La carta di intenti del PD "Italia. Bene Comune" spiegata ai comuni mortali
par Davide Falcioni
giovedì 2 agosto 2012
Può essere utile fornire ai lettori una "traduzione" della Carta di Intenti presentata martedì da Pier Luigi Bersani, segretario del Partito Democratico. La carta di intenti è stata intitolata - con un imponente sforzo creativo - "Italia. Bene comune": un modo come un altro per tentare di strizzare l'occhio agli elettori di sinistra del PD, appropriandosi del concetto di "Beni Comuni" e di una battaglia che, allo stato attuale, è tra le più distanti dalla linea politica del Partito Democratico, che praticamente ovunque ha dato il là alle più selvaggie privatizzazioni (a Torino come a Genova, per fare due esempi). Altro che beni comuni...
La carta di intenti si apre con "L’Italia ce la farà se ce la faranno gli italiani. Se il paese che lavora, o che un lavoro lo cerca, che studia, che misura le spese, che dedica del tempo al bene comune, che osserva le regole e ha rispetto di sé, troverà un motivo di fiducia e di speranza". Che è esattamente come dire che la pace è bella, la guerra è brutta, le margheritine profumano, l'acqua è bagnata. Ma vabbè, serviva un modo per introdurre i noccioli programmatici del patto tra "democratici e progressisti".
Veniamo dunque alla traduzione per "comuni mortali" di "Italia. Bene comune". Le parti scritte in corsivo sono stralci del documento originale redatto dagli strateghi del Partito democratico, a cui seguiranno alcuni chiarimenti fondati su dati oggettivi. Naturalmente procederemo per "stralci", concentrandoci sui punti cruciali e ignorando quelli maggiormente "retorici" o discorsivi.
1. VISIONE
"Noi non crediamo all’ottimismo delle favole, quello venduto nel decennio disastroso della destra. Crediamo, invece, in un risveglio della fiducia e soprattutto nel futuro degli italiani, a cominciare dai più giovani e dalle donne. I problemi sono enormi e il tempo per aggredirli si accorcia. Le scelte da compiere non sono semplici né scontate".
In realtà il PD e il PDL sostengono insieme, come è noto, il Governo Monti. I due partiti, apparentemente avversari, stanno di fatto governando insieme il Paese: hanno infatti votato a favore tutte le più significative misure approvate dal Governo. A titolo esemplificativo: il 30 novembre vi è stato il sì unanime della Camera in prima lettura al ddl costituzionale contenente il pareggio di bilancio in Costituzione approvato con 464 sì, nessun contrario e 6 astenuti. Il testo era già stato approvato unanimemente dal Senato con 255 sì nessun contrario e 14 astenuti. Ma PD e PDL si sono trovati d'accordo anche su tutti gli altri provvedimenti: dalla riforma del mercato del lavoro alla spending review, passando per la recentissima approvazione del fiscal compact. Tutte misure spacciate per "risolutive della crisi" che, tuttavia, hanno incrementato povertà e disoccupazione.
"La realtà è che mai come oggi nessuno si salva da solo. E nessuno può stare bene davvero, se gli altri continuano a stare male: è questo il principio a base del nostro progetto, sia nella sfera morale e civile che in quella economica e sociale.
Vogliamo che il destino dell’Italia sia figlio della migliore civiltà dell’Europa e che insieme riscopriamo la necessità di sentirci vicino a chi nel mondo si batte per la libertà e l’emancipazione di ogni essere umano. Lo scriviamo nella coscienza che la grandezza e la tragedia del ‘900 in Europa si misurano in una sola parola: la pace. La conquista faticosa di un continente che, con la tragica eccezione dei Balcani, ha conosciuto nella seconda metà del secolo la sua riconciliazione".
