Siamo i più ignoranti d’Europa

par Daniel di Schuler
giovedì 10 ottobre 2013

Lo avrete letto, forse avrete sentito il rumore delle polemiche seguite alle dichiarazioni di questo o quello: secondo uno studio condotto per conto dell’OCSE siamo i più ignoranti tra gli abitanti dei paesi maggiormente sviluppati.

Se credete che non sia vero, che sia un “gomblotto degli stranieri che ci vogliono male all’Italia” o altre baggianate del genere, potete già smettere di seguirmi e restarvene con gli occhietti chiusi a ripetere gli eterni mantra sulla nostra terra che fu di poeti e scienziati, oltre che santi e navigatori.

Agli altri, a quelli che credono che le statistiche, se benfatte, rappresentino degnamente la realtà complessiva di una società, non resta che guardare di dati del rapporto Isfol con grande preoccupazione, e non solo per le ovvie ricadute in campo economico di una forza lavoro impreparata come la nostra.

In gioco non c’è solo la nostra ricchezza futura (o si crede nello stellone o non si può pensare che domani staremo meglio di estoni o ciprioti, che ne sanno ormai più di noi) ma la qualità e addirittura la sopravvivenza della nostra democrazia.

“Meglio avere dei giornali senza un governo, che un governo senza alcun giornale”. Conoscerete questa frase di Thomas Jefferson. Che accade, però, quando in un paese sono troppo pochi quelli in grado di leggere quei giornali. Se la democrazia funziona solo quando i cittadini possono esprimere con il proprio voto la propria libera ed informata opinione, cosa succede quando troppi di loro non hanno neppure gli strumenti minimi per informarsi in modo autonomo? Quando si devono accontentare delle divulgazioni della televisione, magari controllata dallo stesso governo?

Succede quel che è accaduto da noi negli ultimi decenni. A fronte di un dibattito politico spesso ridotto a rissa da osteria, i cittadini hanno accettato di essere messi nelle condizioni di inviare in Parlamento dei rappresentanti spesso di infimo livello: dei semianalfabeti che avevano come unico pregio quello di saper parlare agli appetiti di chi aveva un livello culturale e capacità di analisi simili o inferiori alle loro.

Esagero? Secondo quel rapporto, il 70% di noi non ha le capacità ritenute minime per vivere e lavorare in questo nuovo millennio. Un terzo di noi sa leggere, sì, ma non è in grado di comprendere un normale articolo di giornale. Ancora meno sono quelli di noi capaci di interpretare correttamente un grafico o una tabella.

E con quali raffinati ragionamenti pensate sia possibile convincere un elettorato del genere? In base a quali dati pensate sia in grado di riflettere? In base a quanto gli resta in tasca a fine mese, sempre che sia in grado di comprendere almeno quello (e a volte non è affatto semplice), se non semplicemente in base alla simpatia e all’affidabilità percepite, magari in chi sa bene come farsi riprendere dal proprio lato migliore.

Anziché sprecare fiumi d’inchiostro (o nel mio caso di byte) strologando su questo o quell’aspetto del nostro carattere nazionale, sulla nostra presunta voglia di regime o ansia di rinnovamento, avremmo fatto meglio a dirci che tanti votavano senza neppure capire troppo bene che stessero facendo.

E come se ne esce? Investendo sull’istruzione è la risposta più ovvia e vera. C’è da vedere come. Aumentando gli orari scolastici? “Restituendo agli studenti quel 10% di tempo scuola sottratto dalla riforma Gelmini”, come sostiene Marcello Pacifico, presidente dell’Anief? No, o certo non solo. Inutile martellare con più ore li lezione gli studenti che già stanno a scuola, se tanti loro coetanei a scuola non possono andarci (sì, siamo anche il paese in testa alle classifiche dell’abbandono scolastico).

Inutile se le lezioni sono poi condotte con metodi raffazzonati da insegnanti con poca o preparazione specifica (in Finlandia ci vogliono sei anni di praticantato prima di salire in cattedra. Da noi quanto?), seguendo programmi che sembrano prontuari per il rincretinimento di massa, riducendo la valutazione degli studenti a dei voti numerici (in Finlandia, fino a sedici anni, voti nisba. Provate a dare un’occhiata a come escono gli studenti dalle loro scuole) magari assegnati in base a test modello scuola guida.

Se ne esce spendendo, certo, ma prima di tutto per far si che il diritto allo studio sia tale per tutti. Quindi facendo un bagno d’umiltà e, dopo aver smesso di raccontarci che le nostre scuole sono ottime, (secondo i dati delle prove Invalsi sono mediocri, al massimo; secondo il rapporto dell’Ocse i nostri universitari hanno una preparazione complessiva simile a quella degli studenti giapponesi delle medie... Inferiori), formando professionalmente gli insegnanti, che dobbiamo poi mettere nelle condizioni di lavorare meglio, cosa che non implica debbano essere più numerosi o pagati.

Insegnanti che da ormai troppo tempo sono diventati una categoria come le altre; micragnosamente attenta al proprio peculiare e a null’altro. Dovrebbero essere, invece, circondati dal prestigio e dal rispetto che hanno, per esempio, proprio i loro colleghi giapponesi (eppure i sensei non hanno buoni stipendi).

Prestigio e rispetto che sta prima di tutto a loro conquistarsi, magari ricordando, quando salgono in cattedra, che la democrazia si difende anche spiegando per bene cosa sia un logaritmo.

 

Foto: Alessio/Flickr


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