La crisi del coronavirus: che ne sarà di noi?

par Osservatorio Globalizzazione
mercoledì 8 aprile 2020

Terza puntata del dossier “Coronavirus: sfide e scenari”. Oggi abbiamo il piacere di presentare il contributo di Gustavo Boni, funzionario europeo che parla con noi delle prospettive economiche per l’Italia di fronte alle evoluzioni degli scenari comunitari.

di GUSTAVO BONI

 

E non mi chiedere come farò
Io non lo so perché l’unica risposta che ora sento è una domanda
Che ne sarà di noi
Che ne sarà di quel che ieri eri tu
Forse sarà che poi
Perdendoci ci ritroviamo

Gianluca Grignani

Premessa

Era il 2004, Gianluca Grignani era in radio con questa canzone. Ricca di riferimenti anche la trama dell’omologo film di Muccino dell’anno successivo, in cui alcuni ragazzi, durante la vacanza della maturità, in poco tempo devono prendere decisioni su cui sono impreparati, ma dal cui esito dipenderà il loro futuro.

Uno sguardo di sintesi

Noi non ci troviamo in un film, e molti di noi hanno perso anche il desiderio di cantare. La situazione è ormai chiara anche a chi inizialmente manifestava superficialità e scetticismo nei confronti del Covid-19. Si tratta di un virus pandemico, probabilmente trasmesso dal mondo animale a quello umano a partire dalla città di Wuhan, un importante polo commerciale della Cina centrale, e da lì diffuso in tutto il Mondo.

La diffusione di un virus su tale scala è difficilmente arginabile da un punto di vista sanitario: le strutture non sono progettate per gestire eventi di tali dimensioni. Analoga è la situazione da un punto di vista socio-economico e politico.

La legittima paura e le pressioni che ci accomunano in questo momento, rendendoci folla irrazionale, non devono tuttavia portarci a prendere decisioni avventate o a sovra-reagire; devono al contrario farci arroccare intorno alla scienza, ai suoi principi, e ai numeri.

Proprio dai numeri si è partiti per simulare quali scenari gli Italiani si possono ragionevolmente attendere in termini di conti nazionali in seguito all’impatto del Covid-19. Come detto in Premessa, cosa sarà del nostro futuro dipenderà inesorabilmente dalle scelte che verranno adottate nei mesi di aprile e maggio; queste poche settimane potrebbero avere un riverbero molto lungo. Per pochi, ma chiari motivi:

Gli scenari per il 2020

Compresa la delicatezza della situazione, si è provato a immaginare un possibile scenario per il PIL italiano del 2020, sulla base di quattro fasi temporali:

Le spese per i consumi finali si intendono riferite a famiglie residenti e privati.

L’approccio adottato, pertanto, non tiene conto degli impatti delle decisioni istituzionali e politiche (che non si conoscono, come poco si sa sulle eventuali reazioni). È un criterio modulabile e che, pertanto, può essere calibrato in funzione delle tempistiche e della magnitudo di tali decisioni. Si è cercato di implementare uno scenario, per quanto possibile di continuità, senza profondi elementi di rottura. Le spese per consumi finali si intendono riferite a famiglie residenti e privati.

L’output di questo scenario è crudo, e parla di una contrazione del PIL del 15%, oltre EUR 270mld in termini nominali, pari al 85% degli investimenti fissi lordi, e al 38% dei redditi interni da lavoro dipendente. Questi numeri sarebbero sufficienti per agire con estrema perizia nel definire le azioni.

Per valutare la consistenza di tali risultati, è stata condotta un’ulteriore analisi in termini di valore aggiunto, di cui ISTAT produce dati aggregati per settore industriale. Dal momento che esso rappresenta stabilmente il 90% del PIL, è da intendersi come una grandezza coerente con quanto rappresentato nella prima analisi. Per valutare i risultati sopra esposti, una analoga simulazione è stata condotta sulla base di tale data set, scandendo il 2020 nelle medesime quattro fasi temporali.

L’allegato 1 mostra i dettagli di input della simulazione condotta.

