La crisi di SEL e gli spazi a sinistra

par Fabio Della Pergola
martedì 24 giugno 2014

La crisi di Sinistra e Libertà, detta SEL, è diventata manifesta. Anzi, Manifesto.

Ne parla, con la consueta franchezza proprio la direttora del quotidiano comunista, Norma Rangeri, che sabato scorso ha ufficializzato sul Corriere la sua richiesta di dimissioni a Nichi Vendola: “Credo che Sel debba rinnovare la propria leadership. (Vendola) ha fondato Sel, ha sempre avuto un ruolo importantissimo. Però, indubbiamente, la sua immagine è logorata”.

Sulla possibile auto-disintegrazione di Sel la storica penna del Manifesto si era "dimostrata piuttosto profetica. Affermò infatti che il balletto europeo di Barbara Spinelli ("Rinuncio al seggio e mando in Europa un giovane", "Anzi no") avrebbe "prodotto un forte contraccolpo sul partito" ormai a rischio di "effetto domino".

Detto da una che scrive sul quotidiano comunista fin dal 1974 (Wikipedia dixit) la cosa non può passare inosservata. Così come non è passato inosservato a chi ogni tanto guardava oltre la barriera dell’extraparlamentarismo l’inesorabile dissolvimento delle “narrazioni” vendoliane sul territorio.

In primis delle famose “fabbriche”, di cui si vociferavano meraviglie politicamente e culturalmente significative, e che invece sono collassate nel giro di poco grazie anche al suo “tradimento”; espressione coniata da Il Fatto Quotidiano che scrisse: “Il tonfo di Vendola in Puglia passa dal tradimento delle Fabbriche di Nichi. Appena due anni fa erano 600 in tutta Italia, rappresentavano l'attivismo politico della società civile ed erano il braccio armato del consenso del governatore. Nel 2011 hanno provato a farle confluire in Sel e il fenomeno è morto. E i loro animatori? La maggior parte con Grillo, gli altri con Renzi”.

Dove “la maggior parte con Grillo” diventa significativo per la strada presa poi dal Megafono in questione che manderà i suoi eletti a sedersi accanto a neonazisti svedesi, a xenofobi inglesi, a neofascisti francesi, lituani, cechi e lettoni. Parabola a dir poco tragica, ma - pensando al comico genovese - non del tutto inaspettata.

La “questione” SEL si è decisamente aggravata nell’ultima tornata di elezioni europee con l’improvvisa scelta di entrare nel Listone Tspiras insieme a parte della società civile (che peraltro si ribellò da subito a certi “partitismi”) e ai fratelli-coltelli di Rifondazione. Il tonfo elettorale - ché di tonfo si è trattato non avendo raggiunto nemmeno la somma dei tradizionali voti di SEL+Rifondazione - ha portato allo scoperto le vecchie ruggini esacerbate dalla decisione di Barbara Spinelli di tenersi quel seggio che, secondo gli accordi, avrebbe dovuto lasciare.

Insomma, crisi a tutto tondo. Di rapporti, di progetti e di “narrazioni”.

Nel frattempo il pacato Civati si è dato da fare per tenere la barra a sinistra all’interno di un partito dall’ormai fortissima tendenza centrodemocristianistica. E lo ha fatto guardando (che significa anche invitando) a quei settori culturalmente, ideologicamente e politicamente sinistrorsi che gravitano nel M5S. Ma che, ovviamente, ha come destinatari principali proprio gli scontenti di SEL e di qualsiasi altro gruppo della sinistra radicale che non si sia ancora bevuto il cervello dietro a fantomatiche progettualità barricadere.

Lo spazio politico a sinistra del PD - definito “enorme” dalla direttora del Manifesto - che non travalicherebbe il PD stesso ma ne integrerebbe le componenti civatiane, può avere un suo primo momento di confronto proprio a Livorno (quanto significativa sia la scelta del luogo lo possiamo capire tutti se pensiamo alle amministrative del 2014, ma, perché no?, anche al 1921) dove in tre giorni di Politicamp (11-12-13 luglio) si cercherà di capire se e quanto è possibile far crescere un progetto innovativo.

L’appuntamento è stato prontamente battezzato una “Leopolda di sinistra” tanto per ricordare che la rottamazione proposta da Renzi alla ex stazione Leopolda di Firenze era casomai roba di destra. Secondo Civati l’appuntamento è necessario “per discutere di diritti, Costituzione, democrazia” e per “costruire un’area non solo con esponenti del Pd ma anche con i fuoriusciti dei 5 Stelle e con la società civile”. Oggi possiamo ipotizzare che saranno presenti anche gli esponenti di SEL ormai in libera uscita.

Il progetto civatiano ha raccolto le simpatie e il favore di quell’ambiente che fa capo allo psichiatra Massimo Fagioli, da sempre di sinistra con sfumature radicali (sia nel senso del vecchio radicalismo pannelliano, per anni unico baluardo dell’ateismo e dell’anticlericalismo, sia nel senso di radicalismo socialista per la proposta egualitaria insita nelle sue radici storiche).

