La crisi della Nazionale? Il vero problema non è il CT

par Gregorio Scribano
martedì 17 giugno 2025

Dalle 'notti magiche' ai 'giorni tragici'. La Nazionale italiana di calcio sta vivendo uno dei momenti più bui della sua storia.

L’assenza dai Mondiali dal lontano 2014 rappresenta una ferita profonda e ancora aperta per tutti gli 13appassionati. L’Italia, quattro volte campione del mondo, è oggi una nobile decaduta, lontana anni luce dai fasti di Berlino 2006 e dalle glorie del passato. Le mancate qualificazioni a Russia 2018 e Qatar 2022 sono state uno shock collettivo, ma ancora più inquietante è la sensazione che non si stia facendo abbastanza per invertire la rotta.

L’arrivo di Luciano Spalletti, vincitore dello scudetto con il Napoli, era stato salutato con entusiasmo. Sembrava l’uomo giusto per ricostruire, per rilanciare il progetto tecnico e ridare un’identità alla squadra. Ma la realtà si è rivelata ben diversa: il campo ha parlato e il verdetto è stato impietoso. Risultati deludenti, prestazioni opache e, soprattutto, una Nazionale che ha smarrito il senso del gioco e della lotta. L’esonero di Spalletti non è solo una scelta tecnica: è l’ennesima dimostrazione di un sistema allo sbando, incapace di programmare, di costruire, di credere in una visione a lungo termine.

La Federazione ora si trova di fronte ad una situazione a dir poco complicata. Il rifiuto di Claudio Ranieri, uno degli ultimi allenatori italiani di grande esperienza e carisma, è indicativo: oggi guidare la Nazionale non è più un onore, ma una missione quasi impossibile. Nessuno vuole assumersi la responsabilità di un progetto senza fondamenta, di una squadra che non ha uomini, idee, né una prospettiva definita e che per giunta ha un solo risultato su tre a disposizione, da qui alla qualificazione ai prossimi Mondiali: vincere, e vincerle tutte!

Ma attribuire tutta la colpa ai Commissari Tecnici sarebbe miope. Il vero problema è strutturale, profondo, sistemico. Il calcio italiano non produce più giocatori di qualità in quantità sufficiente a ricoprire tutti i reparti della Nazionale. I vivai languono, i giovani italiani vengono sistematicamente scavalcati da coetanei stranieri, spesso più pronti e, soprattutto, più appetibili per i bilanci delle società. La Serie A, un tempo fucina di campioni azzurri, è diventata una vetrina internazionale dove i talenti nostrani faticano a trovare spazio. Il CT di turno si ritrova a dover convocare chi gioca meno, chi ha poca esperienza, chi è cresciuto senza mai respirare l’aria della grande competizione.

Il paradosso è lampante: mentre i club inseguono i risultati europei affidandosi a giocatori provenienti da tutto il mondo, la Nazionale si ritrova orfana delle sue radici. E senza una base solida da cui attingere, anche il miglior allenatore del pianeta sarebbe destinato al fallimento.

Serve un cambio di paradigma. Serve una politica sportiva coraggiosa e lungimirante. Bisogna investire nei settori giovanili, creare incentivi veri per le società che valorizzano i talenti italiani, istituire un vincolo minimo di presenza per i giocatori locali nei campionati professionistici. Non si tratta di chiudere le porte allo straniero, ma di ricostruire una scuola calcio italiana che sia in grado di alimentare la Nazionale con continuità, qualità e passione.

Perché la maglia azzurra non può più essere affidata all’improvvisazione. L’Italia del calcio deve ritrovare se stessa, riconnettersi con il proprio passato glorioso e progettare un futuro che non sia un eterno rimpianto. Solo così potremo tornare a sognare, a competere, a vincere.


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