La cultura economica dei professori

par Bruno Carchedi
lunedì 2 aprile 2012

Per la cultura economica liberista, di cui sono irrimediabilmente impastati Monti e i suoi ministri di prima fila, il superamento delle crisi può avvenire solo affidandosi completamente al mercato, lasciando che operino indisturbati e incontrollati i suoi meccanismi. Per questa cultura il mercato tende spontaneamente all'equilibrio e se c'è esplosione della crisi, è perché si è creata una situazione di squilibrio, provocata da qualcosa di esterno all'economia, qualcosa che è intervenuto politicamente o socialmente a gamba tesa disturbando i virtuosi meccanismi del mercato.

Colpevoli della crisi non sono quindi la grande finanza speculativa, le grandi banche d'affari appoggiate dai governi occidentali, le politiche liberiste restrittive dell'Unione Europea, la mancanza di politiche industriali a livello nazionale degne di questo nome. Colpevoli della crisi sono, come Monti ha più volte accennato, le "corporazioni" e, tra esse, in primo luogo, le corporazioni sindacali che con la loro azione bloccano il ristabilirsi dell'equilibrio tra occupazione e sistema delle imprese, tra occupazione e produzione. La migliore politica economica di un governo è perciò di consentire alla crisi di evolvere secondo la sua natura e dentro a un quadro di mercato lasciato correre liberamente. Se poi tutto questo ha conseguenze tragiche come ad esempio in Argentina, pazienza. Si tratta di effetti collaterali di cui un bocconiano non può occuparsi. Se ne occupino le associazioni caritatevoli.

Da tutto questo derivano tre conseguenze. La prima è che per la ripresa occorre eliminare la protezione "corporativa" del lavoro (art. 18, cassa integrazione, mobilità, ecc.), il che implica che l'occupazione deve essere ridotta, e cioè devono essere abbattuti gli impedimenti ai licenziamenti.

La seconda conseguenza è che si devono lasciar correre crisi e fallimenti industriali. Essi sono uno dei mezzi dell'abbattimento dell'occupazione e inoltre segnalano squilibri produttivi, dunque sovrabbondanze di capacità produttive di questo o quel settore o di questa o quell'impresa dentro allo stesso settore, che vanno anch'essi tolti di mezzo.

E la terza conseguenza è che la cosa più insensata che si possa fare (dal punto di vista di lorsignori) è di intervenire con politiche economiche pubbliche operanti a sostegno delle attività produttive e dell'occupazione, ovvero della ripresa. Anzi è meglio agevolare lo sviluppo pieno della crisi (la cosiddetta "medicina amara") tramite il mercato: così la crisi realizzerà la sua missione positiva. La crisi, è vero, sarà più grave, ma anche più breve, poiché il mercato, raggiunto più rapidamente l'equilibrio, porterà, pressoché automaticamente, l'economia alla ripresa.

Ecco perché un'evoluzione di tipo greco della crisi italiana non è da escludersi ed ecco perché, motivazioni più politiche a parte, il governo ha proceduto come ha proceduto nella trattativa sul mercato del lavoro, cioè con l'obiettivo di far aumentare la disoccupazione. Ecco perché esso ha cominciato la sua attività con misure che incentivano la recessione anziché con misure che le contrastino. Ecco perché le misure per la ripresa "verranno".

Va da sé che tutto questo in realtà serve solo a preparare condizioni di strapotere capitalistico nella finanza, nella produzione e nella società. E va da sé che questo governo bisogna cercare di mandarlo a casa il più presto possibile.


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