordi di Palazzo, delle pressioni delle lobby, del mercato globale e delle multinazionali che decidono da sé la direzione del mondo, allora è quasi naturale sentirsi inutili. Inascoltati. Invisibili. E allora si resta a casa. E il Parlamento ringrazia.
Arriviamo così ai referendum abrogativi di domenica prossima.
Domande importanti, che toccano temi come cittadinanza e lavoro. Eppure, l’attenzione pubblica è minima. Il dibattito langue. La fiducia nei confronti dello strumento referendario è ai minimi storici, e la partecipazione è un’incognita.
A riaccendere il faro su questa consultazione è stata la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che ha annunciato:
Andrò al seggio, ma non voterò.
Un gesto semplice ma dal forte peso simbolico.
Tecnicamente sarà un “elettore non votante”: presente fisicamente, ma fuori dal conteggio del quorum. È un’astensione attiva, una forma di protesta che comunica disaccordo non tanto con i quesiti in sé, ma con l’uso stesso del referendum come strumento. Una dichiarazione politica sul senso della partecipazione, che può piacere o no, ma che merita di essere accettata.
Nel tempo, il referendum abrogativo si è trasformato in una partita di scacchi tutta politica. Si gioca non solo sul sì o sul no, ma sulla partecipazione stessa. Il quorum del 50% + 1 è diventato l’arma di chi non vuole confrontarsi sui contenuti: basta disertare le urne per far fallire tutto. E così il diritto a votare si trasforma in una strategia per disinnescare il voto altrui. Una contraddizione? No, è la legge. Ma è anche il segnale che qualcosa non funziona.
Perché il popolo sovrano, se davvero lo vogliamo tale, va messo nelle condizioni di contare. Di decidere. Di incidere. Non solo con un “Sì” o un “No”, ma sapendo che la sua voce non verrà silenziata da un quorum strategico o da una campagna giocata tutta sull’astensione.
La scelta di Meloni, in questo senso, ci obbliga a una riflessione più ampia. Il suo “esserci senza partecipare” somiglia a quello di milioni di italiani che ogni volta scelgono di non votare. Ma mentre la premier lo fa con una motivazione dichiarata e un preciso scopo politico, la maggior parte degli astenuti lo fa per sfiducia, per stanchezza, o peggio, per disinteresse. E questa è la vera emergenza democratica.
Perché se smettiamo di credere che il nostro voto serva, se rinunciamo persino all’illusione di poter incidere, allora la democrazia rischia davvero di diventare un rito vuoto. Bello da vedere, ma privo di sostanza.
Il referendum resta, almeno sulla carta, una delle poche occasioni in cui la voce del cittadino non passa dal filtro dei partiti. Ma perché questa voce abbia un peso, deve essere usata. Anche quando è difficile. Anche quando ci sembra inutile. Anche quando siamo arrabbiati.
Domenica 8 e lunedì 9 giugno possiamo scegliere come partecipare: votare tutto, votare solo qualcosa, lasciare la scheda bianca, annullarla o anche non ritirarla affatto. È questa la bellezza – e il rischio – della democrazia. Ma attenzione: ogni scelta ha un significato. Anche il silenzio. E a furia di restare zitti, un giorno potremmo scoprire che non abbiamo più voce.