Ambiente vivace e ben presente a sinistra con il settimanale Left, la cui anima editoriale è sempre stata quell’Ilaria Bonaccorsi che Civati ha imposto come candidata nella circoscrizione centro e che ha raccolto oltre 53mila preferenze mancando il seggio europeo per poco (la Spinelli ne ha avute poco più di 30mila); e presente anche con l’attuale azionista di maggioranza dell’Unità, l'editore Matteo Fago, impegnato nel titanico, eroico tentativo di salvare il quotidiano dalla catastrofe perseguita con tanta dedizione per decenni da direzioni e redazioni acquiescenti al cattocomunismo imperante e proprietari taccagni quanto proni al volere dei politici di turno.

Sia Bonaccorsi che Fago hanno, secondo notizie di stampa, una certa contiguità con lo psichiatra romano che vedrebbe di buon occhio “un partito rivoluzionario che faccia ricerca sulla realtà umana”.

Dove “rivoluzione” - è opportuno chiarirlo per certe menti brevilinee del Fatto Quotidiano, use a infangare a sinistra tanto quanto a pencolare verso destra - non significa la presa del Palazzo d’Inverno sulla punta delle baionette bolsceviche, ma attiene allo scontro, senza compromessi, con la cultura dominante e dominata da quel clerico-fascismo-comunismo (nel senso togliattiano e berlingueriano del termine) che con Renzi sembra aver trovato la "quadra" di governo. 

Il mio terrore è la sinistra cattolica, con il Papa che terrorizza i bambini distinguendoli tra battezzati e non battezzati” dice Fagioli, richiamando alla mente i fondamenti apertamente razzisti del cristianesimo, su cui tanti preferiscono glissare da sempre (e tanto più in tempi di fasullo arcibuonismo papista). L'universalismo cristiano si fonda sull'esclusività della conversione: chi non si converte non ha alcuna dignità di salvezza, nonostante oggi ci si arrampichi sugli specchi per dire che la Chiesa guarda a tutti con "misericordia" (ma di diritti civili per gli omosessuali manco l'ombra).

Sulle radici razziste del cristianesimo la capacità di distinguere nella sinistra curiosamente si azzera, per cui essere omosessuali, cristiani e insieme comunisti non provoca alcuna, nemmeno minimale, riflessione sulle ovvie contraddizioni in essere.

Con l'area civatiana, aperta a più vasti orizzonti, potrebbe prendere forma una piattaforma politico-culturale indispensabile in questa italietta arrogante e rissosa oltre che costantemente genuflessa ai potenti d'oltretevere, costretti a chiedere perdono a chiunque, tante ne hanno fatte nei secoli passati, ma capacissimi di insabbiare continuamente per decenni le loro personali malefatte contemporanee, che si chiamino pedofilia o riciclaggio di denaro "ambiguo" (salvo poi "scomunicare" i mafiosi che evidentemente fino all'anno domini 2014 erano parte integrante e riconosciuta della comunità dei fedeli...).

P.S. Quanto al malevolo Fabrizio d’Esposito che su il Fatto Quotidiano “spiega” la crisi di SEL ritirando fuori le datate e infamanti diatribe Fagioli-Vendola (ampiamente smentite, ma per lui è come se le smentite non fossero mai esistite) vale la pena di leggere cosa scriveva Filippo Facci pochi mesi fa, tratteggiandone le poco esaltanti qualità personali e professionali:

Io me lo ricordo, D’Esposito: una volta scrisse anche di me e mi intervistò pure, anche se nel suo articolo poi non riconobbi una parola di quello che avevo detto. Lui, ai tempi, lavorava a Il Riformista: si diceva dalemiano e stravedeva per Antonio Polito, suo direttore. In precedenza l’avevo conosciuto a Il Foglio, dove faceva tipo lo stagista nonostante l’età matura: schiscio e umilissimo, si sbellicava per le battute fatte dai superiori di grado - cioè tutti - e alle cene si scofanava di cibo, ricordo questo. Simpatico. A Giuliano Ferrara non piaceva molto: «È napoletano», diceva in senso spregiativo. Poco male. Dopo Ferrara e Polito, ora D’Esposito stravede per Marco Travaglio, invitato alle sue nozze insieme al governatore Stefano Caldoro: un craxiano - pardon, berlusconiano - di vecchia data”.

Nozze rigorosamente in Chiesa, con la sorridente avvocata del governatore PDL della Campania. "Curiosa - si dice - la coincidenza che ha portato a fare incontrare i due sposi, in quanto la stessa sposa, avvocato, attuale collaboratrice di staff del presidente della Regione Campania Stefano Caldoro, voleva querelare il giornalista del Fatto per un articolo da lui pubblicato considerato diffamatorio, e fissato un incontro per mediare la faccenda i due si sono conosciuti e innamorati. Alla cerimonia presente anche Marco Travaglio che, anche questo particolare imbarazzante, all'epoca aveva anch'esso dato addosso alla sorella della sposa, Benedetta, in quanto facente parte della schiera delle cosidette Papi girls entrate nei favori dell'ex Presidente Silvio Berlusconi...". Dove anche la sposa ha le sue magagne, puntigliosamente ricordate da Repubblica.

Gente così, insomma. Da evitare.

 

Foto: Flickr, Metropolisweb


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