La Thyssen si difende: "Il rogo? Tutta colpa degli operai"

par Riciard
sabato 11 aprile 2009

Eravamo tutti a conoscenza del penoso stato di gazzettino in cui versava il quotidiano "Repubblica", ma che relegasse notizie da ulcera allo stomaco per la rabbia a pagina 20, in un trafiletto di qualche rigo, in alto a destra della pagina, beh, lascia disarmati.

Detto questo, riporto fedelmente:

"Per la prima volta al processo Thyssen la difesa palesa la possibilità più temuta dai familiari delle vittime. Quella che a causare l’ incendio in cui morirono sette operai siano stati alcuni errori fatti dagli stessi lavoratori. Almeno tre «sbagli» senza i quali «non sarebbe accaduto nulla». Il primo: «qualcuno ha sbagliato a imboccare il rotolo d’ acciaio sull’aspo, trascinandolo troppo verso un lato anziché centrarlo». Il secondo: la lamiera, secondo i consulenti dei dirigenti, avrebbe sbandato, provocato un enorme quantità di scintille e la struttura metallica si è surriscaldata eccessivamente, innescando l’ incendio su un «mucchio di carta accumulata per l’ erroneo posizionamento di una manopola». E terzo: una volta scoppiato il rogo, chi era nel pulpito avrebbe sbagliato a schiacciare un pulsante di fermata della linea. «Sarebbe bastato premere il pulsante rosso di emergenza, quello che si trovava a soli venti centimetri da quello schiacciato, per evitare la tragedia. L’ arresto d’ emergenza avrebbe infatti bloccato l’ afflusso di olio idraulico nelle pompe»."


Ognuno fa il suo lavoro per carità.
Al giornalista lo sciacallaggio dei sentimenti dei terremotati in Abruzzo, all’editore la compiacenza di pubblicare un articolo del genere in ventesima pagina, all’avvocato difensore il coraggio di pronunciare tali parole.

Dopo che la corte ha sentenziato per omicidio volontario, è chiaro che si debba pompare le vicende, trovare riscolti sconosciuti ed ipotizzare l’impossibile, foss’anche l’intervento divino, pur di giungere ad un patteggiamento, a un compromesso differente.

A ognuno il suo lavoro, appunto.
Peccato solo che gli avvocati difensori pecchino di fantasia, andando, come sempre nella storia, ad accusare gli operai. Già che c’erano potevano far resuscitare Bava Beccaris ed iniziare a sparare un po’ di cannonate.



Eppure sento un’odore che non mi piace, più che un’odore è una puzza, per dirla con Gaber.
Il processo Thyssen è importantissimo. Non si tratta "solamente" di dare giustizia a dei poveri operai caduti sul lavoro, si tratta per la prima volta in Italia di un impianto di accusa contro persone fisiche ed impresa, con una semplicissima conseguenza: se verrà confermata la delibera iniziale della corte, dovranno essere modificati i comportamenti delle imprese, oppure, le imprese stesse ed i propri legali rappresentanti che non si adoperino in tutto e per tutto per la tutela dei propri dipendenti, ne risponderanno in una aula di tribunale.



Si tratta per la prima volta di un reale attacco ai vertici, si tratta della legittimazione a lavorare con la sicurezza alle spalle. Si tratta dell’ultimo tassello dall rivoluzione industriale ad oggi per la condizione operaia e non solo.
Proprio per questo sento uno strano odore.

Se un avvocato si permette di far scivolare sotto gli occhi dei magistrati queste argomentazioni, così come se nulla fosse, come se si parlasse dell’ultima giornata del campionato di calcio, significa o che è allo stremo, senza sapere cosa dire, o che sente le spalle coperte.

E a mettermi la pulce nell’orecchio è un eterno problema della giustizia italiana, quello dei periti, degli esperti. Sembra proprio che accusa e difesa possano sempre in qualsiasi processo presentare periti che firmino dichiarazioni diametralmente opposte. Ovviamente è così anche in questo caso. E qualora si disponga di un perito chiamato ufficialmente, da nessuna delle due aprti, e quindi "neutro", sentiremo ancora danzare la pulce nell’orecchio messa dall’uno e dall’altro.

Si racconta che le mamme, le mogli, gli amici degli operai morti scuotessero la testa ad ascoltare queste parole.

Me li immagino.
Una luce di meraviglia negli occhi.
E nel cuore la rabbia di chi sa che da secoli la storia si ripete, mettendo alla gogna sempre e comunque gli ultimi.


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