Dobbiamo sconfiggere l’ideologia della fine della politica e delle virtù prodigiose di un uomo solo al comando. E’ una strada che l’Italia ha già percorso, e sempre con esiti disastrosi. In democrazia ci sono due modi di concepire il potere. Usare il consenso per governare bene. Oppure usare il governo per aumentare il consenso. La prima è la via del riformismo. La seconda è la scorciatoia di tutti i populismi e si traduce in una paralisi della decisione.
Vero. Solo che possiamo prendere la Val di Susa come esempio di un'opera costosissima e priva del benché minimo consenso popolare, imposta dall'alto e per niente discussa con il territorio. I No Tav, nel frattempo, hanno allargato la loro base di sostenitori in tutta Italia e soprattutto prodotto documenti con il sostegno di importanti studiosi che dimostrano come il progetto dell'alta velocità sia oggettivamente assurdo e ingiustificato. Bersani, mesi fa, riassunse così la posizione del suo partito: Il PD è pronto a discutere con tutti, ma poi si fa come diciamo noi. Bell'esempio di democrazia.
Per noi il populismo è il principale avversario di una politica autenticamente popolare. In questi ultimi anni esso è stato alimentato da un liberismo finanziario che ha lasciato i ceti meno abbienti in balia di un mercato senza regole. La destra populista ha promesso una illusoria protezione dagli effetti del liberismo finanziario innalzando barriere culturali, territoriali e a volte xenofobe. Anche quando questo populismo ha pescato il suo consenso all’interno di un disagio diffuso e reale, il suo esito è sempre stato antipopolare.
La crisi che scuote il mondo mette a rischio l’Europa e le sue conquiste di civiltà. Ma noi siamo l’Europa, nel senso che da lì viene la sola possibilità di affrancare l’Italia dai guasti del collasso liberista, e quindi le sorti dell’integrazione politica
coincidono largamente col nostro destino. Insomma non c’è futuro per l’Italia se non dentro la ripresa e il rilancio del progetto europeo. La prossima maggioranza dovrà avere ben chiara questa bussola: nulla senza l’Europa.Per riuscirci agiremo in due direzioni. In primo luogo, rafforzando la piattaforma dei progressisti europei. Se l’austerità e l’equilibrio dei conti pubblici, pur necessari, diventano un dogma e un obiettivo in sé – senza alcuna attenzione per occupazione, investimenti, ricerca e formazione – finiscono per negare se stessi. Adesso c’è bisogno di correggere rotta, accelerando l’integrazione politica, economica e fiscale, vera condizione di una difesa dell’Euro e di una riorganizzazione del nostro modello sociale.
(...) La battaglia per la dignità e l’autonomia del lavoro, infatti, riguarda oggi il lavoratore precario come l’operaio sindacalizzato, il piccolo imprenditore o artigiano non meno dell’impiegato pubblico, il giovane professionista sottopagato al pari dell’insegnante o del ricercatore universitario.
Il primo passo da compiere è un ridisegno profondo del sistema fiscale che alleggerisca il peso sul lavoro e sull’impresa, attingendo alla rendita dei grandi patrimoni finanziari e immobiliari. Quello successivo è contrastare la precarietà, rovesciando le scelte della destra nell’ultimo decennio e in particolare l’idea di una competitività al ribasso del nostro apparato produttivo, quasi che rimasti orfani della vecchia pratica che svalutava la moneta, la risposta potesse stare nella svalutazione e svalorizzazione del lavoro. Il terzo passo è spezzare la spirale perversa tra bassa produttività e compressione dei salari e dei diritti, aiutando le produzioni a competere sul lato della qualità e dell’innovazione, punti storicamente vulnerabili del nostro sistema.
La difesa dei beni comuni è la risposta che la politica deve a un bisogno di comunità che è tornato a manifestarsi anche tra noi. I referendum della primavera del 2011 ne sono stati un’espressione fondamentale. È tramontata l’idea che la privatizzazione e l’assenza di regole siano sempre e comunque la ricetta giusta.