L’output prevede una contrazione del valore aggiunto del 13.4%, equivalente a EUR 215mld, pari all’80% di quanto riconducibile all’industria manifatturiera, a quanto prodotto dalle attività immobiliari o a quasi una volta e mezzo il valore aggiunto relativo ai servizi professionali. Tale risultato corrisponde a una contrazione in termini di PIL del 13.7%.

Unendo i risultati dell’analisi di questo fenomeno da due prospettive differenti, ed allargando il range del possibile outcome, possiamo ragionevolmente sostenere che le analisi sopra condotte si aspettano una contrazione dell’economia italiana tra il 12.5% e il 15% per il 2020.

Quale sarebbe l’impatto sul famigerato rapporto “Debito/PIL”? Senza entrare nei dettagli della scarsa significatività di tale indicatore (unito al gemello “Deficit/PIL”) sulla sostenibilità del debito pubblico, tale valore deve in ogni caso essere tenuto in considerazione per via delle altrettanto famigerate “profezie auto-avveranti”, per cui se gli investitori iniziano a ritenere un debito pubblico non sostenibile, esso inizierà ed essere così costoso da diventarlo (sia per via diretta, sia per i problemi che avrebbero le banche, le compagnie assicurative, i fondi previdenziali e le società di gestione del risparmio del paese stesso).

Ancora una volta, è difficile fare previsioni accurate (si diffida a credere in chi sia in grado di farlo, soprattutto in questa fase ricca di incertezze) perché non si conoscono le effettive risposte istituzionali.

Ipotizzando (semplicisticamente!!!) che l’Italia (i) rifinanzi integralmente il debito pubblico in scadenza nel 2020 a costi invariati, (ii) aumenti per via inerziale lo stock di debito di solo la metà di quanto fatto in media nell’ultimo quinquennio (ca. EUR 21mld), e (iii) fornisca ammortizzatori sociali corrispondenti a un terzo dei salari complessivi del 2019, per 3 mesi e alla metà della popolazione (ca. EUR 30mld), il rapporto debito pubblico/PIL potrebbe sfondare il 160%, quasi il doppio del valore consolidato dell’EU, e di poco inferiore al valore della Grecia.

I prossimi passi

Questi scenari mostrano un output comparabile a un conflitto bellico; se da un lato le infrastrutture sarebbero preservate, lo stesso potrebbe non valere per le consuetudini sociali, di consumo e per le scelte di programmazione e investimento. Tali cambiamenti, per definizione non dipendenti solo dall’Italia, non sono gestibili in un contesto nazionale.

Quali le possibili vie di uscita? Questa è la domanda che molti, da diverse prospettive, si pongono incessantemente in questi giorni. Condividere soluzioni taumaturgiche, in questa fase, come abbiamo visto appare poco serio. Proviamo allora a rappresentare alcuni approcci che potrebbero apparire ragionevoli:

Per concludere

Lo stesso cantante che ha aperto questo articolo, nel 1995 cantava con successo Destinazione Paradiso. È un augurio da farci, e un sogno a cui abbiamo bisogno di aggrapparci. Passare in mezzo a una tormenta rende più forti, stiamo solo attenti ad imboccare la strada giusta, e a non lasciare il gruppo per avventurarci da soli su sentieri inesplorati.


[1] L’Italia è stabilmente l’ottavo paese esportatore nel Mondo (2.8% dell’export complessivo) e il tredicesimo importatore (2.5% dell’import totale). I principali mercati di sbocco sono Germania (12.5% del totale export), Francia (10.5%) e USA (9.4%); quelli di approvvigionamento sono Germania (16.4% del totale import), Francia (8.6%) e Cina (7.6%); fonte: https://www.mise.gov.it/images/stories/commercio_internazionale/osservatorio_commercio_internazionale/statistiche_import_export/completo.pdf

Allegato 1

3 – continua

  1. “Una concezione adattiva della Storia” di Pierluigi Fagan.
  2. “La Chiesa contro il coronavirus: il mondo sulle spalle di Francesco” di Emanuel Pietrobon.
  3. Che ne sarà di noi?” di Gustavo Boni.

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