La comunicazione su Internet
par Bernardo Aiello
mercoledì 24 giugno 2009
Cominciamo da alcuni numeri : Da una ricerca di Tecnorati, citata da CorseraEconomia, risulta che, sui 133 milioni di blog censiti dal portale, solo 7,4 milioni avevano pubblicato qualcosa negli ultimi quattro mesi; e questo fa il 5,56 %.
- I blog quotidianamente aggiornati erano solamente 900 mila, pari allo 0,68 %.
In altre parole il gran numero di blog creati è largamente inattivo.
Anche i social network marciano proprio male. Ad esempio una ricerca su Twitter condotta dall’Università di Harvard ha appurato che è il 10 % degli utenti a generare il 90 % dei contenuti; ed una seconda ricerca realizzata dalla Nielsen ha accertato che il tasso di abbandono è del 60 % ad un mese dalla data di iscrizione, mentre sale al 90 % sul lungo periodo.
Il risultato è che, in generale, gran parte dell’utenza di comunicazione via Internet è fatta da semplici consumatori di notizie e non da produttori-consumatori.
A questo fenomeno ha risposto Rupert Murdoch con un suo team di esperti, studiando ed ideando nuove formule a pagamento di informazione giornalistica online, ossia prospettando di far pagare l’informazione su Internet a chi, e sembra siano tanti, lo accetti e lo preferisca. Si tratterebbe, insomma, di un ritorno all’informazione a pagamento, tipica dell’editoria tradizionale.
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In tutto questo viene inserito, omologato alle altre forme di informazione online, anche il citizen journalism; ma la cosa non convince affatto per le considerazioni in appresso riportate.
Zygmunt Bauman, professore emerito delle Università di Leeds e di Varsavia, in ordine all’odierna sistematica distruzione degli spazi pubblici destinati alla comunicazione interna di una collettività, dovuta al processo di globalizzazione, scrive del “rapido restringersi, per dimensioni e numero, degli spazi urbani in cui color che pur risiedevano in zone diverse potevano incontrarsi faccia a faccia, avere approcci informali, avvicinarsi e sfidarsi, parlare, litigare, discordare o trovarsi d’accordo, sollevando i problemi privati alla dignità di questioni pubbliche o, viceversa, facendo dei problemi di carattere generale una questione di carattere personale.”
Passando, poi, ad analizzare le conseguenze di quanto sopra sul piano dell’etica, riporta una allegoria di Nils Christie:
“C’è un altro quadro : le donne che si riuniscono alla fontana, al pozzo, nei luoghi naturali di incontro lungo il fiume [… ]. Portare l’acqua, lavare le vesti, scambiarsi informazioni e valutazioni. Il punto di partenza delle conversazioni saranno spesso atti e situazioni concrete. Questi vengono descritti, paragonati a casi analoghi del passato o di altri luoghi, e valutati : giusto o sbagliato, bello o brutto, forte o debole. Lentamente, certo non sempre, poteva emergere un apprezzamento comune dei vari casi. In questo processo si creano norme. E’ un caso classico di «giustizia egualitaria».
Il pozzo dell’acqua è stato eliminato. Abbiamo avuto per un certo periodo nei paesi avanzati qualche botteguccia con delle lavatrici a monete, dove si poteva andare con la propria biancheria sporca e uscirne con la biancheria pulita. Ma le lavanderie a gettoni sono sparite.”
Poi Bauman così prosegue:
“Il racconto allegorico di Christie mette in luce quali effetti esercita sull’etica l’abolizione degli spazi pubblici. Nei luoghi di riunione si creavano anche norme, in modo da poter fare giustizia e da imporla orizzontalmente, sì da trasformare coloro che parlavano in una comunità, separata dagli altri e integrata al suo interno da criteri comuni e condivisi di valutazione. Ora un territorio che venga privato di spazi pubblici offre scarse possibilità perché le norme vengano discusse, i valori messi a confronto, perché ci siano scontri e negoziati. I giudizi su ciò che è giusto/sbagliato, bello/brutto, corretto/scorretto, utile/inutile possono solo discendere dall’alto, da regioni impenetrabili se non per l’occhio più acuto; i verdetti sono indiscutibili, perché non si può fare alcuna domanda significativa ai giudici, che nessuno sa dove risiedano”.
Seguendo Bauman se ne deduce che oggi è questo il problema da risolvere a priori per ripristinare la comunicazione secondo le esigenze dell’etica: ricreare la nostra agorà.
Aggiungiamo che l’intensità con cui è sentita questa esigenza aumenta in misura esponenziale nel nostro Paese, in cui sia la politica sia l’amministrazione della giustizia da parte dello Stato, questo è quanto dicono tutti, si sono dolorosamente trasformate in qualcosa di simile ad un baraccone da luna park.
A questo punto sorge spontanea la domanda: l’offerta di informazione di Rupert Murdoch può ricreare l’agorà di cui abbiamo bisogno? O non è piuttosto il citizen journalism a poterlo fare, alla sola condizione dell’oggettiva terzietà della Redazione nell’ammettere alla pubblicazione voci diverse e fra di loro contrapposte, seppur reciprocamente rispettose ?
Dare una risposta appare del tutto inutile: intelligenti pauca ! E la conclusione è che il tipo di informazione reso dal citizen journalism è dotato di esclusiva originalità.